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SALVATE IL SOLDATO RYAN regia di Steven Spielberg

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kafka62     8 / 10  06/04/2018 15:22:25Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Il D-Day visto da Spielberg è una mezz'ora di realismo bellico mai visto prima al cinema, un delirio visivo quasi insopportabile per lo spettatore, in cui la cinepresa (a spalle, ovviamente) sembra anch'essa partecipare alla battaglia (in alcune scene l'obiettivo si macchia addirittura di schizzi di sangue) e il cui denominatore comune è il terrore e l'impotenza di chi, in mezzo a una gragnuola di colpi che straziano i corpi e assordano le orecchie, non sa letteralmente dove andare, carne da macello per un plotone d'esecuzione invisibile (rari sono i controcampi dei bunker tedeschi, la macchina da presa rimane quasi sempre lì, sulla spiaggia, tra soldati feriti che si tengono gli intestini con le mani, chiamano la mamma o vagano nella allucinata ricerca del braccio strappato loro da una granata). Questo è il primo film e si conclude con una aerea zoomata sul corpo di un soldato morto di nome Ryan, che scopriremo presto essere il fratello di altre due vittime di guerra e di un quarto soldato, ignaro di questo eccidio familiare, paracadutato qualche giorno prima oltre le linee nemiche. Dallo Stato Maggiore dell'Esercito, per una volta sensibile alle tragedie individuali, parte l'ordine: quest'ultimo militare deve essere rintracciato e riportato a casa.
Qui comincia il secondo film, dal classicismo inconfondibilmente spielberghiano. Il manipolo di otto uomini comandato per la missione e guidato dal capitano Miller racchiude un campionario umano all'interno del quale possono agevolmente dispiegarsi interrogativi etici quali: è giusto rischiare la vita di otto persone per quella di una sola, sia pure così duramente provata dalla sorte? Cosa fare della vita di un nemico che si è arreso e non può essere fatto prigioniero perché di intralcio alla missione? Questi ed altri ancora sono topoi ampiamente sfruttati dal cinema bellico, che però Spielberg tratta con sfumature di maggiore ambiguità (senza peraltro mai giungere ad alcun revisionismo storico: la bandiera a stelle e strisce sventola alta sia all'inizio che alla fine del film), ambiguità che si incarna nella stessa figura del capitano Miller il quale, pur sacrificandosi per l'obiettivo della spedizione, rimane pur sempre un anti-eroe, scettico e disilluso, il cui senso del dovere è giustificato dal voler conquistare il diritto di tornare a casa a testa alta, anche se per sua stessa ammissione "più uomini uccido e più mi sento lontano da casa". Questa ambiguità, che giunge fino all'aporia, salva il film dallo schematismo ideologico così come dal semplicismo della messa in scena, nonostante la brutta cornice che lo apre e lo chiude. Scene di attesa incantata, quasi surreali (come quella notturna nella chiesa distrutta, in cui i commilitoni parlano di sé stessi alla fioca luce delle candele, o quella nel villaggio abbandonato, in cui un grammofono suona canzoni di Edith Piaf), si alternano a quelle, peraltro preponderanti, di azione, ma anche qui il genio spettacolare di Spielberg riesce sempre a isolare, finanche nella sparatoria più fitta, singoli gesti e psicologie e perfino complessi momenti di suspense (come nella lunga sequenza della lotta corpo a corpo tra il ranger e il tedesco, che si risolve contro tutte le aspettative a favore di quest'ultimo).
"Salvate il soldato Ryan" è un kolossal che ha molti momenti di grande cinema, spesso con un forte valore simbolico: la mano immobile del capitano Miller morto si imprime nella nostra memoria come la bambina dal vestito rosso di "Schindler's list". Pur essendo indubbiamente un film di genere, ambisce a prendere le distanze dal genere, con un meccanismo che può essere riassunto in un'altra scena spiazzante (almeno per qualche frazione di secondo) per lo spettatore, quella in cui Tom Hanks morente spara a un carro armato con una innocua pistola e questo esplode in una grossa fiammata, giusto qualche attimo prima di vedere passare un aeroplano sopra la sua testa e capire che è stato quest'ultimo a distruggere il tank. E' in questo piccolo, impercettibile spostamento del senso di una scena che risiede il tratto distintivo dell'opera di Spielberg: è l'imprevedibilità dell'autore-demiurgo che si innesta in maniera vitale nei canoni convenzionali e stereotipati del già visto, del risaputo, insomma del classico.