Un banchiere italo-americano, tipico self-made man, controlla rigidamente i suoi tre figli. Quando muore, dopo essere stato arrestato per pratiche illegali, uno dei figli si vendica dei fratelli, ritenendoli responsabili.
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Film immenso anche se ostinatamente misogino cfr. Conte che confessa tranquillamente al padre di essersi innamorato della sua donna nonostante sia promesso a un'altra, lo stesso personaggio della Hayward si presta ad equivoci: Femme fatale, donna facile oppure emancipata l'unica capace di tenere testa a un uomo rude e amorale!? Il film di Mankiewicz ha una struttura quasi Shakespeariana ("Re Lear") adattando il tutto alla contemporaneità del mondo dell'Immigrazione (Italiana), al Sogno Americano e al Nuovo Mondo dove adattarsi o combattere. Un film che parla di un Passato da dover dimenticare, come "Erano tutti miei figli" di un anno prima, del bisogno di mettere da parte rancori e vendette per ritrovare la felicità. Girato magistralmente anche se lievemente schematico, vanta sequenze stupende, come la Wellesiana - ricorda L'Orgoglio degli Amberson - salita alla scala davanti al ritratto del banchiere - o l'arresto di Conte mentre la "sua" donna in macchina lo stava aspettando. Su tutti, oltre a un Conte beffardo nel suo cinismo e una Hayward amante devota o traditrice, si staglia la magnifica prova di Robinson, gigantesco "Patron" o Padrino distrutto dal suo stesso immorale materialismo. Una grandissima pellicola da riscoprire e rivedere
Bel dramma famigliare diretto da Mankiewicz, animato da personaggi forti e ben definiti per merito di una sceneggiatura solida e densa di emozioni. Interpreti e personaggi sono dotati di ottima presenza scenica e grande carisma, abili nel risaltare tutte le emozioni di una storia tesa e coinvolgente in maniera più che discreta. Buon film, meritevole della visione.
Ho trovato un dito bello grosso di polvere sopra questo film che, pur rivelandosi una pellicola interessante, non mi ha soddisfatto pienamente, e fatico sinceramente anche a trovarne il motivo. Forse mi aspettavo un qualcosa di più avvincente, mentre in realtà si tratta più che altro di una rappresentazione di una famiglia di banchieri della prima metà del secolo scorso. Ottime comunque le interpretazioni da parte di tutto il cast.
L'egoismo genera odio, che porta a mali estremi risanabili solo con estremi rimedi. Questa la mentalità che sta alla base di un ritratto pessimista di una famiglia pregna di rancori viscerali i quali legami vengono completamente annientati a discapito dell'avidità e della sete di successo. Sceneggiatura velenosa, regia cinica, interpretazioni ottime (indimenticabile Robinson nei panni del banchiere partito dal nulla convinto che la sua "benevolenza" porti solo vantaggi alle persone che lo circondano).
Tra i meno popolari di Mankiewicz, pur rimanendo "Amaro Destino" nettamente superiore rispetto ad altri lavori più osannati. Da recuperare.
Successi e miserie di Gino Monetti, intraprendente commerciante italo-americano che si impone, non sempre lecitamente ma comunque in buona fede, come banchiere "del popolo". Ne seguiamo la saga familiare attraverso gli occhi del figlio più responsabile, Max, e non è un caso che l'unico flashback che ne rappresenta gli eventi venga anticipato da una carrellata sulla scala di casa Monetti, come a simboleggiare appunto la salita e la discesa delle fortune del patriarca. Il tono è comunque pessimista, e Mankiewicz sembra puntare il dito in particolar modo sull'istituto famiglia, qui disgregato da lotte intestine ( dettate dall'avidità, uno dei temi centrali del suo cinema ) ed in generale da una diffusa mancanza d'amore. Fuori dall'ordinario la prestazione di Edward G. Robinson, severo uomo e padre d'altri tempi dalla esuberante personalità.