caratteri piccoli caratteri medi caratteri grandi Chiudi finestra

JACKIE BROWN regia di Quentin Tarantino

Nascondi tutte le risposte
Visualizza tutte le risposte
amterme63     7½ / 10  29/05/2011 23:25:42Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
"Pulp Fiction" è stato più che altro un manifesto di estetica (e indirettamente di etica) cinematografica. Con "Jackie Brown" Tarantino comincia a sviluppare e a mettere in pratica le enunciazioni tecniche, stilistiche e di contenuto che tanta impressione avevano suscitato in tutto il mondo.
Dopo "Pulp Fiction" l'attesa era grande; tutti aspettavano di vedere cosa avrebbe tirato fuori dal cilindro la più grande promessa cinematografica degli anni '90. All'uscita di "Jackie Brown" i puristi del novello genere pulp storsero un po' la bocca. Sembrava che Tarantino volesse quasi rinnegare le caratteristiche stilistiche (montaggio atemporale e legato al tipo di azione, svalutazione della trama generale a favore dei piccoli episodi conchiusi in sé, supremazia dello stile sul fatto, mescolanza dei generi, appiattimento e stereotipizzazione dei caratteri, astrazione dalla società e dalla storia) e volesse quasi venire a patti con lo stile "classico" ("Jackie Brown" segue una trama e un filo logico fattuale, ha un montaggio generalmente conseguenziale ed esplicativo, i caratteri mostrano un certo sviluppo e si accenna a una certa introspezione sentimentale, la realtà sociale - i pregiudizi razziali - ed economica - la difficoltà di trovare lavoro, di avere una pensione - entra in gioco).
In realtà Tarantino rispetta i principi cardini del suo cinema: la "nobilitazione" del ceto medio-basso, la fedeltà al sogno americano, l'esaltazione dell'individualismo e del cinismo. In più ci aggiunge alcuni temi che verranno sviluppati a fondo in "Kill Bill": l'emergere di una figura cardine protagonista, sulle esigenze della quale misurare ciò che è bene e ciò che è male; la preminenza data al genere femminile come quello intimamente più forte (omaggio a sua madre); un finale risolutivo e "positivo".
Le citazioni in "Pulp Fiction" erano un po' dei vezzi e dei tentativi di dimostrare la propria bravura. Visto il grande successo, l'entusiasmo, il formarsi di fan dediti solo alla ricerca della fonte della citazione, Tarantino ha pensato bene per i film seguenti di impostarli strutturalmente sulla citazione continua e addirittura sulla rivisitazione di interi generi. Questa del citazionismo è una condanna a cui Tarantino forse non riuscirà mai più a liberarsi. Fatto sta che "Jackie Brown" visivamente e sonoramente si rifà apertamente al genere della blacksploitation e più in generale all'America nera anni '70. Tantissimi sono gli omaggi (strutturazione di scene, tipi di ripresa, proposizioni di caratteri) a questo genere. Tecnicamente c'è poi un susseguirsi di soluzioni stilistiche fra le più varie (piani sequenze, primi piani, campi-controcampi) e soprattutto l'uso originale del punto di vista che in genere corrisponde all'oggetto dei discorsi. Si tratta di soluzioni già usate che Tarantino riutilizza personalizzandole. La civiltà del riciclo ha il suo campione cinematografico proprio in Tarantino.
La cosa che mi ha più colpito di più di questo film è l'implicita negazione etica del tipo esaltato in "Pulp Fiction". All'inizio del film sembra che il protagonista sia Ordell, un tipo ritagliato sulle "Iene" e sui killer di "Pulp Fiction", un tipo cinico, egoista, materialista che si esalta (e esalta il modello di riferimento, l'americano di bassa estrazione e di scarsa cultura) con l'arguzia del linguaggio e la forza del luoghi comuni e dei pregiudizi. Nel corso del film la sua figura oltre ad essere ridicolizzata viene eticamente svalutata. Di fronte a lui sta Max, un tipo altrettanto cinico e materialista ma di natura gelida, non spreca una parola e non abbocca alle provocazioni di Ordell; si mantiene strettamente sui fatti e nel corso del film rivela una notevole intelligenza e comprensione della psicologia degli altri.
La figura che però durante il film piano piano emerge è quella di Jackie, le cui doti sono soprattutto la scaltrezza, l'intelligenza e la capacità strabiliante di controllare le proprie espressioni, i propri atti, ciò che trasmette agli altri. Si precisa meglio l'eroe di Tarantino che avrà poi il coronamento con Kill Bill: è una persona individualista, decisa, sicura, cinica, fredda, che non si fida di nessuno e che usa benissimo l'astuzia, l'intelligenza; non cede ai sentimenti ma dentro dentro ne sente il bisogno. Jackie Brown è probabilmente il carattere più umano e reale fra quelli messi in scena da Tarantino. Di filmico ha il fatto che crede al nuovo sogno americano, cioè la possibilità di arrivare subito a una grande fortuna in denaro (non importa se in maniera illegale) e godersela all'estero. Nonostante che Kubrick con "Rapina a mano armata" abbia dimostrato la vanità materiale di questo sogno, e Penn con "Gangster Story" la vanità esistenziale, Tarantino coltiva e asseconda questa aspirazione segreta dell'americano di bassa estrazione, appunto il "nuovo sogno americano".
"Jackie Brown" è un film pieno di potenzialità sprecate. Pesa come un macigno il fatto che i caratteri di Jackie e di Max non siano stati maggiormente sviluppati e scandagliati; non sappiamo niente del loro passato, di ciò che realmente sentono. Cosa rappresenta la solitudine per loro? Max ce ne avrebbe di cose da dire al riguardo, forse. Tra l'altro, come mai alla fine rifiuta di partire con Jackie? Cosa gli è scattato dentro?
Purtroppo del disagio esistenziale a Tarantino non può che fregare un càzzo, tanto per usare l' elegante ed intelligente modo di far esprimere i suoi personaggi, che il pubblico ama tanto. Se non fosse così preso dal suo narcisismo cinematografico e sviluppasse di più l'introspezione dei personaggi farebbe delle opere più ricche, ancora più memorabili, ancora più belle.