a proposito di davis regia di Ethan Coen, Joel Coen Usa, Francia 2013
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a proposito di davis (2013)

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locandina del film A PROPOSITO DI DAVIS

Titolo Originale: INSIDE LLEWYN DAVIS

RegiaEthan Coen, Joel Coen

InterpretiOscar Isaac, Carey Mulligan, John Goodman, Justin Timberlake, Garrett Hedlund, F. Murray Abraham, Ricardo Cordero, Adam Driver, Max Casella, Ethan Phillips

Durata: h 1.44
NazionalitàUsa, Francia 2013
Generedrammatico
Al cinema nel Febbraio 2014

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Trama del film A proposito di davis

Nella New York del 1961, Llewyn è uno squattrinato cantautore folk che insegue il successo, un gatto e una nuova vita.

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Voto Visitatori:   6,76 / 10 (58 voti)6,76Grafico
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Voti e commenti su A proposito di davis, 58 opinioni inserite

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Invia una mail all'autore del commento NotoriousNiki  @  26/02/2014 13:34:11
   8½ / 10
Convengo poco con il ribasso delle quotazioni che il film ha subito nell'ultimo periodo, arrivava da un gran prix e se non fosse stata per la pellicola di Kechiche avrebbe portato a casa la palma. Dal 2000 con 'Fratello, dove sei?' non intravedo quei tratti lirici mossi da un flusso narrativo intrecciato all'influsso della musica (allora bluegrass stavolta folk) è un film da ascoltare, musica a cui non sono avvezzo ma ha un effetto orecchiabile di partecipazione trascinante. Llewyn Davis è un essere corroso da un destino avverso, la pulsione primordiale delle passioni folk si scontrerà con l'imponderabile portata dei suoi effetti, come dice nella scena più intensa del film F. Murray Abraham, non è Davis ad andar male ma è una musica che non ha successo. L'ineluttabilità dell'ingiustizia e la fatalità del suo contrario, segnano l'esperienza di vita anche con quell'artificio narrativo posto nel finale a chiudere il cerchio, o a resettarne il circolo vizioso. La pallidura della fotografia, gli occhi sonnolenti (soggetti alla stanca disillusione) del protagonista, la lentezza del film non va confusa col vuoto, è l'armonia della vita, ripetitiva, si passa da un divano all'altro, da un gatto all'altro, un sali scendi nella vana illusione che qualcosa possa cambiare. Isaac non mi è nuovo, lo vidi un lustro fa in un film prodotto da Clooney 'Plutonio 239' ruolo secondario ma più incisivo di quanto lo fosse il protagonista, una bella faccia, ci ha messo un po ma alla fine è arrivato. Timberlake è votato interamente alla carriera, ambizioso forse troppo, ma sia Fincher che i Coen (sta iniziando a collezionare grandi regie) prendendolo a dosi son riusciti a frapporlo bene nella rispettiva pellicola, quello di Goodman è un bel cameo, la sequenza on the road che permette di farsi anche qualche risata senza stonare nel tono ponderato del film. Gradito ritorno non tanto ai loser che nella loro filmografia non sono mai mancati ma a quel sopracitato connubio con la musica eterea che non avvertivo da troppo tempo nel loro cinema.

2 risposte al commento
Ultima risposta 26/02/2014 15.05.16
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Delfina  @  22/02/2014 11:40:07
   10 / 10
Ottimo e compiuto film dei Cohen, a mio avviso di molto superiore ai film degli ultimi anni. Interpretazioni magnifiche, sceneggiatura intelligente e una fotografia splendida sostengono una pellicola dal sapore letterario ma forte, tesa a dipingere il ritratto perfettamente scolpito di un perdente, un musicista con talento ma votato alla sconfitta nei rapporti sociali e professionali.
Anche la musica si fa apprezzare per intensità e poesia.

Abbandonata la gratuita ironia degli ultimi film, i Cohen ritornano qui con una pellicola intimista e vera che secondo me è forse il loro capolavoro.

4 risposte al commento
Ultima risposta 27/12/2015 20.23.24
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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Satyr  @  11/02/2014 11:36:17
   7½ / 10
La scena folk-revival newyorchese dei primi anni '60 con schiere di cantanti pronti a riempire i locali del Village un attimo prima che il genere fosse definitivamente rivoluzionato da Bob Dylan. E'in questo quadro che emerge la figura di Llewyn Davis, il più classico degli antieroi coeniani immerso in una storia sconclusionata dalla prima all'ultima sequenza.

Il registro è meno grottesco del solito (anche se, l'ingresso in scena di John Goodman e il suo "valletto", riporta tutto su quelle coordinate a cui siamo tanto abituati) e forse è anche per questo che non sta riscuotendo il successo che merita tra il pubblico. Però, rimane un film dei Coen al 100 x 100: sconfitta e fallimento racchiusi nello sguardo di Oscar Isaac, splendido loser alla disperata ricerca della sua definitiva evoluzione.

A me è piaciuto parecchio, anche perchè, se proprio vogliamo trovare una novità, per la prima volta in 20 anni di cinema emerge l'empatia a dispetto del classico sguardo freddo e distaccato con cui i Coen inquadrano da sempre i loro personaggi. E per quanto mi riguarda è una svolta riuscitissima.

8 risposte al commento
Ultima risposta 12/02/2014 10.38.38
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Gruppo REDAZIONE Invia una mail all'autore del commento cash  @  09/02/2014 12:13:11
   4 / 10
Il vuoto. Il nulla. Inizio ad averne abbastanza di film d'autore che si reggono unicamente sulla firma degli autori stessi. Onestamente non so nemmeno cosa si possa anche solo pensare di trarre un film da un canovaccio senza capo nè coda così. Sembra una brutta puntata di un brutto serial.

21 risposte al commento
Ultima risposta 15/02/2014 10.26.34
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CinemaD'Arte  @  08/02/2014 15:15:09
   8 / 10
I Coen mettono in scena un'odissea esistenzialista di un antieroe, parabola discendente sulla (dis)illusione di un perdente. Racconto di vita intimo e sognante, proprio come la strabiliante fotografia di Bruno Delbonnel, di un cantante talentuoso, attaccato alla propria arte nella sua forma più pura e semplice, senza compromessi, e anche per questo disdegnato da quell'ambiente musicale dove tenta invano di emergere, cercando di fuggire da una realtà triste ed intollerabile in cui "sopravvivere e basta" non è abbastanza. Coadiuvati dalla solita e proverbiale maestria tecnica ed oscillando perfettamente tra una vena malinconica ed una vena sarcastica, nella loro più classica poetica, i due registi ci fanno immergere in un piccolo universo amaro e freddo che racchiude tutto il loro cinema in un concentrato di rimandi (da "Fratello, dove sei?" a "A Serious Man", passando da "L'uomo che non c'era") e nuove intuizioni, in un sentito omaggio alla città New York dei primi anni '60 e alla musica folk, protagoniste di una pellicola struggente e romantica che definire minore è fare un torto al cinema stesso.

2 risposte al commento
Ultima risposta 12/02/2014 15.29.13
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Oskarsson88  @  06/02/2014 23:41:10
   5 / 10
Questo film è una scodella di mer.da

68 risposte al commento
Ultima risposta 11/02/2014 22.42.53
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Barteblyman  @  06/02/2014 01:30:22
   7½ / 10
Il gatto di Llewyn Davis mi ha fatto pensare. Ma gatto a parte io mi son rivisto parecchio in questo Llewyn Davis (protagonista del film che è ispirato alla figura del cantante Dave Van Ronk seppur, come specificano gli stessi Coen, Davis non è Van Ronk.). E non tanto per via della barba. Davis è un uomo che rientra in una categoria particolare, quella dei perdenti. Qualità categoriale non estranea, anzi, al cinema dei simpatici fratelli Coen. Per quanto uno possa sforzarsi di lottare contro il suo essere un perdente alla fine arriva un momento in cui inizia a pensare che forse quella è la categoria esistenziale che più gli appartiene e che invece di contrastarla dovrebbe accettarla senza pietismi di sorta. Tollerarla, magari non propriamente alimentarla, ma tollerarla. Ci sono più perdenti al mondo che vincenti e molto spesso i vincenti vivono nel ricatto del loro essere vincenti e quindi, in qualche modo, pure loro ricadono nel fantastico mondo di noi sfigati ("Parla per te!"). E' indubbio che Llewyn Davis sia un perdente, lo comprendiamo subito ascoltandolo e guardandolo cantare nella suggestiva sequenza iniziale, all'interno del fumoso Gaslight Cafe, in quel del Greenwich Village a Manhattan. Sfiorato dalla luce, per il resto in penombra. Ascoltato e applaudito ma non accolto fino in fondo Davis è uno dei tanti talenti che faticano a mettersi a fuoco, per esser davvero visti. Elemento di empatia in più, oltre alla s**** in sé, questo aver le carte in regola e la frustrazione del constatare che non basta. Bisognerà aspettare Dylan per veder valorizzato nonché monopolizzato (e quindi addio chance) quel mondo. Per adesso, nella New York di inizio anni Sessanta, c'è da camminare con chitarra e gatto a tracolla.

Meno "pungenti" o grotteschi, i Coen preferiscono addentrarsi in Llewyn Davis con uno sguardo malinconico, poetico e men che mai melodrammatico. Al primo impatto è questo che sorprende piacevolmente, il non premere sul pedale dell'amabile bizzarria che li contraddistingue. Certo non mancano quei momenti alla Coen (se mi si passa la categorizzazione) ma più che altro a predominare è un tocco estremamente intimo, un tocco... Toccante. Il tutto scandito dal pizzicare le dita sulle corde della chitarra e dal fare dell'armonia, delle parole in musica, il lato più rappresentativo di sé. Un sé che si sveglia ogni mattina in una casa diversa, a volte coccolato dalle fusa di un gatto imprescindibilmente misterioso. Il gatto! "Un adorabile dispositivo narrativo criptico". Ora, senza stare qui a fare spoiler (e non lo farò) ho letto varie teorie a proposito del peloso felino. Io ne abbraccio una in particolare ma allo spettatore il piacere delle teorizzazioni. Da dire solo che, dal punto di vista squisitamente di scrittura, il personaggio di Davis rientra nelle analisi di sceneggiatura di quel "Save the Cat!" scritto da Blake Snyder. Inserisci il momento "salva il gatto" è darai allo spettatore un eroe (anti-eroe) per il quale fare il tifo. Da aggiungere poi che per il film sono stati scritturati cinque gatti soriani, due hanno varcato da subito la porta del licenziamento, troppo indisciplinati. La parte quindi l'hanno ottenuta in tre. Colpevolmente non compaiono nei titoli di coda (coda...) e quindi li menziono io. Tigger (l'unica femmina, la più mansueta da portare in giro), Jerry -quello più scatenato e a caccia di cibo- e Daryl -quello più da coccole ma che nonostante questo è stato colui che ha graffiato l'attore Oscar Isaac-. Oscar Isaac...

Quando ormai stavano per arrendersi ecco che i Coen incontrano Oscar Isaac, attore sì ma anche ottimo musicista (ha un passato punk nei Blinking Underdogs). Ascoltare per credere (menzionando anche l'addetto alle musiche, T Bone Burnett). Un'alchimia meravigliosa, i registi che trovano il loro attore e attore che trova quello che probabilmente è il suo film migliore o almeno il film che inseguiva da un bel po'. Senza dimenticare il resto del cast, da una dolce ed iraconda Carey Mulligan ad un sonnacchioso e possente John Goodman. Tutto bene quindi e il risultato si vede. Inside Llewyn Davis è un apparente leggero ma essenzialmente profondo film sul fallimento e i suoi crismi. Crismi irrisori, comici, cinici. Destini umani che ballonzolano qua e là, circondandosi sovente di altri perdenti o comunque di reietti. Gente da marciapiede notturno, da postumi, da sigaretta come momento migliore della giornata. Simpatici e meno simpatici al quale dare l'arrivederci, giacché sai che li ritroverai ancora lì. Lo sai perché alla fine ti somigliano e tu somigli a loro. Se non ci credi prova ad addentrarti in questo locale di alcol e nicotina e vedi un po' se quel tizio con la chitarra e la sua canzone folk non assomiglia maledettamente a te.

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Ultima risposta 09/02/2014 11.20.00
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