Anne e Georges hanno tanti anni e un pianoforte per accompagnare il loro tempo, speso in letture e concerti. Insegnanti di musica in pensione, conducono una vita serena, interrotta soltanto dalla visita di un vecchio allievo o della figlia Eva, una musicista che vive all'estero con la famiglia. Un ictus improvvisamente colpisce Anne e collassa la loro vita. Paralizzata e umiliata dall'infarto cerebrale, la donna dipende interamente dal marito, che affronta con coraggio la sua disabilità. Assistito tre volte a settimana da un'infermiera, Georges non smette di amare e di lottare, sopportando le conseguenze affettive ed esistenziali della malattia. Malattia che degenera consumando giorno dopo giorno il corpo di Anne e la sua dignità. Spetterà a Georges accompagnarla al loro ‘ultimo concerto'.
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davvero non capisco l'oscar come migliore film straniero e un voto tanto alto...la storia è triste ed è sicuramente fatta di amore ma è prevedibile e per quanto realistica comunque lenta e non particolarmente interessante. Si immagina da subito come possa finire e la malattia della donna non ha novità, purtroppo è tutto troppo prevedibile, sebbene triste. Non mi ha convinto...il tema è toccante ma non basta.
non è per me...forse solo in questa fase della vita... o forse non lo sarà mai. Realismo ok, pure troppo...situazioni e sensazioni che non hai voglia certo di rivivere, tantomeno in un film... ...a me è mancata completamente la parte d'intrattenimento... solo un irrefrenabile voglia di fine...dalla prima scena.
Haneke si applica un poco rigidamente in questa pellicola, stilisticamente piatta, o meglio aggiornata a un certo senso cinematografico comune, che tanto bene (o almeno coraggiosamente) era stato accantonato con Funny games e il Nastro bianco. Incredibile è come appena si tratti un tema "delicato" con una chiave di lettura "contemporanea", si senta il bisogno di tornare a un certo classicismo, deferenti e pudici. Qualcosa vicino al: ho già osato così, di più sarebbe troppo.
C'è davvero poco in questo film, oltre a un senso di pietà molto aristocratico; il vecchietto che difende la sua vita, sua moglie, e ne sottrae la decadenza perfino alla vista della figlia. Si risente, purtroppo, una certa pretestuosità in alcune scene e, in effetti, nei vari modi della narrazione.
Non voglio toccare sempre lo stesso punto, ma il cinema ha frantumato i cosiddetti nell'occuparsi di spirito umano al di là dello spirito, in contesti materiali sempre esasperatamente borghesi che fanno la gioia dei teorici marxisti, sottraendo l'immagine alla cultura dei "contesti" e proponendone in continuazione di "adeguati alle buone intenzioni".
Voglio dire che Georges costruisce intorno a quanto gli è accaduto un mondo che è possibile non in quanto patisce determinate sofferenze, ma in quanto ne patisce troppo poche. Occulta la moglie, se ne occupa fino all'esasperazione (di se stesso e di lei), edifica un fragile mondo nuovo per salvare il più possibile del vecchio. Un anziano di oggi avrebbe modo e tempo per queste attività? Fin dove il suo problema potrebbe permettersi di essere solo astrattamente "spirituale", sentimentale? Fin dove potrebbe escludere la materia, la vita concreta, dalla sua sfera affettiva? Fin dove potrebbe dare mille euro a un'infermiera? Mi sembra che Haneke ci parli di un'infelicità affettata, sempre troppo borghese, e che mitighi continuamente il dramma potenziale del suo racconto rendendolo più stucchevole e digeribile, spostandolo verso un puro sentimentalismo che è ben lontano da quello di un Dostoevskij de "memorie dalla casa dei morti", dove il sentimento più nobile e nobilitante è sempre legato alla situazione più infima e degradata.
In conclusione il film può essere bello e toccante, di certo lo è. Punisco l'eccessiva edulcorazione della storia, la poca materialità, l'eccessiva astrattezza di sentimenti che non esistono, che non ci possiamo permettere di continuare a raccontare. Che appartengono a un'epoca storica diversa, e di conseguenza a un cinema diverso.
Mi aspettavo decisamente di più da questo regista di cui ho amato alcuni dei precedenti lavori. Non mi accodo ai commenti positivi;penso che il premio ricevuto a Cannes sia più un premio alla carriera. Non mi ha emozionato nonostante il tema trattato,forse troppo formale.
Spinto dal fatto che il film è di Michael Hanake - non mi aveva mai deluso, finora - mi sono recato al cinema pieno di belle speranze, anche tenendo conto della Palma D'Oro. Invece mi ritrovo con un film geriatrico, piatto, noioso, interminabile. La prima parte può anche salvarsi: vi si descrivono i personaggi e le loro caratteristiche; la seconda, invece, è una vera agonia che si trascina avanti tra sguardi vuoti, malattia, dialoghi inconcludenti, il tutto nella claustrofobia di un solo appartamento. Lo stile asciutto e sobrio di Hanake, di solito funzionale alla storia - penso a grandi film come "La pianista" o "Il nastro bianco" - qui non fa che peggiorare le cose, dando ad "Amour" l'espressività di un documentario sulla terza età.
Per me è un film sopravvalutato sia dal contesto del pubblico ed in parte anche dalla critica ufficiale. Pur avendo notato nell'ambiente un po' di delusione, non credevo che il film fosse così perfettibile, almeno dal punto dei vista dei contenuti. Anne e George sono sicuramente due personaggi ben realizzati (oltre che ben interpretati) , ma il loro rapporto non supera la noia di un film girato a tempo reale e dove le lungaggini e i silenzi eccessivi , non sono riusciti a coinvolgermi; anche il carattere della figlia Eva mi è sembrato un po' distante dalla realtà e il tutto mi ha dato una sensazione di film autocelebrativo, freddo, lontano. A distanza di pochi giorni ricordo solo tanti sbadigli e il volto espressivo,ma sempre uguale, di Trintignant. Nemmeno il 6 politico per la lunghissima, interminabile scena della cattura del piccione.
Palma d'oro, recensioni appassionate... Sarà che siamo di fronte ad un capolavoro, uno di quelli che inevitabilmente dividono il pubblico, ma in questo caso mi trovo decisamente nell'altro fronte: l'ho trovato a dir poco terribile. Stilisticamente parlando, non posso negare che sia un film di gran classe con riprese curate, sobrie, asciutte, ecc ecc ecc. ma nonostante questo, sono mancate due componenti per me molto importanti: l'emozione ed il coinvolgimento. La definirei un'opera così pulita ed intellettuale da risultare completamente amorfa. Più che un film, un documentario in cui viene descritta una vicenda tristissima, con assoluto realismo e senza tirarne fuori uno straccio di contenuto positivo. I protagonisti sono solo delle vittime e non c'è alcuna via di scampo. Non c'è riflessione, non c'è spiritualità, quel che ti resta dopo essere uscito dal cinema è solo un senso spoglio di sconforto, pessimismo e smarrimento. E' un percorso senza meta dove l'unica conclusione risulta essere "certe volte la vita è proprio una m***a". Se devo essere sincero, alla fine della tragedia non ci sono rimasto neanche troppo male; i due protagonisti infatti, con il loro lessico ricercato ed il loro parlare sobrio, mi sembravano così freddi e noiosi che già in salute si rilevava un'assoluta povertà di quella joie de vivre che un po' alla volta sarebbe solo andata a svanire del tutto. Ma non sono solo i protagonisti ad essere noiosi; il film in sè è un supplizio: dura più di due ore e per il 90% è girato tra 3 stanze; le riprese sono sempre statiche, i silenzi interminabili, scene lunghissime in cui non succede mai nulla... Ecco diciamo che non mi stupisce affatto che la giuria di Cannes fosse presieduta da Nanni Moretti. In conclusione, vista la distanza del mio punto di vista dalla stragrande maggioranza delle opinioni che leggo, lasciatemi almeno dire che è un film che per apprezzarlo bisogna avere un gusto particolare, certo non consigliabile a tutti.
Questo voto apparità una bestiemmia per un film vincitore di Cannes. Sicuramente di grande valore, di grande rigore formale.... Tuttavia oggi voglio dare un voto del tutto personale: sono un medico, ogni giorno vedo questo tipo di sofferenza, ero stato 12 ore in ospedale prima di andare al cinema, mi sembrava di esserci tornato.