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GIOVENTU', AMORE E RABBIA regia di Tony Richardson

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kafka62     7½ / 10  26/02/2018 16:24:27Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
"Gioventù, amore e rabbia" è, nel bene e nel male, il film forse più emblematico dell'intero free cinema. La ragione del fatto che, a distanza di oltre trent'anni, esso venga ricordato più di altri titoli dello stesso periodo non risiede tanto nella compiuta realizzazione da parte sua delle premesse teoriche e ideologiche del movimento (un approccio anticonvenzionale e quotidiano – oggi si direbbe minimalista – alla realtà, la descrizione di gente e ambienti comuni, uno sguardo socialmente libero e spregiudicato), quanto, probabilmente, nell'abile meccanismo narrativo che lo contraddistingue, il quale, essendo il film ricavato da un testo letterario preesistente (una novella di Sillitoe), appartiene, a dire il vero, più propriamente alla sfera del pro-filmico. Nel film c'è anzitutto un'abile commistione di passato e presente: mentre da una parte la storia di Colin è inframmezzata da una successione via via più rilevante di flashback esplicativi, dall'altra essa tende inesorabilmente verso un epilogo altamente avvincente (riuscirà Colin a vincere la gara di corsa campestre?). Seppur tra loro profondamente diversi (l'arresto di Colin costituisce una linea di demarcazione irreversibile tra un prima e un dopo non più riconciliabili), passato e presente si alternano ma non si contraddicono. Negli ultimi metri della corsa, ad esempio, le immagini degli avvenimenti delle ultime settimane (alcune delle quali, come la visita del padre morto, il regista aveva precedentemente celato) si avvicendano freneticamente nella mente di Colin, subendo un inconscio processo di risemantizzazione e contribuendo a far maturare nel protagonista il clamoroso gesto di ribellione. Del resto, già prima era possibile vedere un parallelismo tra la falsa libertà insita nel permesso di allenarsi fuori del carcere senza sorveglianza e l'euforia per l'improvviso, effimero benessere che fa seguito alla morte del padre; e l'episodio in cui Colin brucia la banconota regalatagli dalla madre prefigura con netto anticipo la conclusione del film.

Nascondi/Visualizza lo SPOILER SPOILER L'atteggiamento critico del protagonista verso le istituzioni è tanto più forte in quanto colui che le incarna, vale a dire il direttore del riformatorio, non è apertamente ostile e crudele (come in tanti film anti-establishment), ma adotta nei suoi confronti un atteggiamento lusinghevole, conciliante, paternalistico. E' il vecchissimo metodo del bastone e della carota, che premia coloro che collaborano (al mantenimento dell'ordine, alla conservazione dello status quo, alla perpetuazione del potere) e castiga, emarginandoli, coloro che – come Colin – a tale regola non intendono sottomettersi (lo dimostra l'ultima scena, che vede la retrocessione di Colin al suo vecchio incarico di lavoro, riservato secondo le leggi non scritte del riformatorio alle matricole e agli irrecuperabili).
Nonostante il pessimismo insito in questo unhappy end, e sebbene sulle immagini in flashback incomba la consapevolezza che la strada di Colin porterà inevitabilmente al riformatorio, l'atmosfera del film non è quasi mai grave e cupa. Anzi, la pur sordida e misera vita di Colin ha spesso soprassalti di giovanile spensieratezza, che la musica di Addison accompagna al ritmo di una originale marcetta e che la macchina da presa di Richardson registra per mezzo di accelerazioni dagli effetti quasi comici e di inquadrature liriche o ariose. E' piuttosto il viso perennemente accigliato dello straordinario Tom Courtenay, perfettamente calato nel ruolo del giovane ribelle e antisociale, che non un ipotetico, unidimensionale intento programmatico dell'autore, a rendere lo spettatore presago dell'immodificabilità del destino del protagonista, dell'illusorietà di ogni suo attimo di felicità (come nella scena sulla spiaggia). E', questo, uno dei meriti maggiori da ascrivere alla pellicola, insieme al bianco e nero "realistico" di Lassally, ottimo nel rendere tanto i brumosi scorci della campagna inglese quanto lo squallido grigiore dei dintorni di Nottingham, e allo stile insolitamente mosso e vivace di Richardson, il quale, con l'uso frequente della macchina a mano e di un montaggio veloce, si avvicina sotto molti aspetti a uno sperimentalismo di tipo nouvelle-vaguistico. Per contro, i limiti di Gioventù, amore e rabbia stanno nella già evidenziata origine letteraria del film, che converte in una messinscena tutto sommato classica e tradizionale la spontaneità naïf del regista, e nel fatto che la rivolta polemica nei confronti delle istituzioni e delle classi dominanti viene descritta in una maniera abbastanza tranquillizzante, senza la rabbia di un Ken Loach, per fare un solo nome. Si tratta del rischio perfettamente identificato da Nowell-Smith quando, accomunando tutti i film del free cinema, scriveva: "Ciò che è differente va proposto e difeso nel suo senso alternativo, non trasformato in una normalità differente, più liberal e, alla fine, rassicurante al di là delle stesse intenzioni"; e, quasi a conferma di questa affermazione, lo stesso Lindsay Anderson ammetteva che "la natura del free cinema era, potremmo dire, socialdemocratica: radicale, etica e riformista piuttosto che rivoluzionaria, teoretica e intellettuale", con ciò motivando il suo sostanziale fallimento ideologico.