all is lost - tutto e' perduto regia di J.C. Chandor USA 2013
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all is lost - tutto e' perduto (2013)

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locandina del film ALL IS LOST - TUTTO E' PERDUTO

Titolo Originale: ALL IS LOST

RegiaJ.C. Chandor

InterpretiRobert Redford

Durata: h 1.46
NazionalitàUSA 2013
Generedrammatico
Al cinema nel Febbraio 2014

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Trama del film All is lost - tutto e' perduto

Durante un viaggio nell'Oceano Indiano, un uomo si trova da solo in balia del mare e degli elementi, dopo che il suo yacht ha subito una collisione con un container abbandonato. Con l'equipaggiamento di navigazione e la radio fuori uso, l'uomo per sopravvivere deve far affidamento solo su un sestante, delle mappe nautiche, e il suo intuito.

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Voto Visitatori:   6,75 / 10 (38 voti)6,75Grafico
Miglior colonna sonora (Alex Ebert)
VINCITORE DI 1 PREMIO GOLDEN GLOBE:
Miglior colonna sonora (Alex Ebert)
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Voti e commenti su All is lost - tutto e' perduto, 38 opinioni inserite

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Crystal_89  @  16/04/2017 23:07:11
   4 / 10
il film consiste essenzialmente in Robert Redford che fa cose poco interessanti su una barca. così come si presenta, è a tutti gli effetti un'opera incompleta. va bene la lotta per la sopravvivenza, ma da sola non basta, soprattutto perché di azione vera ce n'è pochissima.
la durata giusta sarebbe stata 90 minuti, con un'introduzione e/o dei flashback per farci conoscere il personaggio. altrimenti è impossibile provare empatia per lui, e un film sterile non interessa a nessuno

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Ultima risposta 22/06/2019 13.19.00
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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Caio  @  02/06/2014 12:29:35
   8 / 10
Sí, mi è piaciuto. Un Robert Redford in gran forma che lotta per sopravvivere. Quello che mi ha colpito è il fatto che non si percepisce in lui nessuna paura o ostilità verso il mare, non è la solita lotta tra l'uomo e le forze ostili della natura.

1 risposta al commento
Ultima risposta 02/06/2014 12.58.55
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Invia una mail all'autore del commento NotoriousNiki  @  18/02/2014 13:00:08
   7 / 10
Chandor gli occhi posati su di sé li ha da almeno 2 anni, l'attesa trepidante di rivederlo all'opera è finita e la sensazione è che questa poteva essere l'ottima opera 1° di un autore, un film da Sundance, sperimentale, a tratti sposa fedelmente il decalogo del Dogma 95, nessun accompagnamento musicale solo l'uomo e la natura, la musica ce la mette il mare, questo sino alla breve parentesi del minuto 65 e all'apparente tragico finale. Comincia in media res, canovaccio spesso usato del partire da un momento topico della narrazione con una lettera o un messaggio (quest'anno un altro è stato '12 anni schiavo') per poi tornare repentinamente a raccontare dal principio, come in 'Margin Call' si distingue per il suo linguaggio universale, lì senza metafore o giri di parole c'è una sequenza celebre in cui spiega senza tecnicismi la miccia di una crisi all'orizzonte, qui optà per un film crudo, reale, senza stimolare alcuna elucubrazione mentale sullo spettatore, Redford deve rappresentare il massimo del controllo umano sul fatalismo che si accanisce contro di lui (che a tratti a forza di pigiare su questa sequela di eventi sfortunati sfiora il grottesco). Nessun appoggio mentale, una figura immaginaria tipo il coniglio di 'Harvey' o quell'incessante pensiero alla bambina della Bullock, citando Gravity la parabola umana della sopravvivenza è curiosamente simile, senza il formalismo di Cuaron, Chandor si pone nudo e crudo. L'andamento musicale a sottolineare alcuni presagi, tipo la tempesta ravvisata in anticipo, avrebbe potuto colmare quel vuoto atmosferico, torricelliano, in cui Chandor si spinge eroicamente nel suo intento di purezza, non disdegna alcune immagini poetiche un gioco di luci che gli riesce nel fotografare lo sciame di pesciolini ancorato sotto alla barca, chiudendo, l'intento è promosso mi è piaciuto più in cabina di regia stavolta che in scrittura quale invece si evidenziava illuminante in 'Margin Call' e rimango in attesa di una prova di maturità che potrebbe arrivare tra 2 anni con questo progetto in nuce 'A Most Violent Year' in cui sarà alle prese con la criminalità newyorkese degli anni '80.

3 risposte al commento
Ultima risposta 08/03/2014 18.19.11
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franz91  @  06/02/2014 13:01:22
   9 / 10
Ho il timore che questo film venga per lo più ignorato dal pubblico, come hanno fatto Academy e parzialmente la Hollywood Foreign Press (Golden Globe). Sì il timore, perché All is lost è Cinema, autentico Cinema, è una sfida che il regista J.C.Chandor (soltanto al suo secondo lungometraggio) ha deciso di affrontare e che lo ha visto vincitore con merito. Un film con un solo personaggio, dialoghi quasi inesistenti, e un'unica location.
Robert Redford (magnifico) è il nostro uomo, nessun nome, nessun accenno alla sua vita se non che sia padre di famiglia, vecchio, esperto navigatore, solitario, tranquillo, che si ritrova nel mezzo dell'Oceano a dover affrontare le insidie del mare quando la sua barca si infrange su un container galleggiante bucandosi. Inizierà un avvincente scontro tra l'Uomo e la Natura, dove il primo assiste impotente alla Forza della seconda, e l'unico modo per sopravvivere è accettarla e resistere grazie alla speranza.
La colonna sonora, sublime, dà colore al tutto: poche note usate in altrettanti pochi momenti, ma ispiranti.
Stilisticamente perfetto, è un film che non si può dimenticare.
Pazzesco, all'uscita dalla sala era questa l'unica parola che riuscivo a dire. Nient'altro.

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Ultima risposta 30/03/2014 14.31.25
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Barteblyman  @  06/02/2014 01:37:53
   5½ / 10
Mi viene francamente difficile trovare in questo film rilevanti questioni esistenziali, filosofiche, antropologiche e spaziali. Non che il film sia orrido, non lo è, ma non fosse per il peso del suo protagonista io lo dimenticherei con baldanzosa nonchalance. L'uomo contro la Natura, spinte vitali alla Spinoza (l'individuo saggio riflette sulla vita, si concentra sul vivere), il destino, la s****, finché la barca va lasciala andare. E quindi quasi due ore di un uomo romito e silenzioso in balia dei flutti su una barca in pieno oceano. Nonostante una regia abbastanza anonima che deve molto al montaggio, c'è da dire che il film non annoia. Non annoia ma neanche appassiona. O perlomeno io non ne sono rimasto coinvolto. Guardavo il tutto essenzialmente affascinato da un elemento extra-diegetico, se così posso dire-, vale a dire trovo fantastico il modo in cui le imbarcazioni sono progettate. Vorrei una casa assemblata come una barca. Con ogni elemento concentrato nella sua essenziale funzionalità, con quell'avere a portata di mano. Muovo una fune, aggancio, appendo, srotolo, arrotolo, ruoto e calibro. Calcolo, scorro, stacco, annodo, pompo, svuoto, soppeso, palpo. Compenetrazione di elementi leggeri e robusti. Funi, vele, carrucole, livelli, sportelli, cassetti sotto cassetti. E' un mondo meraviglioso. Un non indifferente bagaglio tecnico col quale affrontare l'ordalia oceanica nonché terrestre. Ove per ordalia si intende una cruenta prova fisica. Robert Redford fa questo. Senza proferir verbi o sostantivi e senza regalare una prova attoriale particolarmente o soprattutto apparentemente pregnante. Lui fa cose, basta. Certo, che altro dovrebbe fare? Nulla se non quello che fa. Complice forse anche l'età matura non ha neanche da parlare da solo, da riflettere ad alta voce, da ironizzare. Lui fa. E cioè calcola, stacca, annoda, srotola, svuota, aggancia, lancia, riprende, blandisce.

Almeno Tom Hanks aveva il pallone Wilson, almeno Pi aveva la tigre. Redford ha "solo" lo sguardo e le rughe. L'austerità. Aprire quindi, come dicevo, riflessioni altre mi pare francamente eccessivo. E' un film su un evento che si fa hic et nunc, un qui e ora. Un presente che (alla Erich Fromm) è un posto di frontiera temporale. La frontiera di un presente, quasi un paradosso. La contingenza del tempo presente e la fragilità di una imbarcazione che è un puntino minuscolo nell'oceano. Un lungo presente dominato dal mare e dall'alienante assenza di ancoraggio terreno, dalla assenza di un paesaggio che orienti. Il passato era il mare, il futuro potrebbe esserlo e il presente è questa dilatazione temporale. Elementi non tanto dissimili da Gravity, anche se lì lo spazio tutto intorno aveva ben altra profondità nonché inventiva registica. All is lost è una documentazione, non va oltre questo. O meglio, pare non voler arrivare ad altro che a questo e riuscendo tuttavia a non annoiare e persino ad inquietare. L'inquietudine del silenzio, del sottile confine tra l'essere al sicuro e il non esserlo per niente. Ma è una inquietudine data dal tratto documentaristico. Le medesime impressioni, se non in forma più densa, si avrebbero guardando un documentario sugli stambecchi del Kurdistan. Nella sottrazione, nel silenzio, nell'evento che appare l'inquietudine è lì a pochi passi. Quando poi il regista cerca di fare altro, di esserci, di andare in altre direzioni (in particolare nel finale, no spoiler), palesa una certa grossolanità. In definitiva, non vi ho trovato nulla di disarmante se non l'invidia per la vita in barca.

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Ultima risposta 13/02/2014 03.02.19
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