amour regia di Michael Haneke Francia, Austria, Germania 2012
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amour (2012)

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locandina del film AMOUR

Titolo Originale: AMOUR

RegiaMichael Haneke

InterpretiJean-Louis Trintignant, Emmanuelle Riva, Isabelle Huppert, Alexandre Tharaud, William Shimell, Ramon Agirre, Rita Blanco, Carole Franck, Dinara Drukarova, Laurent Capelluto, Jean-Michel Monroc, Suzanne Schmidt, Damien Jouillerot, Walid Afkir

Durata: h 1.45
NazionalitàFrancia, Austria, Germania 2012
Generedrammatico
Al cinema nell'Ottobre 2012

•  Altri film di Michael Haneke

Trama del film Amour

Anne e Georges hanno tanti anni e un pianoforte per accompagnare il loro tempo, speso in letture e concerti. Insegnanti di musica in pensione, conducono una vita serena, interrotta soltanto dalla visita di un vecchio allievo o della figlia Eva, una musicista che vive all'estero con la famiglia. Un ictus improvvisamente colpisce Anne e collassa la loro vita. Paralizzata e umiliata dall'infarto cerebrale, la donna dipende interamente dal marito, che affronta con coraggio la sua disabilità. Assistito tre volte a settimana da un'infermiera, Georges non smette di amare e di lottare, sopportando le conseguenze affettive ed esistenziali della malattia. Malattia che degenera consumando giorno dopo giorno il corpo di Anne e la sua dignità. Spetterà a Georges accompagnarla al loro ‘ultimo concerto'.

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Voto Visitatori:   7,85 / 10 (91 voti)7,85Grafico
Voto Recensore:   10,00 / 10  10,00
Miglior film straniero
VINCITORE DI 1 PREMIO OSCAR:
Miglior film straniero
Miglior film dell'unione europea
VINCITORE DI 1 PREMIO DAVID DI DONATELLO:
Miglior film dell'unione europea
Miglior filmMigliore regiaMiglior attore protagonista (Jean-Louis Trintignant)Migliore attrice protagonista (Emmanuelle Riva)Migliore sceneggiatura originale
VINCITORE DI 5 PREMI CÉSAR:
Miglior film, Migliore regia, Miglior attore protagonista (Jean-Louis Trintignant), Migliore attrice protagonista (Emmanuelle Riva), Migliore sceneggiatura originale
Miglior film straniero
VINCITORE DI 1 PREMIO GOLDEN GLOBE:
Miglior film straniero
Palma d'oro
VINCITORE DI 1 PREMIO AL FESTIVAL DI CANNES:
Palma d'oro
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Voti e commenti su Amour, 91 opinioni inserite

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  Pagina di 1  

7219415  @  27/01/2015 23:37:53
   5 / 10
CONTIENE SPOILER: Secondo me poteva seccarla mezz'ora prima

2 risposte al commento
Ultima risposta 11/02/2016 01.35.05
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Invia una mail all'autore del commento INAMOTO89  @  28/03/2013 00:52:40
   7½ / 10
Indubbiamente è un fim enorme che rimane dentro e lascia da pensare per giorni e giorni pero' la sua lunghezza esasperata purtroppo mi ha annoiato a morte, giuro che nonostante tutte le buone intenzioni ho fatto davvero fatica ad arrivare alla fine, farlo durare 30-40 minuti in meno sarebbe stato meglio anche perchè sti piani sequenza interminabili ( leziosi piu'che funzionali) mi hanno davvero estraniato da quello che poi è il fulcro della storia.
Bellissime alcune scene tra cui il finale e l'inaspettata scena

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oltre a quella del piccione che pero' sinceramente non ho capito !
Se qualcuno me la spiega gliene sarei grato, cosi come anche un altra cosa...

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Ultima risposta 14/06/2013 12.34.14
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BrundleFly  @  16/03/2013 11:28:16
   7 / 10
Forse non sarà il mio genere di film, ma sinceramente non vi ho visto tutto il capolavoro decantato.
Il film racconta senza dubbio una storia difficile e lo fa in maniera fredda, il tutto ambientato nello stesso luogo, movimenti di camera ridotti all'osso, assenza di colonna sonora e scene lunghissime senza tagli.
Anche i 2 protagonisti sono ottimi nella loro parte, ma la storia non è riuscita a prendermi e coinvolgermi come speravo.

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Ultima risposta 17/03/2013 15.04.33
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Gruppo REDAZIONE amterme63  @  03/03/2013 23:28:50
   10 / 10
E' un film che lascia il segno, veramente. Si esce dal cinema molto colpiti e turbati. Già da questo si capisce che è un film notevole, un'opera di arte cinematografica che va dritta al cuore degli spettatori (soprattutto di quelli che accettano di mettersi alla prova e di prendere in considerazione dentro di sé i sentimenti, i dolori e le ragioni dei protagonisti - cosa tutt'altro che facile e scontata).
Il tema trattato è decisamente scottante e di attualità, ma allo stesso tempo molto umano (la possibilità di decidere se metter termine a pene e dolori inutili e laceranti).
Si tratta quindi di un tema che avrebbe potuto produrre un film patetico, sentimentale, pieno di scene strazianti ed enfatiche, circuendo e sconvolgendo la sensibilità dello spettatore. E invece no! No, Haneke utilizza anche stavolta il suo efficacissimo metodo cinematografico estraniante, il quale crea un contesto generale distaccato in cui agiscono i personaggi e quindi ce li fa considerare in maniera razionale, riflessa e riflessiva. Brecht sarebbe stato molto soddisfatto dello stile Haneke.
In che cosa consiste, dove sta la sua efficacia? Si basa su di un uso molto oculato e misurato della posizione della mdp, la quale spesso resta statica, lontana e quindi osserva e riporta la scena con atteggiamento distaccato e riflessivo. Tra l'altro spesso gli atti cruciali, gli eventi chiave, avvengono fuori scena o in ellisse. Dobbiamo perciò noi immaginarli, formarli nella nostra mente, elaborarli con la nostra sensibilità.
I film di Haneke non sono però film di stile Dogma. La prevalenza del punto di vista distaccato e statico fa sì che nei rari momenti in cui la mdp va in carrellata, cambia improvvisamente punto di vista o inquadra in primo piano, subito noi notiamo il cambiamento e osserviamo in maniera potenziata ciò che ci viene mostrato, sentendolo come importante ed essenziale. Da qui l'effetto emotivamente dirompente di certe scene, di certe inquadrature, pur mostrando il semplice affetto che lega così profondamente due coniugi. Tante scene sono di una dolcezza, di una potenza emotiva notevolissima, pur mantenendo un atteggiamento visivo di pudore e distacco.
Nel film giganteggiano le figure dei due coniugi, sia come personaggi che come attori che li interpretano. Georges poi è ammirevole per la sua forza d'animo, per la dedizione, per la fedeltà, la misura, la condivisione, il rispetto. Diciamo che il suo comportamento è assolutamente razione e comprensibile fino all'atto finale del suo rapporto con Anne. E qui si arriva alla scena più discussa del film

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Georges è ritratto come una persona assolutamente equilibrata e razionale e quindi indirettamente si vuole suggerire che se ha fatto quello che ha fatto, vuol dire che era l'unica cosa "ragionevole" che restava da fare. Questa però è la mia personale interpretazione della probabile intenzione degli autori nel proporre quella scena. D'altra parte Georges ogni tanto soffriva di incubi, la sua psiche non era poi del tutto salda. Può darsi quindi che alla fine abbia "ceduto" a un istinto improvviso, qualcosa di non ragionato.
In ogni caso rimane tutto lo sconforto di vedere la solitudine, l'incomprensione e l'incomunicabilità (i giovani non possono capire o condividere) in cui sono lasciati quelli che devono affrontare una prova, talmente al di là di ogni immaginabile forza di sopportazione umana. Non è quindi una sensazione deprimente o negativa quella che ci lascia dentro la visione di questo film, anzi c'è forse un omaggio al quel sentimento così prezioso e umile, che fa sì che una persona possa sapere di poter contare sul sostegno di un'altra, pure nei dolori più estremi e insopportabili. Non è poco. Quel sentimento si chiama: AMORE.

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Ultima risposta 03/03/2013 23.31.23
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Gruppo REDAZIONE VincentVega1  @  16/01/2013 13:29:13
   9½ / 10
Haneke intende l'arte come specchio della realtà. Il suo ultimo film è qualcosa di straordinario, cinema di sottrazione che arricchisce, opera minimalista e vera.

L'amore fra i due protagonisti, che dopo anni di matrimonio ancora si arrabbiano per delle sciocchezze e raccontano storie che mai prima avevano raccontato, viene rappresentato in maniera sincera e diretta, senza retorica e senza stupire.

Il sogno come trappola, lo schiaffo come arresa, il piccione come libertà. Alla fine, dopo averlo tenuto in grembo e aver sentito il battito del suo cuore, bisogna lasciarlo andare, magari legandogli al collo una lettera piena di stelle.

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Ultima risposta 16/01/2013 13.39.45
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pier(pa)  @  08/01/2013 15:48:06
   4 / 10
Haneke si applica un poco rigidamente in questa pellicola, stilisticamente piatta, o meglio aggiornata a un certo senso cinematografico comune, che tanto bene (o almeno coraggiosamente) era stato accantonato con Funny games e il Nastro bianco.
Incredibile è come appena si tratti un tema "delicato" con una chiave di lettura "contemporanea", si senta il bisogno di tornare a un certo classicismo, deferenti e pudici. Qualcosa vicino al: ho già osato così, di più sarebbe troppo.

C'è davvero poco in questo film, oltre a un senso di pietà molto aristocratico; il vecchietto che difende la sua vita, sua moglie, e ne sottrae la decadenza perfino alla vista della figlia.
Si risente, purtroppo, una certa pretestuosità in alcune scene e, in effetti, nei vari modi della narrazione.

Non voglio toccare sempre lo stesso punto, ma il cinema ha frantumato i cosiddetti nell'occuparsi di spirito umano al di là dello spirito, in contesti materiali sempre esasperatamente borghesi che fanno la gioia dei teorici marxisti, sottraendo l'immagine alla cultura dei "contesti" e proponendone in continuazione di "adeguati alle buone intenzioni".

Voglio dire che Georges costruisce intorno a quanto gli è accaduto un mondo che è possibile non in quanto patisce determinate sofferenze, ma in quanto ne patisce troppo poche. Occulta la moglie, se ne occupa fino all'esasperazione (di se stesso e di lei), edifica un fragile mondo nuovo per salvare il più possibile del vecchio. Un anziano di oggi avrebbe modo e tempo per queste attività? Fin dove il suo problema potrebbe permettersi di essere solo astrattamente "spirituale", sentimentale? Fin dove potrebbe escludere la materia, la vita concreta, dalla sua sfera affettiva? Fin dove potrebbe dare mille euro a un'infermiera?
Mi sembra che Haneke ci parli di un'infelicità affettata, sempre troppo borghese, e che mitighi continuamente il dramma potenziale del suo racconto rendendolo più stucchevole e digeribile, spostandolo verso un puro sentimentalismo che è ben lontano da quello di un Dostoevskij de "memorie dalla casa dei morti", dove il sentimento più nobile e nobilitante è sempre legato alla situazione più infima e degradata.

In conclusione il film può essere bello e toccante, di certo lo è. Punisco l'eccessiva edulcorazione della storia, la poca materialità, l'eccessiva astrattezza di sentimenti che non esistono, che non ci possiamo permettere di continuare a raccontare. Che appartengono a un'epoca storica diversa, e di conseguenza a un cinema diverso.

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Ultima risposta 18/11/2013 22.58.00
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lupin 3  @  18/12/2012 00:53:28
   9 / 10
Riflessivo.

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Ultima risposta 20/12/2012 01.06.45
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Clint Eastwood  @  12/12/2012 19:31:37
   8½ / 10
In sintesi, Haneke è un grandissimo regista e AMOUR non è per nulla rallegrante. Capolavoro sì e no, dipende dall'età in cui si guarda.

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Ultima risposta 15/12/2012 15.54.37
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Gruppo COLLABORATORI SENIOR jack_torrence  @  12/12/2012 19:14:14
   10 / 10
Alcuni autori, in un particolare momento della loro carriera, firmano due lavori - o capolavori - contigui tra loro, nessuno dei quali può considerarsi inferiore o meno indicativo della loro poetica di fondo. Si tratta di opere complementari, che si spiegano a vicenda: la prima, solitamente, è più fredda e disincantata; la seconda, più calda e aperta alla speranza.
Gli esempi più ovvi, dei riconosciuti Maestri, sono quello di Fellini (La dolce vita; Otto e mezzo); di Kieslowski (il Decalogo; La doppia vita di Veronica); di Bergman (Il settimo sigillo; Il posto delle fragole), o (in ordine temporale invertito) di Resnais (Hiroshima mon amour, L'anno scorso a Marienbad).
Haneke ha fatto, con "Amour", il suo secondo capolavoro, dopo "Il nastro bianco", più cinico e spietato di questo.
Il fatto che siano entrambe Palme d'oro a Cannes, è poco più di una fortuita casualità.

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Ultima risposta 31/12/2012 10.14.27
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Gruppo COLLABORATORI SENIOR elio91  @  11/12/2012 12:13:17
   10 / 10
Ha sempre diretto film-limite, Michael Haneke, con situazioni-limite. Era l'imprevisto che faceva capolino nel quotidiano a scardinare e scioccare lo spettatore con violenza solitamente fuori scena (Funny Games, Cache, La Pianista, Il nastro bianco). In Amour l'argomento è sempre tabù, l'imprevisto c'è ma si tratta della condizione naturale della vita (o della morte), ma c'è una delicatezza mai vista prima nel suo cinema e, cosa più importante, stavolta tutto viene mostrato in camera da presa, non accade oscenamente (fuoriscena, fuori dall'inquadratura).

Sembrerà strano parlando di un autore distaccato fino all'esagerazione come l'austriaco, ma Haneke pur mantenendo le distanze,in Amour in verità racconta con uno sguardo gelido e contemporaneamente di grande sensibilità. Non, come ha detto qualcuno, "con lo sguardo da serial killer" ma con la voglia di non banalizzare nulla, e ci riesce. Nessuna musichetta a sottolineare momenti altrimenti patetici o di aria fritta, nessuna costruzione artificiale né apertura alla spettacolarizzazione del sentimento, eppure si resta commossi spesso e volentieri, si partecipa al dramma di tutti i giorni della coppia Trintignant-Riva.

Vi stramazzerà il cuore, Haneke, il suo cinema è indirizzato sempre verso lo stesso obiettivo. Vi farà scioccare, vi scombussolerà l'ago della bilancia morale ed è per questo che alcuni non hanno amato la deriva finale del film. Hanno tirato in ballo l'eutanasia riducendolo a manifesto ideologico di Amour, o meglio deriva per partito presto: falso, falsissimo! Haneke non vuole assolutamente dire cosa sia giusto o sbagliato, né se l'eutanasia sia appunto cosa buon o cosa cattiva; quelle son cose da lasciare ai sempliciotti o ai critici che lo bollano come film ora misogino ora empatico. Ad Haneke interessa la sfumatura e l'ambiguità di un argomento e una storia non risolvibile a concetti semplicisti né esplicabile a parole.
La sua proverbiale crudeltà è sempre presente, ma se si sono visti i lavori precedenti è certo smussata dai gesti teneri e semplici dei due amanti. Forse proprio per questo fa ancora più male, quella crudeltà. Ma il regista non esagera mai, l'occhio clinico a furia di stare in alto e di sparire dalla scena ha acquisito la giusta sensibilità per sapere dove portare la storia, dove calcare la mano e dove invece dare una carezza. Il dolore però è esibito, chi non conosce l'autore dirà in modo sadico, in realtà con accuratezza chirurgica, senza filtri né cedimenti.
Se si esce dal cinema sicuri e saldi, allora di Amour non si è capito nulla. E difatti non succederà. Vi martellerà in testa e nel cuore per giorni e giorni, e dovrete renderne conto, con le sue domande e le sue ambiguità.
Ogni gesto è Amour, un titolo tanto lapidario per un film cosi pieno di sfumature anche nell'amore.
Ma sono contento che Haneke sia riuscito a commuovere nella sua freddezza apparente, regalandoci un capolavoro di dignità e delicatezza alla sua maniera.
Ciò che mi colpisce ora e sempre del suo modo di fare cinema, è che i lunghi piani sequenza portano sempre a qualcosa né sono fini a sé stessi. Perfino di altri grandi autori non si può dire la stessa cosa spesso e volentieri, ma l'austriaco riesce a ponderare ogni dettaglio dandogli il giusto peso.
Non so se il mio cuore avrebbe avuto lo stesso sbalzo furente nella sequenza magistrale del sogno (incubo), se tra le prime scene non avessimo saputo che i ladri avevano forzato la porta dell'appartamento della coppia di protagonisti. Credevo facesse davvero parte del piano reale cinematografico, perché Haneke solitamente non mostra altro che ciò che accade nel reale, non concede sguardi o abbozzi di sogni. Per questo mi sono spaventato tantissimo, mi sono detto "adesso che cosa succederà di male", ma poi mi sono reso conto che tutto stava già succedendo, che l'incubo era DELLA realtà, era già reale. Non era un sogno, quello.

Tutti entrano nell'abitazione della coppia protagonista. è un invasione forzosa quasi: noi per primi già siamo lì, poi entrano i pompieri sfondando la porta, e poi figli, allievi, vicini, piccioni, forse ladri. Una casa invasa da tutti, e noi spettatori siamo i più indecenti perché questa è una vicenda tanto intima che ti sembra di spiare dal buco della serratura, quasi a sottolineare il fatto che chi ha diviso per anni tutto meriterebbe di essere lasciato solo, abbandonati a sé stessi con tatto e sensibilità (o no?).
Il piccione non è un escamotage di facile simbolismo, lo è solo inizialmente (apparentemente) quando rappresenta la moglie di George lasciata volare via, e poi acquista un qualcosa di più profondo quando viene intrappolata con difficoltà senile (per farne cosa, pensiamo noi maliziosi conoscendo Haneke, sicuramente per ucciderlo); comunque non è solo quello. è un altro invasore dell'intimità domestica, non a caso il film è ambientato tutto tra quelle mura che non risultano mai claustrofobiche ma di certo chiuse, una bara anzitempo ma senza dare sensazioni di angoscia, un nido d'amore che però sappiamo anche essere la tomba di una persona già nell'incipit.
George non a caso deciderà di andarsene via seguendo il ricordo del passato e dell'amore. E ciò che resta sono solo stanze vuote dove neanche i sussurri di lontani fantasmi si riescono a percepire, resta il vuoto e il ricordo.
Non sono riuscito ad esprimere neanche un terzo di ciò che avevo in mente, mi rendo conto di essere stato complesso e cervellotico, però quando un film è talmente grande da rimbalzarti dentro e lo senti (ormai) fare parte di te vorresti condividerlo con tutti usando il solo mezzo che conosci, ma soltanto vedendolo si può comprendere.
Non c'è altro.




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8 risposte al commento
Ultima risposta 12/12/2012 17.07.30
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Invia una mail all'autore del commento Sboccadoro  @  11/12/2012 11:46:51
   1 / 10
pathetic garbage!

9 risposte al commento
Ultima risposta 02/08/2013 11.26.37
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paride_86  @  01/12/2012 01:16:42
   4½ / 10
Spinto dal fatto che il film è di Michael Hanake - non mi aveva mai deluso, finora - mi sono recato al cinema pieno di belle speranze, anche tenendo conto della Palma D'Oro. Invece mi ritrovo con un film geriatrico, piatto, noioso, interminabile.
La prima parte può anche salvarsi: vi si descrivono i personaggi e le loro caratteristiche; la seconda, invece, è una vera agonia che si trascina avanti tra sguardi vuoti, malattia, dialoghi inconcludenti, il tutto nella claustrofobia di un solo appartamento.
Lo stile asciutto e sobrio di Hanake, di solito funzionale alla storia - penso a grandi film come "La pianista" o "Il nastro bianco" - qui non fa che peggiorare le cose, dando ad "Amour" l'espressività di un documentario sulla terza età.

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Ultima risposta 01/12/2012 01.18.33
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patt  @  22/11/2012 11:17:58
   9 / 10
Molto suscita questo splendido film e i commenti attenti e accurati lo testimoniano. Anche per me il titolo Amour è la sintesi più appropriata, Haneke ci mostra un sentimento composto e non esibito, ci conduce da un primo compatimento a una profonda consapevolezza: solo l'amore non si piega al bisogno e può contenere tutto. E così la malattia diventa un altro percorso da fare insieme che non li priva neanche per un attimo della bellezza della vita.
Anche l'assenza di musica, tranne che della loro musica, sembra voler essere un ulteriore dettaglio per rimarcare quella pienezza di esistenza anche nel silenzio.
Davvero bello, fa riflettere su quanto poi poco ci misuriamo con la vita, troppo presi dalla paura di subirla.

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Ultima risposta 22/11/2012 17.49.31
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Gruppo REDAZIONE Pasionaria  @  20/11/2012 22:26:41
   10 / 10
L'ultimo film di Haneke mi ha toccato in fondo all'anima, perché mi ha fatto ritrovare sentimenti e frustrazioni legati a momenti personali di vita .
Nonostante questo o forse proprio per questa condivisione, l'ho vissuto e compreso totalmente, amato in modo viscerale.
Il realismo, marchio d'autenticità dell'autore, è perfettamente rappresentato dai particolari forse meno evidenti: sguardi che si spengono e che si riaccedono improvvisamente, piccoli gesti d'insofferenza seguiti subito da teneri atti d'amore, che vogliono probabilmente solo sbiadire, senza negare, l'umano senso di colpa, nostra inscindibile peculiarità.
Georges e Anne, musicisti in pensione, rappresentanti di una borghesia intellettuale, colta e benestante, percorrono l'ultimo sentiero della propria totale convivenza all'interno della loro casa, che diventa teatro della loro ultima sinfonia d'amore. Tutti gli altri, compresa la figlia, ne sono esclusi. Non capiscono, cercano di sfuggire il dolore o lo vogliono a tutti i costi risolvere oppure ancora se ne imbarazzano.
Georges e Anne no: affrontano insieme il "destino" con intelligenza, con dignità straordinaria e soprattutto con l'amore che li lega da una vita; osservano questo dolore, questo male che li avvolge, in modo affatto rassegnato, anzi lucido e spietato fino all'epilogo, simbolicamente riaffermato dalla metaforica sequenza del piccione.

Certamente "Amour" è un film triste, ma non deprimente, commovente per l'immedesimazione indotta da quello sguardo da voyeur che Haneke c'impone: entriamo nell'intimità dei due protagonisti con forza, dall'inizio, distruggendo il confine che separa il mondo esterno dal loro microcosmo di coppia, così fragilmente perfetto. Fin dalla scena iniziale, in teatro, Haneke sottolinea il nostro ruolo al di qua dello schermo, lo resteremo per l'intero film, inerti spettatori di
quel dramma umano così a noi vicino.

Umanamente superlativi i due protagonisti, soprattutto Trintignant, che solo il bel soggetto di Haneke, poteva convincere a tornare sul set, dopo anni di depressione per la violenta morte della figlia. Un dolore, il suo, che si è reincarnato in quello di Georges in modo così vero da lasciarci sbigottiti.

7 risposte al commento
Ultima risposta 14/04/2013 16.30.04
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Lopan88  @  19/11/2012 19:32:09
   6½ / 10
Sarà forse che vivamo in un mondo algido e desensibilizzato...non riesco a spiegarmi come sia possibile che la gente manchi di tatto con persone anziane o disabili e poi vada a dare 10/10 a tutti i film che parlano di disgrazie e fragilità umane; sopratutto non riesco a spiegarmi cosa centrasse il fatto che fossero musicisti. Non ha niente di particolare, non porta nulla di nuovo. Solo è girato molto bene e gli attori sono veramente bravi, ma credo sia poco per poterlo sovrastimare. Secondo me...

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Ultima risposta 24/11/2012 20.50.15
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Gruppo STAFF, Moderatore Kater  @  18/11/2012 13:16:41
   10 / 10
Difficile trovare le parole per descrivere questo film, forse l'unica veramente adatta è proprio il suo titolo: Amour.
L'amore rappresentato con tatto, forza, disperazione. L'amore mostrato nella sua quotidianità con incredibile maestria da Haneke, che non ci risparmia nulla, ci porta a comprendere un gesto estremo da parte di chi sa che, dopo quel gesto, rimane solo l'attesa. Un gesto che viene compiuto unicamente per amore.

Regia meravigliosa, interpreti eccezionali, grande cinema.

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Ultima risposta 04/02/2013 19.49.10
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Gruppo COLLABORATORI Terry Malloy  @  07/11/2012 23:33:29
   10 / 10
L'unica scena che non è girata all'interno della casa dei due coniugi protagonisti di questo film è in un teatro. Il problema di questa scena è che è all'inizio. Ovvero quella parte di un film che nel 2012 la gente, gli spettatori dei cinema di tutto il mondo, pensa non essere importante. Sì perché in fondo che importa dell'inizio di un film? Che cosa mai ci metterà di importante un regista nei primissimi cinque minuti del suo film? D'altronde io ho ancora un sacco di cose da dire alla mia amica, cose importanti, cose sicuramente più importanti di quelle due stupide sequenze che Haneke ha pensato ingenuamente di mettere proprio all'inizio della sua ultima fatica. D'altronde nell'insieme dei fotogrammi che formano una pellicola, almeno due gruppi li dobbiamo sacrificare allo spettatore contemporaneo, dobbiamo chiedere a questi due file: "Scusate ragazzi, vi va di stare all'inizio dell'opera? Vi va di fare gli aprifila?" E quasi li sentiamo, con flebile e seccata voce elettronica, "Dai Michael, dai papà perché tocca a noi stavolta?". Ma un padre deve sapere fare le proprie scelte, anche se i figli non sono d'accordo. Così Haneke decide che una sua scena a caso venga massacrata dall'infantile pubblico cinematografico contemporaneo.
E manco a farlo apposta succede che proprio questa scena, questa vittima sacrificale dell'arte moderna, raffiguri la stessa scena del suo martirio. Si vedono tante facce, tante facce che si siedono e aspettano l'inizio del concerto. Una voce impersonale ed educatamente autoritaria chiede che si spengano i cellulari, al fine di non disturbare la musica che sta per essere chiamata dalle sfere celesti proprio quaggiù, su questo palco. Vediamo che in mezzo a queste facce di comparse ci sono due giganti del cinema di tutti i tempi, ma tu guarda Emanuelle Riva e poi quel tipo che faceva quel film sulle macchine insieme a Gassman, dio se è invecchiato, come si chiamava? ha un nome impronunciabile. Li vediamo assistere qualche secondo a qualche secondo di uno Schubert suonato magnificamente, e li vediamo parlare con il pianista. No, decisamente questi non sono i classici spettatori che tossiscono continuamente e urlano "a noi emiliani ci piace andare al mare!" a un concerto di musica classica (vi giuro che l'ho sentito davvero). No, sono due persone raffinate, due persone che sanno andare oltre alla mediocrità del loro corpo e della loro egoistica modalità di pensiero, della loro res cogitans cartesiana, fino a toccare l'universalità personale e intima di una bagatella che da secoli chiamiamo con la semplice sequenza fonematica "arte".
No. Abbiamo l'impressione che queste due persone la musica la conoscano davvero. E abbiamo l'impressione che nulla davvero possa toccarli. Perché credo che se dopo 80 anni due persone vadano ancora a un concerto di Schubert e siano in grado di cogliere davvero l'incredibile importanza di una cosa così seria come l'arte, in modo che nemmeno i ladri sappiano scuotere la loro angelica (qualcuno l'avrebbe chiamata divina) indifferenza, allora non abbiano davvero alcunché da temere, nemmeno l'infelicità.
No, questi due personaggi, che Haneke ha l'ironia di mettere in mezzo a noi, non hanno davvero nulla a che spartire con l'ammasso di carne e banalità che costituisce la gran parte degli spettatori che hanno visto e vedranno questo film. Perché a un certo punto uno deve chiederselo il perché. Il perché siamo ancora qui a produrre cose come "Amour" se poi dobbiamo farlo vedere ai cani. Mio fratello una volta mi raccontava indignato di aver visto un ragazzo pisciare contro una chiesa del mio paese che risale all'alto Medioevo e costituisce uno dei capolavori assoluti dell'arte emiliana. Ci pisciava contro perché al Sabato sera si beve sempre troppa birra e i cessi dei pub fanno notoriamente schifo, quindi è quasi logico e sensato scaricare la propria ammoniaca contro un monumento la cui importanza estetica e storica è oggetto di studi universitari da almeno quando è nata l'università. Io credo che un film come "Amour" sia destinato alla stessa sorte che quella chiesa ha subito. E badate che non è un problema della chiesa o del film se uno ci piscia addosso (anche in senso metaforico), ma di mio fratello che vede questo scempio. O di tutti quegli spettatori intelligenti che si sforzano - ahimè a noi non va così bene, lo dice anche Anne che l'immaginazione con la realtà ha ben poco in comune - di guardare un'opera cinematografica senza subire la violenza degli altri esseri umani. Uno potrebbe chiedersi come mai io stia parlando solo di questo e non di tutto quell'immenso capolavoro che è il film in sé. La risposta è più ovvia che semplice, ossia che in proposito tutte le cose interessanti e profonde sono state già dette da altri (soprattutto le cose immediate: perché un film del genere merita almeno quaranta visioni e anni di riflessioni), quindi io mi limito a osservare certi fenomeni, e cerco soprattutto di connetterli alla storia che ho visto.
Quello che secondo me è interessante è vedere come Ann e Georges siano un amore davvero, davvero strano. Non si tratta di un amore affettivo. Non si baciano mai, anche se spesso sono costretti a posizioni che presupporrebbero una gestualità di intimità e affetto (quando lui la solleva ad esempio). Spesso si scontrano verbalmente. E alla fine lui la uccide. Non sto dicendo che lui non la ama. Sto dicendo che questo film ha delle sottigliezze retoriche da manuale: il titolo, i fantasmi della moglie. Ma è anche una storia da manuale? Il drammone che il grande autore ormai invecchiato ci propone una volta raggiunta una tale maestria da incantarci quantunque l'opera non sia poi tutta sta originalità? Il Bergman che va sempre bene, tanto è un genio?
No. Secondo me quello che è interessante è che Haneke non ha fatto un film d'autore, ma un film serio. "Vogliamo parlare seriamente, Jeanne?" dice Georges a una figlia di cui non capiamo nulla dall'inizio alla fine. Un film serio significa partire da un titolo come "Amore" e parlare davvero di amore. Una cosa così nell'arte contemporanea è davvero rara. Ce lo aspettavamo da Tolstoj, da Dostoevskij, da Hugo. Non da un regista nel 2012. E secondo me il primo punto fondamentale di questa seria riflessione sull'amore è che è un film d'amore tra due anziani: sono convinto che l'unica cosa che conta in un amore sia la durata di esso. "E' bello avere una vita lunga" (e ricorda quasi The tree of life: "Se non ami la tua vita passerà in un lampo"); alla fine è facile avere un amore struggente e totale quando dura due anni. Il secondo punto è che in modo davvero originale Haneke sembra sottolineare il profondo nesso tra la cultura e il sentimento che lega due persone. Non è un caso che tra le poche scene in cui i due sembrano davvero innamorati è quando parlano di musica. Della loro musica. Quella che hanno saputo far diventare una cosa terribilmente seria e vitale da quello che era un mero gioco intellettuale (come è per tanta gente). Ma ha avuto anche il grande merito di far vedere cosa succede quando la musica non serve più a nulla. Infatti in questo film non c'è nessuna musica e le rare volte che la sentiamo si interrompe con violenza, impedendoci di gustare da appassionati le divine note di Beethoven, impedendoci quell'adagiamento estetico che ci culla quando vediamo un grande film che è accompagnato da una grande musica. Mentre osserva il fantasma di sua moglie che suona un pezzo con la tecnica che solo un grande maestro raggiunge, Georges capisce che quest'esperienza, l'esperienza di condividere una cosa così personale con la donna che ama, non ha più nessun senso. Se Anne è paralitica, Georges è costretto a diventare sordo. "Che succede?" urla allarmata Anne quando Georges smette di suonare all'improvviso. La malattia si prende la prima cosa, la cosa più grande che univa due persone, la cultura. Quella vera, quella bella, quella seria, quella importante. Quella che differenzia due persone dalla massa ignorante e bifolca che al cinema o a teatro ci va per convenzione, per buona educazione, per abitudine, per noia. Quella che magari poi ce la troviamo a orinare contro una chiesa antichissima e preziosa. Wittgenstein diceva che l'arte ci svuota e poi rimette dentro le stesse cose, solo cambiate di segno. Se riusciamo a far sì che avvenga questo autentico miracolo umano, e vi sappiamo aggiungere il coraggio di interrompere la vita della persona che amiamo anche più di noi stessi, possiamo finalmente lasciare la casa in cui abbiamo vissuto per tutta la vita e raggiungere la completezza. La morte non avrà comunque senso, ma ciò che c'è stato prima sì. Ed è l'unica cosa davvero seria e importante.

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Ultima risposta 11/12/2012 14.32.07
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Gruppo COLLABORATORI Marco Iafrate  @  06/11/2012 18:21:51
   10 / 10
Era un piovoso pomeriggio di Marzo del 2003 quando un mio caro amico e collega di lavoro interrompe improvvisamente una discussione con il sottoscritto ed inizia a fissare il vuoto di fronte a sé, alla mia richiesta di spiegazioni non è seguita nessuna risposta, nulla, se non uno sguardo implorante che ancora oggi ricordo con nitida visione. Quel mio amico, in una manciata di secondi, era entrato in quel limbo sconosciuto senza ritorno che consegue ad un ictus, un'immobilità fisica e mentale che poco ha a che fare con la vita e che ha gettato nella disperazione lui e l'intera famiglia.
Leggendo i bellissimi commenti degli amici che mi hanno preceduto, consapevole di rivivere anch'io momenti tristi dell'esistenza, mi ero predisposto alla visione di un grande film, quelle pellicole che fanno vibrare corde ormai assopite dall'infernale routine che ci impone la vita di tutti i giorni, sopraffatti da quella frenesia che funge da anestetico alla sensibilità, sempre più potente, ed allontana ed isola il malato, relegandolo ad ingombro della società.
Il film è bellissimo, come lo sono tutti i film che riescono a lasciarti dentro qualcosa.
Georges e Ann vivono la condizione che porta dalla normalità al dramma, quella distorsione della realtà che soltanto l'avvento di una grave malattia riesce a creare, la casa, gli oggetti, le persone a cui si era abituati quando si viveva una condizione di benessere, assumono altre forme, subentrano lo spettro della morte, il timore del dolore fisico, la consapevolezza della cessazione dei piaceri.
Descrivere l'universo che ruota intorno a due anziani coniugi prima e dopo una malattia così devastante equivale a raccontare quello che, salvo rare eccezioni, hanno vissuto, vivono e dovranno purtroppo vivere la maggior parte degli esseri umani. "E' bello avere una lunga vita!", afferma Ann vedendo le immagini in bianco e nero della sua esistenza passata, su un album di foto. Ecco, una lunga vita comporta questo spiacevole inconveniente, aumenta la possibilità di dover sopportare il dolore e la sofferenza che implacabili giungono con la vecchiaia, Georges ne ha la piena consapevolezza ed affronta il dramma con la forza d'animo che la situazione richiede, l'immenso amore che ha per la moglie fa sì che anche l'orgoglio si impossessi di lui, nessuno, né la figlia, né la badante, né i vicini di casa riescono ad interferire , la sofferenza di Ann è una questione che riguarda lui soltanto, non deve neanche essere mostrata.
La malattia che colpisce Ann segna due passaggi fondamentali nella vita dei due coniugi, il primo quando immobilizza il corpo dell'anziana donna, il secondo quando le immobilizza l'animo. Georges riesce ad affrontare il dramma che ha colpito la moglie fin quando la donna riesce ad utilizzare le facoltà del suo spirito, ad interagire con lui, ad ascoltare insieme a lui la musica, insieme a lui cenare al tavolo della cucina, fin quando cioè una parvenza di consuetudini sembra accompagnare dolcemente la vita dei due. Le cose cambiano quando Ann viene sopraffatta dagli esiti funesti della malattia, la degenerazione delle funzioni cerebrali non le permette di articolare più le parole, precipita in un mondo incomprensibile dove Georges non può penetrare. E' questa frattura a decidere le sorti del loro legame, una separazione tanto dolorosa quanto insostenibile, l'impossibilità di comunicare apre le porte ad una composta disperazione che raggiunge il suo apice quando Georges, obbligandoci con il suo gesto a ricordare il "Grande capo" di Formaniana memoria, decide di porre fine al calvario.
Quello che più colpisce è l'imperturbabilità con la quale Georges affronta la lenta agonia di Ann. L'emotività controllata è figlia di saggezza e di buona educazione, il livello socio-culturale dei due coniugi si evince fin dai primi fotogrammi (il bell'appartamento dove abitano, la passione per i concerti di pianoforte, la reazione composta al tentativo di furto), la pacatezza dei dialoghi incanta, anche in momenti di evidente disagio ( Ann nel pieno di una cena chiede a Georges di portarle degli album di fotografie per sfogliarli creando il disappunto dell'uomo :"Proprio adesso?") non viene mai meno un fondo di tenerezza. Il rispetto reciproco è l'impalcatura che sorregge l'amore e i desideri della persona che si ama ( "Non portarmi mai in un ospedale, promettimelo!") diventano i propri.
Mi è piaciuto troppo questo film, non posso pensare ad un voto inferiore al 10, i momenti onirici in cui Georges "rivive" sua moglie (seduta al pianoforte mentre lui ascolta la musica dal cd o quando gli giunge il rumore di piatti dalla cucina) mi hanno fatto venire la pelle d'oca, gli ultimi 10 minuti del film sono tra i più belli che io ricordi. Il dolore, la gioia, la compassione, la tenerezza, la sofferenza, la solitudine, l'amore. Tutto. Fa parte della vita.

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lukef  @  06/11/2012 15:42:04
   4 / 10
Palma d'oro, recensioni appassionate... Sarà che siamo di fronte ad un capolavoro, uno di quelli che inevitabilmente dividono il pubblico, ma in questo caso mi trovo decisamente nell'altro fronte: l'ho trovato a dir poco terribile.
Stilisticamente parlando, non posso negare che sia un film di gran classe con riprese curate, sobrie, asciutte, ecc ecc ecc. ma nonostante questo, sono mancate due componenti per me molto importanti: l'emozione ed il coinvolgimento. La definirei un'opera così pulita ed intellettuale da risultare completamente amorfa. Più che un film, un documentario in cui viene descritta una vicenda tristissima, con assoluto realismo e senza tirarne fuori uno straccio di contenuto positivo. I protagonisti sono solo delle vittime e non c'è alcuna via di scampo. Non c'è riflessione, non c'è spiritualità, quel che ti resta dopo essere uscito dal cinema è solo un senso spoglio di sconforto, pessimismo e smarrimento. E' un percorso senza meta dove l'unica conclusione risulta essere "certe volte la vita è proprio una m***a". Se devo essere sincero, alla fine della tragedia non ci sono rimasto neanche troppo male; i due protagonisti infatti, con il loro lessico ricercato ed il loro parlare sobrio, mi sembravano così freddi e noiosi che già in salute si rilevava un'assoluta povertà di quella joie de vivre che un po' alla volta sarebbe solo andata a svanire del tutto.
Ma non sono solo i protagonisti ad essere noiosi; il film in sè è un supplizio: dura più di due ore e per il 90% è girato tra 3 stanze; le riprese sono sempre statiche, i silenzi interminabili, scene lunghissime in cui non succede mai nulla... Ecco diciamo che non mi stupisce affatto che la giuria di Cannes fosse presieduta da Nanni Moretti.
In conclusione, vista la distanza del mio punto di vista dalla stragrande maggioranza delle opinioni che leggo, lasciatemi almeno dire che è un film che per apprezzarlo bisogna avere un gusto particolare, certo non consigliabile a tutti.

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Ultima risposta 27/11/2012 01.28.27
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Gruppo COLLABORATORI SENIOR Invia una mail all'autore del commento kowalsky  @  04/11/2012 19:11:07
   8 / 10
Sì è un gran film (9?) tuttavia il rigore espressivo e stilistico di H. - che aveva ytrovato complemento nel magnifico "Il nastro bianco", rischia qui di impaludarsi in un codice emotivo che esprime solo una parte delle sue verità (6). Non è neanche detto che debba esprimerle, a dire la verità. Ma il miglior Haneke capta la dimensione domestica degli anziani con la vera fobia, diciamo Polanskiana, del furto in casa, di diventare corpi e spiriti in mano agli altri (il rifiuto delle cure ospedaliere, fa parte della stessa prevenzione). Lo spazio indifeso è chiuso in un monolitismo che vive delle sue difese, mentre in Funny Games la famiglia non riusciva mai a proteggere se stessa. In effetti gli incubi di Georges e la sua idiosincrasia all'elemento "esterno" nello spazio domestico sono resi in maniera ammirevole, ma il rigor-mortis del decadimento fisico della moglie, tra le note di Schubert e un diario di vecchie fotografie, accelera più il processo della perdìta che l'angoscia per l'isolamento affettivo generato dalla morte imminente. Così il film nella sua veste spoglia e insistentemente (troppo?) autoriale non si priva di manierismi (v. i dipinti) che non avrebbero sfigurato nello spirito visionario e simbolista dell'americano Malick. Ci sono però momenti meravigliosi, come la visita del pianista sopraffatto dalla malattia di Anne, ma lascia cmq. perplessi la "cura d'amore" del consorte così ingenuo e caparbio nel voler occuparsi esclusivamente di lei (respinge le badanti) o stupisce la cecità nel confondere visione e dolore lasciando che il male fisico sia qualcosa che non va visto (cfr. chiude a chiave la stanza dove dorme la moglie). Non perchè non sia legittimo o comprensibile, ma perchè rischia di rimarcare la sua prevedibilità. Nel suo ossessivo rimando a Bergman e soprattutto a Dreyer, il Miracolo d'amore di Haneke ha il sapore di un beffardo esorcismo, di una rivelazione che vede la morte estinguersi. Come se fosse sacrificata al ricordo indelebile della vita che c'era, dell'esistenza che ha il dono illusorio ed egoistico di una promessa immortale. Ma del resto è destinato a fallire proprio per questo. Molti puntano al fatto che la rivelazione del dolore sia associata a una sorta di cinico distacco dalla vita materiale, come se tutto vegetasse con quello che resta e si estingue. Magari io avrò vanificato questa discesa borghese e non riesco a vederne il capolavoro, ma visto che trovo così tedioso e al tempo stesso devastante questo lento precipitare, il mio voto non può scendere da un faticoso ma doveroso 8

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Ultima risposta 14/11/2012 13.37.41
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andrear  @  04/11/2012 11:04:09
   6 / 10
Il film si lascia vedere, ma non oltre una certa ora della sera. Alcune cose sono forzate: nessun marito che ami la propria moglie la uccide in quel modo. I 2 attori molto bravi, ma io non cercherei chissà quali introspezioni in un film che nulla toglie e nulla aggiunge a tanti film similari.

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Ultima risposta 05/11/2012 00.11.24
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ughetto  @  02/11/2012 23:01:47
   6 / 10
Non mi è facile commentare questo film perfetto, spiegare che cosa non mi è piaciuto.

Partiamo dalle cose semplici: le emozioni. Nessuna.
Mi riferisco al corpo del film, cioè le scene della malattia. Mi sono chiesto perché.
La risposta che mi sono dato è che il regista in qualche modo rompe i normali meccanismi drammatici. La sua rappresentazione della malattia vuole essere descrittiva e non narrativa. In altri termini: la storia introduce e conclude, ma non è presente dentro il film. Non c'è alcun racconto, solo perfette e geniali inquadrature che descrivono.
Sembra che il regista voglia accompagnarci per mano a fare esperienza diretta, a vedere, la morte. Senza mediazione. Subito ho associato alla musica classica contemporanea, che ha rotto le tradizionali strutture e sembra voler giungere ad un'evocazione diretta dei sentimenti.
La struttura drammatica non può essere rinunciata dall'arte. Il prezzo è che questa divenga concetto puro (però è impossibile) oppure divenga oggetto di se stessa, ma allora sorge il problema del suo interesse. Non mi è possibile aggiungere altro.
Non m'interessa vedere una donna che muore, per quanto bene possa essere filmata, e per quanto l'interpretazione femminile sia una delle più incredibili che abbia mai visto.
Ma in effetti anche il titolo è una dichiarazione poetica: amour. E' una parola che si riferisce ad un concetto, non ad una storia.
Concludo: come film non l'ho apprezzato. Se lo avesse tagliato a pezzi e ci avesse fatto una videoinstallazione in un museo d'arte contemporanea probabilmente mi sarebbe piaciuto di più.

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Ultima risposta 15/11/2012 16.05.15
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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR pier91  @  01/11/2012 16:33:26
   10 / 10
Spoiler presenti.

Forse il titolo più temerario della storia del cinema. Parola isolata, senza articolo, come la si troverebbe scritta in un dizionario. Ma Haneke non definisce, non circoscrive. Se, come ha affermato, "Il cinema racconta menzogne a ventiquattro fotogrammi al secondo" , quest'opera non fa eccezione. Eppure siamo di fronte ad un regista che ha tentato come pochi altri di avvicinarsi alle convulse sembianze della realtà.
Pur marcando insistentemente l'inganno dello schermo, Haneke non ha mai sottovalutato il potere di rifrazione delle sue storie. "Quando il saggio indica la luna, lo sciocco guarda il dito" sostiene un noto proverbio cinese. Il cinema alle volte somiglia a quel dito. Esige d'essere osservato, ma al contempo esorta a distogliere lo sguardo, a rivolgerlo verso la Vita.

"Amore" come attaccamento all' esistere, innanzitutto (per me). Tutti gli animali hanno istinto di sopravvivenza, ma nell'uomo persiste qualcosa d'altro. Si ritiene tanto insostenibile la vista di un cavallo stremato da decidere di ucciderlo; si è propensi, davanti ad una bestia che soffre senza speranza, a considerare la morte come una liberazione. Ma questa forma di compassione, nei confronti di un altro essere umano, diviene "indecente".
La consapevolezza della nostra esauribilità, della morte, ci rende creature tragicamente fragili. La mente sempre vuole trovare un senso, così la finitezza della vita non smette di procurare scandalo. C'è un momento indimenticabile in cui Ann, sfogliando un album di fotografie, commenta: "E' bello vivere a lungo, avere una lunga vita".

"Amore" come inestimabile tenerezza, sospensione di antichi rancori e scambievoli rammarichi, convivenza colma di gratitudine. Colazione in vestaglia, vicino alla finestra, in una confortevole casa borghese, ordinata ma vissuta, alla maniera intellettuale. La malattia di lei, temuta ma non del tutti imprevedibile, sovverte non solo la serenità della coppia ma anche i ruoli che essa sottende. Nell' immaginario comune è la donna che sostiene, che si prende cura, che abbraccia, che è madre nel senso più ampio. Io stessa, osservando mia nonna badare per mesi al marito infermo, percepivo soprattutto una straordinaria naturalezza. Al contrario un uomo che sorregge la compagna offre un quadro per me inconsueto, che destabilizza e commuove. La scena in cui Georges goffamente aiuta la moglie a rivestirsi nel bagno mi si è conficcata nello stomaco.

"Amore" come isolamento. Appare chiaro fin da subito che Georges e Ann sono soli e che da soli combatteranno il dramma. La figlia non vi partecipa concretamente, più per soggezione che per indifferenza. La sua fallimentare esperienza matrimoniale le rende ancora più evidente e dolorosa l' alterità dei genitori. I due insieme costituiscono un mondo segreto di desiderata solitudine. Georges rifiuta o accetta a malincuore aiuti esterni, fa di tutto per sottrarre il dolore suo e di Ann alla vista altrui. "Tanto non capirebbe" dichiara alla badante incompetente, ma è un messaggio rivolto a tutti.

"Amore" come responsabilità. Ad un certo punto Ann parla apertamente con Georges della propria condizione. "Vivere così non ha senso", "Non voglio". Sono parole asfissianti.
Ann vuole imparare a staccarsi dalla vita fin tanto che è cosciente. Inizia anche a rompere il legame con la musica, qualcosa che è troppo vibrante, palpitante, vivo.
Georges rimanda disperatamente il confronto con la volontà della moglie. Quando lei si rifiuta di mangiare e bere, lui la colpisce con uno schiaffo. Da questo istante diventa esasperante per lo spettatore l'attesa del gesto cruciale.
Poi arriva, ed è la scena- firma di Haneke: improvvisa, brutale, tachicardica. A seguire un rilascio rapido di tensione.
Un piccione s'intrufola in casa per la seconda volta. Georges chiude le finestre, lo cattura con una coperta, fa per soffocarlo. E' una sorta di confessione, quasi dicesse all'animale: ecco, questo Le ho appena fatto.

Resta il sogno di una resurrezione, la speranza che il nastro si riavvolga.


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Ultima risposta 12/12/2012 12.40.55
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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR strange_river  @  31/10/2012 13:39:39
   10 / 10
Nel rigore formale e nell'asciuttezza che gli sono note, Haneke trova il modo di comporre un canto d'amore profondo riverberante dolcezza.
E mai, nemmeno per un momento, viene meno la lucidità della ragione che nei sentimenti trova il proprio compimento e quella forza dolorosa che fa volgere repentinamente alla decisione irrevocabile.
Gli intepreti sono a dir poco straordinari, misurati nei loro gesti semplici, e per questo intensi e vicini.
C'è poco rumore in questo film



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la vita si spegne senza far chiasso.

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Ultima risposta 19/11/2012 22.33.04
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marimito  @  28/10/2012 15:40:29
   8½ / 10
Una romantica poesia su un argomento che stringe il cuore.. l'Amore aldilà di ogni speranza.. di ogni difficoltà.. I protagonisti in una strepitosa e dolcissima interpretazione per molti tratti angosciante, ma assolutamente capace di mostrarti la forza dell'Amore che vince ogni cosa..

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Ultima risposta 29/10/2012 10.15.14
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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento LukeMC67  @  27/10/2012 01:51:51
   10 / 10
Da grande estimatore di Haneke, pensavo di andare a vedere un ottimo film.
Mi sono proprio sbagliato: "Amour" è "semplicemente" un capolavoro.

Avevo letto alcune recensioni che parlavano di un "cedimento nel mélo" da parte del regista austriaco che avrebbe reso questo film più accettabile al grande pubblico. Tranquilli (si fa per dire): Haneke si limita a partecipare un po' di più al dramma che mette in scena aggiungendoci tre sequenze onirico-metaforiche da brivido ma che in nulla inficiano lo spietato realismo del resto.

Di sicuro è il suo film più edificante, ma è tragicamente edificante.

L'incipit pennella in poche inquadrature e alcune veloci battute serrate tutto il film: la polizia e i pompieri irrompono in un vecchio appartamento upper class del centro di Parigi trovandovi un'abitazione perfettamente ordinata e vuota. Un pessimo odore e due porte sigillate con il nastro da pacco fanno però temere il peggio: in una stanza da letto, perfettamente abbigliata e acconciata, giace su un letto una donna anziana in iniziale, ma evidente stato di decomposizione. La donna è cosparsa di fiori, la finestra della stanza aperta, il cielo parigino è terso, tira un buon vento che mitiga il fetore della putrefazione. Un attimo dopo il primo piano del volto ormai tumefatto dell'anziana appare, su fondo nero, la parola "AMOUR" a caratteri cubitali.

Se questo incipit m'ha fatto ricordare il Von Trier di "Antichrist" o, ancor più, di "Melancholia", per tutto il resto di questo kammerspiel non ho potuto non rivedere mentalmente "Sussurri e grida" di Bergman, o "Le lacrime amare di Petra Von Kant" di Fassbinder. Ma non per assonanza, bensì per l'esatto contrario: tanto la sofferenza e la morte erano urlate nelle opere di Bergman e di Fassbinder, tanto questo "Amour" è ammantato di un silenzio soffocato e trattenuto come l'afasia che divora la protagonista (una strabiliante Emmanuelle Riva: come mai a Cannes non è stata premiata anche lei?); tanto la morte era giovane e rifiutata in Bergman e Fassbinder, tanto è vecchia e accettata con rassegnazione/liberazione in Haneke.

E cosa c'entra l'Amour del titolo, allora? (Una nota: non era forse opportuno tradurlo in italiano?). Ebbene, c'entra perché l'Amore è il vero protagonista del film, forse ben più della sofferenza e della morte stesse: capiamo subito che Haneke vuole andare a parare dalle parti più scivolose di "quello che non si deve far vedere" (come fa dire a Georges-Trintignant in uno dei colloqui più tesi con la figlia), e cioè: questo potentissimo sentimento fin dove può far spingere il comportamento di una persona? Sofferenza, sacrificio, compassione e morte stanno tutti sullo stesso piano di fronte a questo sentimento?

Haneke, da collaudatissimo entomologo dell'anima quale è, non ci risparmia nessun aspetto di ciò che comporta la sofferenza senza scampo quando essa irrompe nelle nostre vite: non a caso sceglie due personaggi intellettuali, molto consapevoli e informati, affatto credenti. Non c'è una fede consolatoria a soccorrerli, non possono evitare di essere consapevoli di quanto sta accadendo loro, hanno soldi sufficienti per permettersi quelle cure e quelle assistenze domestiche che non giustificherebbero ricoveri "coatti" sterilizzatori della sofferenza: dunque sono costretti ad affrontare la realtà e a rifletterci su. E il primo, o forse l'unico grandissimo problema che si pone loro, è la compatibilità della sofferenza e della degenerazione fisica con la propria integrità e dignità.

Assistendo ai dialoghi serrati tra padre e figlia o tra moglie e marito sulla malattia e sulle sue conseguenze, non ho potuto fare a meno di ripensare al racconto, lucido e straziante al contempo, di Mina Welby sugli ultimi 3 giorni del marito Piergiorgio: non dimenticherò mai la sua voce rotta quando raccontò l'ultima notte col marito, quella nella quale lei chiese perdono a Piergiorgio per l'egoismo di non aver voluto comprendere le sue atroci sofferenze e di non avergliele volute risparmiare (come lui aveva chiesto alla moglie) per il puro egoismo di lei di non voler accettare la separazione fisica da lui. E ricordo che lei disse che solo dopo aver ottenuto il perdono dal marito, chiamò il dottor Riccio.

Haneke in un'intervista ha dichiarato di aver scritto questo film dopo una conversazione con la moglie nella quale i due si sono chiesti come avrebbero reagito all'infermità e alla morte dell'altro/a: la grandezza del film sta proprio nel riuscire a miscelare ragioni del cuore con quelle della mente esaltando l'amore nel suo senso più alto. Così come il segreto di questa coppia stava in una serie infinita di piccole gentilezze e cure (davvero commoventi, almeno per me) perpetuate nei decenni di vita in comune, così l'empatia verso la sofferenza dell'altro (grandissimo Trintignant a farsene carico sequenza dopo sequenza) porterà Georges al supremo gesto d'amore verso la compagna di un'esistenza:

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Dunque, mai il rapporto di coppia è stato reso nella sua carnalità, passionalità, dedizione, eternità come in questo film sulla finitezza, sulla fragilità ma anche sulla forza degli esseri umani.

Una mia nota amarissima: bene ha fatto Haneke a mostrarci il dramma di due alto-borghesi; con il progressivo smantellamento dello Stato Sociale e con lo scivolamento inesorabile verso la soglia della povertà della classe media, solo ai pochissimi ricchi sarà dato di potersi permettere agonie così lunghe e strazianti. La maggioranza morirà prima. Naturalmente.


P.S.1: Una nota tecnica curiosa è che questo film non ha colonna sonora, le uniche sonate per pianoforte essendo funzionali ad alcune sequenze; purtuttavia il suono ne è un elemento fondamentale almeno quanto la (splendida, mi vien da dire "perfetta") fotografia di Darius Khondji (già collaboratore di Mondino, Jeunet e Caro, Bertolucci, Fincher, Parker, Allen... può bastare!??): se avete la fortuna di vederlo in una sala ben equipaggiata noterete che ogni "chambardement" è sempre preannunciato da suoni che provengono da un "altrove" (di solito da altre stanze della casa).

P.S.2: In tutte le Marche il film è attualmente proiettato in una sola (e benemerita) sala di Ancona. Onore al Cinema Azzurro che si contraddistingue per la qualità della sua programmazione e della proiezione (in 2K senza interruzioni) nonché alla Teodora Film che ha immesso sempre film notevolissimi, ma una pellicola del genere -pur "difficile"- non avrebbe meritato ben altra distribuzione?

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Ultima risposta 29/10/2012 21.56.48
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Invia una mail all'autore del commento Bathory  @  25/10/2012 23:16:19
   9 / 10
Vedere un film di Haneke è un atto quasi masochistico, dato che al termine di ogni pellicola del regista austriaco si esce devastati e sconvolti, e Amour da questo punto di vista forse è il film più emblematico e significativo.

Haneke sviscera e seziona ogni sentimento umano nella sua accezione più "negativa" e tragica, e in questo caso è l'Amore tra Georges e Anne, due anziani insegnanti di musica in pensione, ad essere messo alla prova dalla malattia, in particolare da un ictus, che rende Anne di fatto paralizzata e non autosufficiente.
L'Amour di Georges verso sua moglie è visibile in ogni minima azione, anche la più semplice come darle un libro da leggere o tagliarle la carne, ed Haneke sembra voler dirci che è proprio in questa dimensione quotidiana e routinaria che l'amore, quello vero si estrinseca in maniera più potente.

Quando poi la malattia inizia a peggiorare e Georges si vede costretto a dover chiamare l'infermiera, l'amore e la dedizione per la moglie aumenta in maniera esponenziale fino a giungere paradossalmente al punto di rottura, che però non si trasforma in odio o rabbia, ma in rassegnazione e abbandono (fondamentale la scena nella rabbia).

La domanda che ci pone Haneke è: si può uccidere per Amore? Può essere chiamato amore il voler risparmiare atroci sofferenze alla donna amata?
Haneke risponde a questa domanda con una scena devastante, che di fatto viene ad essere il centro assoluto del film e la vera, grande prova d'Amore di Georges nei confronti di Anne.

Gli spunti,le riflessioni e le questioni che ci pone Amour sono innumerevoli in un film cosi complesso nella sua apparente semplcità, e queste poche righe che ho scritto sono davvero poca cosa rispetto alle emozioni che si possono provare nelle velocissime 2 ore di film.
Una menzione particolare va fatta a Jean-Louis Trintignant e Emmanuelle Riva (impressionante quest'ultima), 2 giganti assoluti del cinema in una prova attoriale da lasciare senza fiato.

Vedere un film del genere distribuito in sole 37 sale in tutta italia è veramente vergognoso.

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Ultima risposta 08/01/2013 15.49.59
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