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I PREDATORI DELL'ARCA PERDUTA regia di Steven Spielberg

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amterme63     7 / 10  10/04/2010 17:41:53Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Signore e signori, ecco a voi il “superuomo” versione Spielberg.
Beh, niente di nuovo. Si tratta del solito e classico “eroe”, bello, buono, bravo, fortunato che ha abitato la pellicola filmata fin dai suoi primi rulli (viene subito in mente il bravo Douglas Fairbanks).
Bisogna dire che con Indiana Jones, Spielberg ha congegnato bene il personaggio in modo da renderlo familiare e benvoluto, farcelo sentire vicino e alla nostra portata, rafforzando così il legame ideale-affettivo che si instaura fra eroe e spettatore.
Il punto di forza è nella scelta dell’attore. Harrison Ford non è Sylvester Stallone o Schwarzenegger, ha delle “proporzioni” muscolari medie alla portata di tutti, soprattutto ha un bel viso, delle bellissime espressioni, dei grandi sorrisi che ce lo rendono molto umano. Spielberg maliziosamente in una scena ce lo fa vedere a torso nudo, insomma gioca anche sulla corrente segreta che si scatena in chi è sensibile alla bellezza maschile classica (quella non patinata o palestrata). In un’altra scena invece ce lo mostra estatico che si fa baciare le parti “che non gli fanno male” (un maschio più scaltro non si sarebbe fermato alla bocca come ultima parte non dolorante, ma avrebbe indicato anche qualcosa più in basso …. – ovviamente questa conclusione è implicita in quella scena).
Dalla sua ha soprattutto una strana onniscenza che non si sa come se la sia procurata. In tutte le occasioni cruciali trova il modo per farla franca o venirne fuori e tutte le volte gli va bene. Il regista, sadico e crudele, gliene proprina di tutti i colori e lui impavido riesce sempre a cavarsela con audacia, coraggio ma anche con trucchi e con una fortuna oltremodo sfacciata. Magari ci prova qualcun altro e fallisce miseramente. La cosa alla lunga rischia però di rendere il gioco troppo evidente e sminuire la progressione emotiva.
L’eroe alla Spielberg rifulge poi di perfezione etica. Oltre che forte e audace è anche disinteressato e altruista. Lui si pone al servizio di nobili ideali, accetta eventuali scacchi o sconfitte senza battere ciglio, non è orgoglioso, vendicativo, superbo o ombroso.
A fronte del “tutto positivo” ci sta il “tutto negativo”, non ci sono vie di mezzo. In contrapposizione a Indiana Jones ci sono dei villain fin troppo tipici nella loro cattiveria e anche questo contribuisce a far perdere spessore e valore al film. Oltre ai buoni e ai cattivi c’è la vile plebe, una massa indistinta di uomini per modo di dire, usa e getta, da uccidere senza tanti patemi o messi lì solo per fare semplice folklore. Questo anti-umanesimo è la regola nei film di avventura (a partire da Bruce Lee in poi) ma, non so perché, a me ha sempre dato fastidio.
Siamo di fronte quindi a un quasi perfetto marchingegno crea-divertimento e crea-tensione. Ci sono però anche qui delle retroletture molto interessanti. Prima di tutto il film tratta un importante tema religioso, presentato però in maniera un po’ ambigua. Per la prima volta salta all’occhio la provenienza dalla cultura ebraica da parte di Spielberg. Il Dio rappresentato in questo film è il Dio del Vecchio Testamento, un Dio nazionalista, severo, punitivo. Stranamente, accanto al simbolo chiave dell’ebraismo (cioè l’Arca dell’alleanza) c’è il simbolo del serpente (a protezione dell’Arca), legato quest’ultimo all’opera del Demonio. Tra l’altro le forze contenute dentro l’Arca nel loro scatenarsi ricordano moltissimo gli stereotipi infernali. Che Indiana Jones si sia sbagliato? Che invece di avere trovato il segreto per l’unione armonica fra umano e divino abbia invece fatto scoperchiare una specie di Vaso di Pandora? Sarebbe stata una bella conclusione ironica del film.
In realtà qui sono rappresentate tutte le ambiguità sia religiose che politiche che dal Vecchio Testamento si sono trasferite nelle società moderne sia americana che israeliana, dove è lecito essere “demonio” contro chi è stato etichettato come “cattivo”.