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THE TRUMAN SHOW regia di Peter Weir

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kafka62     8½ / 10  18/04/2018 09:18:32Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Gli sceneggiatori americani ci deliziano da decenni (più o meno da quando è nato il cinema) con geniali invenzioni narrative, che spesso sfruttano i paradossi spazio-temporali più arditi per spostare sempre più avanti le frontiere diegetiche della settima arte. Anche "The Truman Show" nasce da un paradosso, quello del personaggio che dà il titolo al film e che fin dalla nascita è l'involontario protagonista del programma televisivo più popolare al mondo, una sorta di telenovela ambientata in una finta città-set (Seaheaven) della quale egli è inconsapevolmente prigioniero e dove una connivente popolazione di attori e comparse itera all'infinito i banali episodi (relazioni sentimentali comprese) di un'esistenza qualunque. Il centro di interesse del film però non risiede tanto nell'ennesimo atto di accusa del potere alienante della televisione quanto nel problema della libertà dell'individuo e dell'autodeterminazione della propria esistenza. Il graduale (ancorché casuale) smascheramento dell'inganno perpetrato ai danni di Truman per trent'anni ci appassiona soprattutto per la presa di coscienza che gli fa preferire a una normalità omologata ed eterodiretta un futuro incerto e privo di punti fermi (cosa c'è al di là della porta nera che il protagonista varca nell'ultima immagine?). Il naturale calo di tensione che subentra quando veniamo a conoscenza della realtà che sta dietro la linda ma innaturale artificialità della vita di Seaheaven viene quindi compensata dagli spunti di riflessione extra-filmici che "The Truman Show" fa sorgere in abbondanza. Soprattutto quando innalza al ruolo di deuteragonista il regista-demiurgo Cristof (un grande Ed Harris), il quale tenta in tutti i modi di fermare i tentativi di fuga di quella che, non del tutto a torto, considera la sua creatura (è toccante la sequenza in cui Cristof accarezza sullo schermo l'immagine gigantesca di Truman dormiente). Qui il film sfiora la metafisica e la teologia, ma per fortuna è capace di rimanere fino alla fine dentro ai suoi limiti naturali, quelli cioè di uno spettacolo raffinato e intelligente, ironico e divertente, formalmente impeccabile e provocatorio quel tanto che basta, senza alcuna caduta nell'allegoria pedantesca e nella poesia a tutti i costi.