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NON TI MUOVERE regia di Sergio Castellitto

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jack_torrence     7½ / 10  22/11/2010 18:44:10Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Vidi questo film quando uscì in sala; ricordo lo giudicai negativamente: mi persuasi che Pasolini, a vederlo, lo avrebbe ferocemente stigmatizzato. "Un film borghese - avrebbe detto - autoindulgente con il suo pubblico di borghesi, così come con il suo protagonista imbelle e meschino".

Quello che pensai allora lo penso ancora, dopo averlo rivisto; tuttavia un motivo per cui questo film mi è rimasto intensamente in mente (la sua trama oltre a molte scene) mi ha convinto a rivalutarlo.
Perché si tratta di un film dalla regia molto ispirata, molto espressiva; il montaggio è spesso originale, il ritmo è febbrile.
Dunque questo film mi piace (per inciso, è cinema e non è per nulla "fiction televisiva"): ma continuo ad avere delle riserve. Fondate sostanzialmente su quell'assunto "pasoliniano" di prima.
"Non ti muovere" ha una trama insopportabile perché la figlia borghese di questo uomo mediocre

Nascondi/Visualizza lo SPOILER SPOILER. E'insopportabile il finale tutto sommato consolatorio, in cui il mondo di ipocrita gente perbene tanto meschina, continua la sua vita, infelice eppure tanto ipocrita da non accorgersi nemmeno di essere infelice.
E'insopportabile il film perché rispecchia il mondo come va e come sta andando, senza destabilizzare le nostre false certezze nemmeno nelle nostre coscienze di spettatori.
Ed è insopportabile perché è quello che avviene nella maggior parte dei film italiani di successo, da diversi anni a questa parte.

"Non ti muovere" sconta queste colpe. Eppure vorrei riprendere tutto quanto ho affermato, e considerarlo sotto diversa luce.
In realtà, il film non è per nulla consolatorio, non perdona al suo protagonista, ed è tutto fuorché ottimista.
E' un film di disperato pessimismo sociale-esistenziale: l'Italia vi muore

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Il difetto della pellicola è soltanto quello di camuffarsi da film "digeribile", "commovente", senza uscire dall'ambiguità che gli impedisce di trasmettere fino in fondo la radicalità del suo pessimismo - che non arriva come potrebbe: o meglio, arriva solo come turbamento emotivo; troppo confuso ed opaco invece il messaggio (che urgerebbe fosse lucido e spassionato) sulle contraddizioni del mondo in cui viviamo.

Castellitto assume sulle sue spalle il peso della meschinità del suo personaggio, preoccupandosi di conferirgli un'anima e una sofferenza. Non voglio cadere nel pregiudizio ideologico, odioso, di rifiutare che questo personaggio possa aver un'anima, e che soffra per i propri sentimenti irrisolti e la propria definitiva incapacità di amare, che sublima (quanto efficacemente?) nell'amore per la figlia.
Piuttosto, dovremmo avere il coraggio di renderci tutti conto di quanto siamo costretti a specchiarci, in un personaggio così, se anche solo vagamente gli assomigliamo per condizione sociale.
Il film è costellato di dettagli, vividi, precisi segnali della sua insofferenza per la falsità che lo circonda e che lui stesso incarna, e alla quale è condannato. Arrivano queste sfumature, al pubblico borghese medio? Secondo me no, eppure sono ben descritte: ma secondo me arrivano come sintomi soltanto di un generico disagio esistenziale.
Invece, il personaggio è insofferente verso il suo essere borghese, e soffre precisamente della sua condizione sociale, che lo obbliga a una perenne falsità e a una definitiva insoddisfazione esistenziale:
"(...) E SE MI ACCADE
DI AMARE IL MONDO NON E' CHE PER VIOLENTO
E INGENUO AMORE SENSUALE
COSI' COME, CONFUSO ADOLESCENTE, UN TEMPO
L'ODIAI, SE IN ESSO MI FERIVA IL MALE
BORGHESE DI ME BORGHESE (...)" (PPPasolini, "Le ceneri di Gramsci").

Del resto, perché Timoteo ama e si innamora di Italia, dopo averla (non per caso) violentata? Per quello stesso "violento amore" che ha le sue radici nell' "odio borghese di sé borghese".
C'è una precisa metafora sociale, assolutamente verosimile (e non solo metafora, quindi): niente può dissuadermene.
Così parla Pasolini a Gramsci, e parrebbero le stesse ragioni per cui Timoteo ama Italia:
"ATTRATTO DA UNA VITA PROLETARIA
A TE ANTERIORE, E'PER ME RELIGIONE
LA SUA ALLEGRIA, NON LA MILLENARIA
SUA LOTTA: LA SUA NATURA, NON LA SUA
COSCIENZA (...)"

Dunque il motivo per cui rivaluto il film sta proprio nella consapevolezza che gli autori (Castellitto e la Mazzantini) hanno delle problematiche sociali (ed esistenziali) che affrontano.
Resta soltanto il lugubre orizzonte di cemento di immondi casermoni in costruzione: morto è ormai il tempo in cui si poteva ancora urlare delle contraddizioni e delle ferite dell'Italia coi toni di Pasolini. Usarli oggi parrebbe anacronistico (non per "ideologia", ché Pasolini parlava con "passione": anacronistico perché il tempo nostro presente, funesto, è quello della pervasiva borghesizzazione degli animi. Scompariva sotto gli occhi di Pasolini, già quarant'anni fa, quell'Italia popolare che rivive, nel film di Castellitto, soltanto in una emarginata albanese...che si chiama Italia... Porta nel suo nome il sintomo di un sogno tradito, da parte di una madre tradita - tradita da un uomo e da un Paese sognato diversamente.

Unitamente al valore aggiunto della messinscena, che mi è (sempre) molto piaciuta, la persuasione che questi argomenti fossero nelle intenzioni degli autori di "Non ti muovere", e sono - ai miei occhi - rappresentati dal film in tutta la loro (meschina) tragedia, è il motivo per cui apprezzo il film (forse perché anche io, come Timoteo e in ogni caso come Pasolini, odio senza soluzione la mia condizione esistenziale, la mia stessa coscienza di una determinata appartenenza sociale).
Del film tuttavia - insisto - non tollero la mancanza di volontà di rendere chiaro il suo punto di approdo, che è disperato, e nasconderlo dietro una patetica scarpetta rossa.
Che lo fa sembrare persino un lieto fine.

Che le contraddizioni - e l'infelicità - di Timoteo siano quelle comuni a tanti spettatori di questo film (la maggioranza?), è il motivo per cui, probabilmente, l'opera è stata pensata in questo modo: peccando però in eccessiva identificazione, senza mantenere la necessaria giusta distanza che permetta un lucido esame di coscienza.