synecdoche, new york regia di Charlie Kaufman USA 2008
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synecdoche, new york (2008)

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locandina del film SYNECDOCHE, NEW YORK

Titolo Originale: SYNECDOCHE, NEW YORK

RegiaCharlie Kaufman

InterpretiPhilip Seymour Hoffman, Catherine Keener, Michelle Williams, Samantha Morton, Hope Davis

Durata: h 2.04
NazionalitàUSA 2008
Generedrammatico
Al cinema nel Giugno 2014

•  Altri film di Charlie Kaufman

Trama del film Synecdoche, new york

Il film racconta di un regista teatrale che cerca di mettere a posto i suoi rapporti con le proprie donne facendo uno spettacolo teatrale in una New York ricostruita al chiuso in scala 1:1.

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Voto Visitatori:   7,83 / 10 (66 voti)7,83Grafico
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Voti e commenti su Synecdoche, new york, 66 opinioni inserite

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Signor Wolf  @  22/01/2017 20:01:31
   1½ / 10
se c'è qualcosa di peggio di un film stupido, è un film stupido e pretenzioso.
visione interrotta al minuto 40, ho qualcosa di meglio da fare che seguire gli svarioni del regista, regista di cui trallaltro mi sono appuntato il nome, in modo da non dovere mai più vedere una cosa passata per le sue mani.

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Ultima risposta 23/01/2017 10.33.38
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jason13  @  30/10/2014 20:04:05
   1 / 10
Sono allibito dai voti dati a questo film....mi ritengo un cinefilo...ho visto di tutto e di piu' da decine di anni...ma questo film pur ammirando molto il povero Hoffman non sono proprio riuscito a capirlo...e' stata un'impresa arrivare fino in fondo anche se a meta' film ho dovuto chiedere aiuto al tasto "avanti" del lettore dvd...consigliare questo titolo e' da perversione mentale.

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Ultima risposta 16/10/2015 14.49.37
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barone_rosso  @  20/07/2014 22:29:11
   5 / 10
Sì, bello, curato.... Ma che due palle, ragazzi...

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Light-Alex  @  06/07/2014 13:25:39
   9 / 10
Un film che arriva a tutti perché parla del viaggio della vita che ognuno di noi compie. Lo fa con un arzigogolato parallelismo tra il teatro e la vita, tra la fantasia e la realtà, tra l'immaginazione e la concretezza. Il tempo, lo spazio, il concatenarsi di causa ed effetti, i ruoli tra attori e personaggi reali si mescolano in un continuo surreale veramente originale e complesso.
Viene messo in scena un metateatro (o forse un metacinema potremmo dire).
C'è sicuramente una finezza di linguaggio e di immagini che rendono il film molto raffinato, oltre che questa storia onirica che rapisce lentamente. Ma c'è anche una forte comunicazione con lo spettatore: il film arriva, ed è questa la nota più importante.
Mettiamoci inoltre un Seymour Hoffman strepitoso.
Parte lentamente ma va in crescendo e finisce col botto. Da vedere e rivedere per apprezzare meglio e capire in ogni sua articolata parte. E si finirà comunque per non capire razionalmente tutto: è un film fatto di sensazioni, di personaggi ed azioni che non hanno un realistico significato, o che al contrario ne hanno molteplici, e ognuno ce ne può leggere una diversa. Non penso che questo lavoro abbia un unico canale per essere interpretato. Un film del genere è inutile cercare di capirlo con la coerenza: si va avanti di suggestioni.

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TheLory  @  06/07/2014 08:51:15
   6½ / 10
Quando ci si accorge quanto è vuota la propria vita, si cerca e vede un significato profondo in tutto, anche in film come questo.
Lodi sperticate esagerate per un film molto curato in tutti gli aspetti tecnici, ma non è certo un capolavoro dai, porca miseria. Solo perchè racconta di morte e abbandoni, non è che si debba fare la hola al cine.
Però l'atmosfera acchiappa, le musiche bellissime e Hoffman qua recita che dio la manda, che io nella vita reale al confronto vivo la mia vita con la naturalezza di un raul bova.

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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento williamdollace  @  01/07/2014 23:08:26
   10 / 10
Con – Synecdoche, New York – Charlie Kaufman architetta il suo capolavoro mostrando brutalmente la natura umana in tutta la sua interezza, senza false gerarchie di ottimismo costruito a tavolino, bensì mostrandoci gli intestini paranoici di Caden Cotard, un regista teatrale alle prese con l'ambizione di creare la più monumentale ["Non accetterò nient'altro se non la brutale verità"] e ipocondriaca rappresentazione teatrale [e alla fine non c'è altro che la più grande della rappresentazione che contiene tutte le altre, la vita].

Kaufman dirige Cotard con la "sindrome del cadavere che cammina", con i suoi escrementi estremamente analizzati, fegato, matrimonio, occhi, tutto è morto o sta morendo, come l'inserirsi le lacrime meccanicamente per piangere di Cotard, prepararsi a piangere ON, come lo spettatore che entra e si siede davanti a Synecdoche si prepara alle lacrime, a morire altre due ore, a morire ancora, a morire meglio.

Il tentativo di suicidio con il quale Caden rifiuta il posto del suo corpo nel mondo, Caden come Abiura del suo corpo Marito di Adele Lacuna Negazione della sua vita che ritrae minuscole opere d'arte mentre per tutta contrapposizione Caden crea monumentali set all'interno di monumentali set all'interno di una città la cui vista ci è interdetta, per rappresentare, lì, chiuso e imploso qual'è, l'intero mondo, l'intera vita, nelle sue contraddizioni e fallimenti, nell'orrido spettacolo di miserie, scelte sbagliate e mancate azioni che siamo.

Scanditi dalle speranze che si dissolvono tanto quanto il tempo passa, massacrati senza scampo, ingoiamo e assimiliamo la paura ingoiando manciate di pillole, controllando sintomi e segnali, ordinando e pulendo per dare un senso all'inquietudine di vivere uno spazio, che non è luogo, ma la mappa del vuoto radicato nella discesa vertiginosa che è la pancia, una pancia in un corpo, un ammasso maleodorante di tubazioni, ossa e liquidi infettabili.

E Caden, zoppo meraviglioso vecchio essere umano.
Ogni bagno in cui si sofferma è la camera di regia della sua Città fantasma.

Finiamo la vita sbrindellati, con i corpi claudicanti, a pezzi, senza arrivare in nessun posto, "la fine è scolpita nel principio", sempre. Piangiamo del nostro disagio a vivere qualsiasi situazione, con chiunque, con le speranze e tutto l'amore ammassate in una scatola rosa schiacciata e abbandonata nella spazzatura, regali troncati nei ricordi sbiaditi, quell'amore che avevamo intravisto e che non abbiamo mai inseguito, coltivato, colto, nemmeno avendolo fianco a fianco, una telefonata che non squilla in una casa che costantemente brucia, che brucia da quando ha iniziato ad esistere.

Ed è qui che si consumano i desideri, perché il tempo passa e distrugge tutto (Gaspar Noé, Irréversible) e tutti, comunque, chiunque, ovunque. Non possiamo sopravvivere al tempo mentre sopravviviamo a noi stessi, mai in pari, mai giusti, mai soddisfatti. "Ora so come farlo" – "Die" (Muori).

E Caden, il suo cuore che si spezza in quello di Sammy, a cui ordina di alzarsi e continuare a respirare, una vita devastata mancata, la perfetta simulazione di una fine (quella di Caden) da Sammy ma già avvenuta perché già a quel punto Caden è un morto che vive (ancora la sindrome omonima), che vive nella paura della Morte morendo, come noi, che con e come lui stiamo morendo – Ora.

Sammy è il corpo sopravvissuto dentro il corpo morto di Caden che ancora sopravvive, solo, "tu non hai mai guardato nessun altro che te stesso."

Tutti, da nessuna parte, tutti insieme.
Just a Little person.

Le foglie dal braccio di Olive cadono come il disincanto degli ultimi respiri, un perdono che non c'è, imperdonabile, disadattamento linguistico come il silenzio che compone ogni giorno dei nostri giorni sparsi, rotti fra le righe, magici come spasmi, incontrovertibili, interdetti, con la musica incorporata da Piccole Persone, con i colori e un set monumentale in canna sopravvissuto a due decenni di accoglienza assassina.

Monumentale architettura del Cinema come la vita, la vita come un Set all'interno di un Set all'interno di un Set, Kaufman che dirige se stesso aggirandosi sul set dirigendo Caden che dirige se stesso e Sammy che dirige quello che sarebbe voluto essere Caden vivendo ciò che lui è impossibilitato a vivere e tutti che dirigono tutti, tutt'intorno, tutti, insieme, noi spettatori a sua volta dentro il gioco della finzione nella nostra vita che si consuma nella poltrona, tutti soli, con i passaporti timbrati soltando dalle nostre cicatrici, ognuno per ognuno – Ora.

Come diciassette anni di spazzatura di set e vita accartocciate abbandonate su un marciapiede fasullo diventato radice. E ancora corpi giocattoli che cadono impastandosi al cemento come Sammy. Non tu Caden – io l'ho fatto davvero – sembra dire con le lacrime frantumate al suolo. Urla nella notte, tremolii alle gambe, coiti interrotti, lacrime sessuali a vicolo chiuso che si consumano nella paura di non saper fare e in quella di non aver saputo farlo in quella di non avrei mai dovuto farlo o del perché non l'ho mai fatto prima, mai un fenomeno di presenza in questa patria di Assenza che brucia all'infinito è Synecdoche NY.

E' un corpo reato, un corpo umano, che arde come una casa in fiamme.
Una telefonata mancata.
La rabbia che si fa silenziosa. Tombale. Onesta.
Piccole persone, grandi desideri, che muoiono interrotti e ininterrottamente, ed è solo questo, il grande fallimento che è la morte.

Sentiamo che manca qualcosa, che quel qualcosa non è mai arrivato. Speriamo e ci disperiamo nello stesso tempo. Non abbiamo paura di morire, ma di morire senza essere stati speciali, senza aver realizzato quel qualcosa che aspettiamo da una vita che ogni 5 secondi muore per 5 secondi. Ora. Ora. Ora. E la morte è la la fine di quella speranza, è il poster del rimpianto, uno per tutti, tutti per tutti. The specifics hardly matter.

Monumentale Affresco del potente spettacolo della Vita e della Morte saldati alla registrazione impervia di Ogni cosa, ogni apoftegma impossibile.
Vita che finisce, Cinema che si avvera.
Dove tutti magicamente, per un istante, siamo collegati.
Everyone is everyone.

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Ultima risposta 03/07/2014 11.38.36
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Invia una mail all'autore del commento NotoriousNiki  @  30/03/2014 14:49:12
   8 / 10
Kaufman fa il salto alla regia, troppe volte ha lavorato per altri condividendone il successo, è arrivata l'occasione di mostrarsi autore a 360° senza limiti al suo ingegno intellettualoide. Siamo dinanzi al meta-teatro senza confini, non si capisce dove inizia e finisce, qua una lettura a 'Sei personaggi in cerca d'autore' deve averla fatta, è vero che già ne 'Il ladro di orchidee' si era sbizzarrito (ove peccava di macchinosità nella prima parte) nel portare lo sceneggiatore (la sua proiezione in pratica) ad entrare nella sceneggiatura su cui stava lavorando, infondendogli quelle svolte ed il finale che bramava. Qui è intreccio di realtà e finzione, una delle grandi tematiche pirandelliane, la finzione suggella le normali azioni umane, il rapporto tra vita e forma (tra autenticità e maschera riporta a 'Uno, nessuno e centomila', la frantumazione dell'io), modella e impasta i suoi attori, instilla memoria indotta, crea proiezioni della sua vita annullando in loro il proprio io. Cervellotico davvero tanto, e per questo ricorre in un montaggio che crei il ritmo, sintetizza le normali azioni ma dilata il Caden Cotard intimista, quello che si apre malinconicamente con le sue donne in una frustrante monotonia. La carta vincente è sempre lo script, voglio dire poteva dirigerlo chiunque non è il Kaufman dietro la mdp a fare la differenza, pur incontrando alcuni passaggi macchinosi, i quali sono l'effetto collaterale di una sceneggiatura anarchica, necessari per ottenere il sale della pellicola.

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Ultima risposta 19/06/2014 20.45.16
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Gruppo STAFF, Moderatore Jellybelly  @  23/07/2012 11:19:55
   8 / 10
Da Kaufman ci si aspetta sempre il colpo di genio, ed ovviamente anche con "Synecdoche, NY" non ha tradito le attese. C'è tutto: la vita come immenso palcoscenico, l'interscambiabilità delle persone (o forse no), l'amore e tutte le sue amare conseguenze, l'arte come finzione e come ricerca ossessiva del vero, l'artista ed il suo doloroso rapporto col proprio genio e con le aspettative che il pubblico ripone nel suo lavoro di artista, la paura della morte (mutuata in blocco da "Rumore bianco" di DeLillo) e delle malattie, il rendez vous finale. Ed ogni singolo tema viene trattato con estrema lucidità da Kaufman, mai così libero di svolazzare come e dove vuole. E però, se proprio bisogna individuare un limite, è proprio nell'eccessiva libertà di Kaufman: da un'idea come quella alla base di "Synecdoche, NY" si sarebbero tranquillamente potuti trarre almeno un paio film, e condensare tutto in un paio d'ore lascia talvolta un'idea di scarsa coesione tra le varie tematiche, probabilmente anche a causa della non perfetta dimestichezza di Kaufman con la regia rispetto alla scrittura.
Ma sono dettagli, in un film che riesce a coniugare momenti di comicità surreale alla Monty Python come la visita di Hazel alla casa in fiamme accompagnata dall'agente immobiliare ed il magnifico finale,

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Ultima risposta 23/07/2012 11.25.59
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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR pier91  @  12/07/2012 19:29:38
   8½ / 10
"Ci sono circa tredici milioni di persone al mondo. Voglio dire, puoi immaginarti così tante persone? E nessuna di quelle persone è una comparsa."

Gli uomini sono mortalmente inquinati dagli Incontri della vita. In questo siamo tutti equivalenti, nessuno è speciale, "ognuno è ognuno", ognuno è sineddoche dell'umanità intera. Impossibile definire i ruoli, assegnare le parti, stabilire una gerarchia del dolore, soffermarsi sulle piaghe di un solo corpo quando l'epidemia è universale. La malinconia, quest' assuefazione alla "scarna tristezza", è solo la presunzione di ritenersi l'animale più sanguinante. Il protagonista dell'opera di Kaufman è in tal senso orribilmente triste, e io ho provato per lui incredibile vicinanza. Caden invecchia nel momento in cui percepisce la consistenza tossica degli addii, quando si riscopre drogato di assenze, presenze scivolate agevolmente nel passato. Caden pretende allora di creare uno spettacolo, "qualcosa di grande e vero e tosto", quasi fosse un barattolo di formaldeide in cui catturare i testimoni della sua esistenza. Tutto quel che gli riesce è morire sulla spalla di un ricordo.

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Ultima risposta 16/07/2012 17.34.45
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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR oh dae-soo  @  20/03/2012 16:19:39
   10 / 10
Immaginate di conoscere il nome della donna della vostra vita.
Immaginate di sapere dove abita.
Immaginate di conoscerne i gusti, le passioni, le paure.
Immaginate di sapere com'è fatta, di che colore ha i capelli, come cammina, come vi prenderebbe la mano.
Immaginate tutto questo senza averla mai vista.
Poi, finalmente, immaginate di incontrarla.
E tutto quello che sapevate già si materializza davanti ai vostri occhi.
Sì, perchè in questo blog un anno fa scrissi che era stato girato il film più bello che avessi mai visto senza che lo avessi visto ancora.
Ne conoscevo il titolo, sapevo chi era l'attore principale (Seymour Hoffman, per me, lo dico da tempo, il più grande di sempre), sapevo chi l'aveva scritto e chi l'aveva girato (Kaufman, un genio), sapevo la trama.
Insomma, come la donna di cui sopra, sapevo tutto di lui.
Sapevo tutto ma non ne avevo mai visto un singolo fotogramma.
Fino ad oggi, il giorno che precede l'arrivo della Primavera.
Primavera significa l'inizio, un nuovo e splendente inizio. Non poteva esserci giorno migliore.

Dovrei rivederlo più e più volte.
Dovrei rivederlo per poterlo capire anche soltanto un pochino di più, anche se sono convinto che la sua comprensione assoluta è una cosa cui, probabilmente, non arriverò mai.
Preferisco allora scriverne a visione appena terminata perchè se da un lato dovrò giocoforza lasciare qualcosa alla comprensione, dall'altro potrò ancora beneficiare dell'incredibile emozione che mi ha lasciato addosso.
Synecdoche New York è un film che non andrebbe nemmeno paragonato al 99,99% del resto della produzione cinematografica. Tutti gli altri film non dovrebbero nemmeno poter mangiare allo stesso tavolo.
Un film che parla della vita e della sua transitorietà, della morte, del nostro piccolo ruolo in questo corto spettacolo che è la nostra esistenza, della ricerca di un senso o semplicemente di quella della felicità, del tentativo di capire noi stessi e la nostra identità, del vedere tutte le vite umane come una sola e unica, dell'attesa, spesso vana, che ci capiti qualcosa di bello per poter cancellare o rendere almeno migliore la nostra misera condizione.
Caden Cotard è un regista teatrale cui la vita sta sfuggendo di mano. Il matrimonio è in crisi profondissima, l'ombra della depressione aleggia intorno a lui, la paura di essere un malato terminale non lo fa star tranquillo. Decide allora, per dare una svolta a tutto, di organizzare un mastodontico spettacolo teatrale mai visto prima, lo spettacolo della sua vita. Costruisce una New York a grandezza naturale dentro dei capannoni. Lavorerà una vita allo spettacolo di una vita.
Kaufman gioca con il vero e il falso, l'autentico e l'artefatto, il naturale e il recitato, persino lo scambio di sesso, il collasso temporale. Impossibile per lo spettatore non perdersi in questo incredibile ed affascinante gioco di ruoli.
Già dall'inizio si capisce come la morte sia l'assoluta protagonista della pellicola.
L'arrivo dell'Autunno, la morte annunciata sul giornale di Harold Pinter..., la sensazione di Caden di non sentirsi troppo bene, il lavandino che gli esplode e lo ferisce, le quinte che cadono addosso all'attrice. Un'atmosfera fatale.
E Hazel che sta leggendo Il Processo, vero e proprio manifesto di una situazione surreale di cui non si capisce nè la genesi nè si intuisce la fine.
Caden inizia a vedere sè stesso fuori da sè stesso, una specie di Uno, nessuno e centomila pirandelliano (opera fortemente riscontrabile in tutto il film). Da qui in poi anche lo spettatore non ha più certezze, fatica a mettere paletti cronologici (lo stesso Caden si confonde continuamente), vede persone invecchiare ed altre no, cerca affannosamente di capire se quella tal scena sta avvenendo veramente o è solo frutto della propria immaginazione. La surrealtà assale tutto e confonde lo stesso protagonista (un bambino che ha scritto un romanzo xenofobo a soli 4 anni? non è altro che la trasposizione del diario di sua figlia, che magicamente "si continua" a scrivere anche senza di lei).
Un nuovo matrimonio, l'inizio delle prove del SUO spettacolo. Caden comincia ad impazzire. Poi trova il suo alter ego, l'uomo che interpreterà la sua parte nello spettacolo.
Intanto il film a intervalli regolari è sempre inframmezzato dalla morte di qualcuno, vera o presunta che sia.
Siamo completamente sopraffatti, inermi davanti a tanta confusione.
Ma tremendamente affascinati però. Più volte ho provato un'emozione rara, puramente intellettiva, una specie di sindrome di Stendhal.
Poi arriva la vera emozione, quella a cui se hai un minimo di cuore non puoi sfuggire. L'ultima mezz'ora l'ho seguita in apnea. L'incontro con la figlia morente (e quel sibillino "omosessuale" di cui forse capiremo qualcosa poi), il suicidio dell'alter ego (scena straziante con un sublime Tom Noonan), il primo vero e proprio momento d'amore con Hazel prima dell'ennesima morte.
E un elemento nuovo che sconvolge ancora una volta lo spettatore. Chi sta rappresentando chi? Lo scambio di generi inizia a farci venire un atroce dubbio. E se tutto fosse a sua volta rappresentazione e spettacolo di un'altra vita ancora, di qualcuno che non abbiamo nemmeno conosciuto? la parte femminile dell'uno o quella maschile dell'altro?
Non importa, si parla della vita e del suo essere niente, solo una piccola frazione di secondo del Tempo.
Di come sprechiamo i nostri pochi anni nell'attesa di qualcosa che ci faccia star bene.
Di come guidiamo nella strada della nostra esistenza limitandoci a ritrovarsi nel tal punto alla tal ora e in un altro punto nel minuto successivo.
E' una visione disperata quella di Kaufman. La speranza in qualcosa aldilà non c'è. E non c'è nemmeno la possibilità di vivere completamente la felicità su questo mondo.
Non resta che tornare ad abbracciare la propria madre (o colei che la interpreta) e morire proprio quando si è ormai capito come doveva esser portato avanti lo spettacolo, quando, forse, si è finalmente compreso quel senso della vita così imperscrutabile.
Proprio quella madre simbolo di nascita accoglierà la nostra morte.Quella madre che abbiamo deluso, forse soltanto perchè amavamo qualcuno che non dovevamo amare.
"Dove sono tutti quanti?" esclama Caden/Ellen? Le quinte sono vuote, lo spettacolo non c'è mai stato o, nel caso fosse stato messo su, questo è il momento di calare il sipario.
Non era questo il significato che Kaufman voleva dare a sineddoche. Forse si riferiva alla vita di uno come vita di tutti o come alle quinte, piccola parte di New York, a rappresentare l'intera città.
La vera e propri sineddoche però è il film stesso.
Guardi lui ed è come se stessi guardi la Bellezza tout court.
Domani è primavera.
Anche per me.

"Ho scoperto come portare avanti lo spettacolo.
Si svolgerà tutto in un solo giorno.
E quel giorno sarà il giorno prima della tua morte, il giorno più felice della mia vita.
E così sarò in grado di riviverlo per sempre"

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Ultima risposta 21/03/2012 20.08.19
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BlackNight90  @  20/08/2010 02:28:46
   9½ / 10
"The idea is to do a massive theater piece. You know, uncompromising, honest… Here's what I think theater is. It's the beginning of thought. It's the truth not yet spoken."
"I won't settle for anything less than the brutal truth. Brutal! Brutal! I will have someone play me
to delve into the murky, cowardly depths of my lonely, fùcked-up being!"
E' Cotard che parla, ma è soprattutto Kaufman che prova a descrivere l'ultimo parto della sua mente fuori dal comune.
‘Synecdoche, New York', una spropositata figura retorica per parlare all'infinito che c'è in noi: la parte per il tutto, si dice per spiegarla. La parte è la vita di Codard, il tutto sono le vite dell'intera umanità? Oppure la parte è l'opera dell'artista, la vita è il tutto? Non c'è una risposta certa perché il percorso per arrivarci è infinito.
Come in un racconto di Borges in cui i cartografi di un Impero straniero decidono di fare una mappa del loro territorio così precisa ed accurata da essere grande quanto l'Impero stesso e, di conseguenza, da contenere una mappa della mappa stessa, e così via. Ma, essendo completamente inutile, fu abbandonata alla rovina (e anche nel film compare una cartina di NY contentente un'altra cartina di NY che ne contiene un'altra...ormai diventata carta straccia).
Come in una litografia di Escher, 'Galleria di stampe', in cui è impossibile distinguere nettamente tra realtà, soggetto e rappresentazione, anche il capolavoro di Kaufman provoca questo profondissimo senso di smarrimento.
Ma non bisogna neppure per un secondo pensare allo sterile gioco intellettuale, il film di Kaufman (come del resto tutta l'opera di Escher) parte dall'esigenza tutta umana di parlare dell'uomo all'uomo: del suo dolore, della paura della morte, dell'ipocondria, del modo in cui ci rapportiamo agli altri e del modo in cui, di conseguenza, vediamo noi stessi (e qui mi ha ricordato, ma forse sono io che son pazzo, un altra opera incredibile, NGE), degli inganni del linguaggio che genera fraintendimenti e confusione e non riesce ad esprimere il mondo interiore di ognuno di noi.
Inevitabilmente il film diventa illusorio e menzognero, onesto, grandioso e miserabile nello stesso tempo, come la vita stessa, in cui tutti sono sia burattinai che burattini di se stessi.
Non pretende di dare risposte ma come tutte le grandi opere si limita a dare ispirazione a trovare in se stessi qualcosa che appaghi il nostro bisogno di vivere e di credere in quello che ci fa vivere.
Film pazzesco, il punto più alto raggiunto dal genio di Kaufman finora. Ma forse 'Synecdoche, New York' non sarebbe stato così emozionante se ci fosse stato un qualsiasi altro attore al posto di Philip S. Hoffman.

La vita è una malattia sessualmente trasmissibile con una mortalità del 100 %.
Pinter è morto, Cotard è morto...e anche io non mi sento tanto bene!

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Ultima risposta 23/03/2012 00.18.03
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wooden  @  16/06/2010 10:25:00
   8½ / 10
Gran filmone, fluido e originale, incredibili i dialoghi, in particolare. (notare la rima).
Non vedo molto la somiglianza con 8 e 1/2 (eccetto la tematica di fondo), a mio parere ancora su di un altro pianeta, seppure anche questo film sia una gran chicca.

Consigliato a tutti, uno dei pochi film degli ultimi anni che mi abbia colpito, anche se in certi punti mi è parso eccessivamente triste.

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Ultima risposta 16/06/2010 10.32.53
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Gruppo COLLABORATORI SENIOR Ciumi  @  03/06/2010 09:22:07
   8 / 10
La vita che assomiglia ad una rappresentazione teatrale, e una rappresentazione teatrale che non assomiglia alla vita.
Il protagonista prova, sente l’urgenza, di ricapitolare la propria esistenza, e farne un'opera, la più umile e assieme la più ambiziosa - ma se la vita è fallimentare, allora sarà tale anche la recita.

Adopera come copione le pagine di un diario… suo, quello dei suoi cari, quello dei suoi io, quello di tutti… pagine scritte, o che si sarebbero potute scrivere, o pagine bianche, infinite come sono le possibilità d'una vita.

Ma le scenografie fumano, New York fuma, gli appartamenti fumano.
Tra decine d'audizioni, gli alter ego si moltiplicano; si presentano, muoiono; diventano i reali loro stessi; altra folla d’aggiungere alla moltitudine, altra confusione che svuota il set invece di riempirlo.

In questo ‘8 e 1/2’ deprimente, ci sono però due personaggi che non hanno da recitare: la malattia, la morte, sono protagoniste autentiche sin dalla prima sequenza.

Comincia nei segni del dolore fisico - anche i tatuaggi marciscono - poi si anestetizza, forse ha principio il coma, dove la vita in ultimo scorre davanti, e si mostra misera, incomprensibile, vana prima della morte.

Kaufman dissemina il suo racconto psicoanalitico di simboli senza farli pesare, interseca ovunque varie realtà, e realtà con immaginazione, e immaginazioni con immaginazioni, e mantiene un timbro sommesso che dà luogo a una lenta monotonia, a una grande rassegnazione, facendo vivere il momento decisivo e quello trascurabile con lo stesso stato d'animo.

Nel finale la voce-guida che pacata giunge dall'oltretomba, m'ha ricordato per un attimo l'ultimo periodo, molto bello, de 'I racconti della luna pallida d'agosto'. Ma se là aiutava a continuare a vivere, qui accompagna verso una morte senza sorriso.

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Ultima risposta 26/03/2012 13.36.13
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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR strange_river  @  28/04/2010 19:10:12
   9 / 10
Difficilissimo. L'ho dovuto vedere una seconda volta per coglierlo in maniera soddisfacente e ho capito che:
Hoffman è un Signor Attore (ma questo a dire il vero già lo sapevo), di quelli che spariscono nel personaggio, generoso e raffinato nell'interpretarlo, intelligentissimo nel proporsi;
Kaufman è pazzo da legare, ambizioso e incosciente ad osare una tale ardita e monumentale messinscena con un rischio percentuale di fallimento artistico altissimo;
S.N.Y. è stato scritto, pensato e scavato senza fermarsi davanti a niente.

Synecdoche New York è qualcosa di estremamente intellettualizzato, ma mai intellettualoide, che cattura per il rigore razionale della sua costruzione e contemporaneamente per il fascino oscuro dei suoi nessi simbolici mai spiegati veramente. La riproduzione che parrebbe infinita di tanti se stessi che guardano (e dirigono) se stessi muoversi sul palcoscenico-vita solleva tutta una serie di quesiti esistenziali nei quali non inutilmente si dibatte il protagonista, e quel “reale” simulacro instilla in chi guarda una sorta di senso di precarietà che fa rasentare lo straniamento, infine evitato magistralmente per un soffio.
Emotivamente è forse un po' freddo (difficile provare vera empatia con il personaggio di Hoffman), ma pregnante, soprattutto in alcuni momenti ben riconoscibili i quali, quasi a tradimento, possono produrre un sentimento di strazio inspiegabile, e non mi riferisco solo agli ultimi minuti del film, acme di malinconica poetica.
C'è tantissimo in S.N.Y., forse come ha già detto qualcuno c'è fin troppo, ma è un tantissimo sostenuto da una consapevolezza, una passione imbrigliata, un voler trasmettere che non può, a suo modo, non avvincere e stimolare.

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Ultima risposta 04/06/2010 09.22.58
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Max78  @  19/04/2010 15:44:08
   9 / 10
si vero fancµlo tutti!
fancµlo a te odio che mi hai consigliato questo film...
e fancµlo a te che stai leggendo questo commento!
Die.

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Ultima risposta 19/04/2010 16.03.59
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Invia una mail all'autore del commento Ødiø Pµrø  @  09/04/2010 11:44:08
   10 / 10
..L'oscura luna fa risplendere un oscuro mondo..

Everything is more complicated than you think. You only see a tenth of what is true.
There are a million little strings attached to every choice you make. And even though the world goes on for eons and eons.. you are only here for a fraction of a fraction of a second. Most of your time is spent being dead or not yet born.

And the truth is.. I don't know why.

Fµck everybody.

Amen.

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Ultima risposta 10/04/2010 13.49.54
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Gruppo REDAZIONE K.S.T.D.E.D.  @  17/03/2010 13:41:45
   9 / 10
Ancora una volta Kaufman gioca con la realtà. Questa volta la ricostruisce in scala 1:1, poi, sempre in scala 1:1, ricostruisce quella appena ricostruita. E continua a ricostruire. Fa convivere tutte queste realtà nello stesso teatro, nella stessa New York ricostruita. I diversi piani narrativi, le singole realtà si confondono e si intrecciano fin quasi a non poter più riconoscere quale sia quella vera, cosa sia reale e cosa no. Un limbo in cui il protagonsita sceglie di rifugiarsi ma nel quale finirà per perdersi, una corazza che diverrà prigione.

Malinconico, pazzesco e geniale.

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Ultima risposta 17/03/2010 19.31.52
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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Tumassa84  @  10/03/2010 08:59:57
   9½ / 10
Synecdoche New York è l'esordio alla regia del geniale sceneggiatore Charlie Kaufman. Per chi non lo conoscesse, è colui che ha scritto "Essere John Malkovich", "Adaptation" e "Eternal Sunshine". Tutti film abbastanza visionari e intricati, ma che comunque avevano una chiave di lettura piuttosto semplice attraverso la quale comprendere l'intreccio. Qui però non c'è niente di tutto ciò, e anzi più si va avanti più tutto si complica, si ingarbuglia e si accartoccia su se stesso. Un film sull'impossibilità della rappresentazione della realtà, sull'impossibilità della rappresentazione in quanto tale, sull'impossibilità della realtà; un vano tentativo di fare un film puro e vero su di un vano tentativo di fare un'opera teatrale pura e vera su di un vano tentativo di vivere un vita pura e vera. Come se ciò non bastasse, il protagonista si chiama Cotard, che è il nome di una sindrome per la quale chi vi è affetto è convinto di essere malato, di star per morire, di non avere più gli organi e che tutti i suoi cari stiano morendo uno dopo l'altro. Ed egli infatti è affetto da questa sindrome, quindi non possiamo sapere se le morti che vediamo siano vere o frutto della sua immaginazione; siamo convinti anche noi spettatori che lui sia malato ma in realtà gli anni passano, lui invecchia e non gli accade niente, non possiamo e non ci è dato sapere se ciò che vediamo è vero o frutto delle sue allucinazioni. Un'opera molto ambiziosa, ma che è abbondantemente all'altezza della sua portata. Un capolavoro che va visto, e che chi ama il cinema di una certa caratura non dovrebbe lasciarsi scappare per nessun motivo. Un film non per tutti, da vedere da soli o con una compagnia selezionatissima.

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Ultima risposta 20/03/2012 17.14.17
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USELESS  @  24/02/2010 17:30:33
   7 / 10
Molto profondo... con degli abbissi rimarchevoli.
Però possibile che andare in profondità non c'è altro modo che quello di legare ulteriori piombi da subacqueo (oltre quelli che la società ci comincia a legare già da piccoli) agli zebedei dello spettatore?
Visione consigliata per quei pochi che hanno testicoli da Guinness dei Primati, tanto resistenti da riuscire a trainarci un camion!

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Ultima risposta 25/02/2010 10.37.53
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Gruppo COLLABORATORI SENIOR ferro84  @  09/02/2010 11:50:42
   8 / 10
Non è sempre necessario essere dei geni per partorire dei capolavori ma certi capolavori mancati possono esseri figli solo di un genio puro.
Charlie Kaufman non solo è un genio ma dimostra di essere un grandissimo cineasta, un vero autore capace di fondere regia e sceneggiatura in un unica entità metafisica.
Synecdoche New York è un'analisi sull'artista, su cosa vuol dire creare, su quanto il nostro vissuto crea l'arte......o la distrugge.
Codard crea uno spettacolo che rappresenti se stesso che dirige uno spettacolo che rappresenta un regista che dirige uno spettacolo che rappresenta se stesso che dirige uno spettacolo.......fino all'assurdo.
Un capolavoro che corre e analizza in chiave surrealista la potenza della rappresentazione che si fa specchio del proprio vissuto reale che poi si perde nella messa in scena fino a non aver più senso e al non essere possibile distinguere tra ciò che reale e ciò che non lo è, portando gli artisti stessi al completo straniamento.

Il genio di Kaufman sta nell'essere riuscito a stravolgere la regola base di un film o di un'opera teatrale, dimostrando che non è il film a raccontare la storia ma la storia stessa a raccontare il film.
SYNECDOCHE, NEW YORK è un film immenso e immensamente difficile, confuso, lento, senza senso, profondo e anticonvenzionale, insomma un'esperienza e come tutte le esperienze è difficile valutarle nell'ambito di un voto.


QUI STIAMO AVANTI MA AVANTI e il genio per sua natura non può essere compreso ma apprezzato si.
Oltretutto non essendo uscito in Italia ho avuto la fortuna di vederlo in lingua originale e gli attori sono assolutamente eccezionali!
Non che Phillip Seymour Hoffman o la Keener non ci avessero abituato ad interpretazioni al limite del perfetto ma sono i personaggi secondari ad essere estremamente credibili.
Bravissima Dianne Wiest fino a Hope Davis nel ruolo della psicanalista sexy, Samantha Morton che non conoscevo ho trovato superba.
Da citare anche Michelle WIlliams ma in generale raramente ho trovato un film che curasse in modo così attento gli attori secondari (MA Tilda Swinton io proprio non l'ho vista temo che sia sbagliata l'indicazione nella scheda).


Non è un capolavoro per una semplice ragione, l'opera di un genio si caratterizza per il suo eccesso, il film è talmente pieno, pieno di riferimenti, di idee, di cose da voler comunicare che risulta essere difficile, quasi impossibile cogliere tutte le sue sfumature e non sempre queste hanno poi una coerenza interna.

Resta comunque un'esperienza cinematografica che va vista, a metà strada tra Inland Empire e 81/2, un film d'artista.

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Ultima risposta 17/03/2010 19.27.42
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bulldog  @  07/02/2010 12:12:06
   10 / 10
Un’opera mastodontica,senza parole.
L'esordio di C.Kaufman si candida come uno dei più bei film della storia del cinema.
Per un commento più approfondito consiglio di leggere quello dell'utente aiemmdv.
Io mi eclisso e torno a riflettere su questo capolavoro.

«Se il segno dell'epoca è la confusione, io vedo alla base di tale confusione una rottura tra le cose e le parole, le idee, i segni che le rappresentano... Il teatro, che non risiede in niente di specifico, ma si serve di tutti i linguaggi (gesti, suoni, parole, fuoco, grida) si ritrova esattamente al punto in cui lo spirito ha bisogno di un linguaggio per manifestarsi»
(Antonin Artaud)


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Ultima risposta 07/02/2010 19.08.26
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Gruppo COLLABORATORI SENIOR elio91  @  02/01/2010 00:25:32
   9½ / 10
Kaufman dirige a ruota libera un'opera pesantissima e incredibilmente deprimente che diventa il capolavoro del 2009.
Analizzare Synecdoche,New York diventa quasi impossibile,difficilissimo perché è un film talmente colossale nella sua esplosione di idee che si rimane basiti dall'inizio alla fine,non si sa bene cosa si stia vedendo in realtà e per riprendersi ci vuole (e mi ci vorrà) un pò di tempo.
Un tema come l'identità (il fulcro di tutte le storie del regista-sceneggiatore) è come sempre il perno fondamentale del film ma lo sviluppo della storia è molto particolare,martellante in un ritmo lentissimo e pieno di dialoghi incredibilmente complessi nella loro apparente semplicità. Per sviscerare ogni significato della storia andrebbe rivisto più volte e non è un esperienza semplice.
Come dichiarato dallo stesso regista,in questo caso esordiente per quanto riguarda lo stare dietro la macchina da presa, Synecdoche è un film simila alla vita,vuole racconare la vita in questo caso di un magnifico e incredibilmente bravo Hoffman. Lo fa in maniera complicata,con salti temporali improvvisi e personaggi incredibilmente complessi. Per non parlare di alcune scene da annoverarsi tra le più strazianti degli ultimi anni:


Nascondi/Visualizza lo SPOILER SPOILER

Insomma un capolavoro quasi assoluto incredibilmente straziante e doloroso,con picchi di una comicità difficile da capire ad una prima visione con le solite trovate di Kaufman.
Sinceramente un pò di mal di testa alla fine c'è ma ne vale la pena. Sempre che in Italia esca ma dubito che un film del genere possa fare incasso nè possa essere capito dalla maggior parte del pubblico. Abbandonerebbero le sale dopo nemmeno venti minuti. Non saprebbero cosa si sono persi.

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Ultima risposta 21/03/2012 11.56.52
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aiemmdv  @  24/10/2009 19:04:06
   10 / 10
Occorrono davvero diversi giorni per potersi riprendere da un film come questo.
Dopo 5 giorni dalla visione ed aver letto e rielaborato la pellicola in maniera dettagliata mi sento pronto per inserire il commento.
Kauffman segue evidentemente un vero e proprio percorso artistico all'interno del quale ogni film serve a ricomporre il mosaico del suo pensiero.
Se in Ladri di orchidee esisteva un vero e proprio rifiuto delle convenzioni classiche della narrazione ,anche qui(seppur in maniera meno evidente)esiste tale concetto.
Così come Artaud riteneva che il testo avesse esercitato una vera e propria tirannia sullo spettacolo,
anche per Kauffman il testo non è da solo sufficente per rappresentare la sua opera.
Artaud diceva:"Se il segno dell'epoca è la confusione una rottura tra le cose e le parole il teatro non risiede in niente di specifico ma nella fusione del tutto"
Queste parole si trovano in perfetta fusione e simbiosi con quello che è lo stile Kauffiano dove la confusione è totale.
I personaggi non solo non sono identificabili in maniera univoca provocando nello spettatore uno smarrimento assoluto, causato dalla più totale carenza di punti di riferimento,ma assumono comportamenti e atteggiamenti che non possono essere considerati "reali" per quello che è il senso più comune di questo termine.
Lo spettatore si trova di fronte all'esigenza imprescindibile di catturare e recepire immagini in maniera del tutto sensoriale e istintiva trovandoci di fronte un film di puro surrealismo stilistico.
I dialoghi sono caratterizzati da una buona dose di ermetismo e ciò costringe lo spettatore a rielaborare il contenuto e individuarne il contenuto metaforico.
Se in Essere John Malkovic la trasformazione di un individuo in un altro veniva visto come la via di fuga ideale per la soddisfazione del nostro essere, in questo film viene vista come l'unico modo per avere la piena conoscenza del nostro essere. Questo è l'unico modo per conoscere meglio se stessi e studiare in maniera dettagliata i bisogni e la natura stessa della vita.
Solo tramite la conoscenza dell'infinità degli individui è possibile trovare la strada che ci consente di definire a pieno il nostro Io. Ma tale processo non raggiungerà mai un "risultato finale" vista l'infinità di persone e situazioni esistenti e sarà destinato a rimanere incompiuto.
Esisterà sempre un desiderio irrealizzato ed un sogno mai appagato!
L'unica risposta è solo la consapevolezza della misera umana a prescindere da chi si è e da ciò che si vuole.
Nessuno di noi è straordinario: ognuno di noi è solo un piccolo tasselo del grande puzzle irrisolvibile della vita.
In tal senso Codard decide di diventare una delle tante comparse dell'opera e in particolare Ellen.
In tal senso l'unica vera opera che può realmente dare una vera risposta al senso della nostra vita è un opera incompita senza mai un titolo e senza mai un inizio e una fine.
Kaufman inoltre fa propria la nozione di teatro povero di Grotowsky per rappresentare la verità sul palcoscenico.
In tal senso nel film viene creato un teatro in scala 1:1 dove non esiste distinzione tra palcoscenico
e mondo reale o meglio: Tutto è palcoscenico e tutto è mondo reale.
La fusione è totale e i due mondi diventano inscindibili.
Al punto che dell'opera non fanno parte banalmente solo riproduzioni della realtà ma anche le prove della riproduzione della realtà ed ancora le riproduzioni delle ripoduzioni della realtà in un gioco di scatole cinesi senza mai fine.
State ancora leggendo? Correte a vederlo :)

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Ultima risposta 25/02/2010 15.04.38
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Gruppo REDAZIONE VincentVega1  @  20/07/2009 13:00:04
   9 / 10
Stravagante e complesso il primo film di Kaufman, ma il suo ennesimo e pressoché perfetto lavoro (dopo sceneggiature come "Adaptation", "Eternal sunshine..." e "Essere John Malkovic").
Una finta realtà ricostruita in una New York di cartapesta che si intreccia con quella stessa realtà che spesso fa stropicciare gli occhi dell'individuo che la vive, come se fosse una fantastica commedia teatrale. Un sunto concreto sulla vita e sulla morte, sui rapporti con le altre persone e con sè stesso, sulle proprie paure e incertezze.
Il tutto trascinato da un Hoffman magnifico, personaggio sfi.gato che ricalca in pieno le caratteristiche di Charlie e Donald Cage, un po' come se Kaufman abbia messo qualcosa di sè anche in questo film.

C'è chi dice che si faccia fatica a trasporre un libro in linguaggio filmico, quest'uomo dentro i suoi film ci mette tutta una vita.

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Ultima risposta 22/03/2012 13.09.58
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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento goat  @  09/07/2009 20:37:50
   9 / 10
l'esordio di kaufman non è un film che racconta una storia, ma è un film che racconta LA storia. è un perfetto simulacro di vita reale: narrando la vicenda di un autore teatrale che per tutta la vita rappresenta specularmente la sua esistenza in una new york fittizia, il geniale artista fa sorridere, fa riflettere, fa commuovere senza un'apparente logica, come pure nella vita reale questi momenti si alternano ed arrivano spesso in maniera del tutto inaspettata e casuale.
guardare questa pellcola è un'esperienza che nella sua frammentarietà potrebbe lasciare interdetti molti, ma è un'esperienza assolutamente da fare.

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Ultima risposta 20/07/2009 14.47.08
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