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UN BACIO ROMANTICO regia di Wong Kar-wai

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kafka62     7½ / 10  27/04/2018 11:50:21Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
"Un bacio romantico" è un road movie atipico, e non poteva che essere così, dal momento che Wong Kar Wai è un regista che predilige gli interni, le luci al neon e le scene notturne, anziché gli spazi aperti alla luce del sole che sono i topoi fondamentali del cinema su strada. Pur cambiando i fattori (come già era accaduto con l'esperimento argentino di "Happy together") il prodotto però non cambia: "Un bacio romantico", nonostante l'ambientazione americana, non differisce poi molto dai film asiatici che l'hanno preceduto, anche se Jude Law e Norah Jones prendono il posto di Tony Leung e Maggie Cheung, New York di Hong Kong e le musiche di Ry Cooder di quelle di Frankie Chan. Identiche restano infatti le atmosfere (un romanticismo retrò, ben rappresentato dalla sequenza che dà il titolo alla pellicola), le tematiche (le sofferenze per la fine di un rapporto, gli amori impossibili, le occasioni lasciate fuggire via, la rassegnazione e il fatalismo) e soprattutto le immagini (la fotografia sofisticata e postmoderna, il taglio inusuale delle inquadrature, i ralenti e l'andamento "a scatti"), al punto che si può parlare a ragione di una vera e propria "maniera" del regista hongkonghese, anche se si tratta di una maniera deliziosa e di cui ancora non ci si riesce a stancare. Se una novità il film apporta questa si può individuare nell'ottimismo che connota la parabola di Elizabeth, la quale, partita da New York col cuore straziato, riesce, attraverso gli esemplari incontri (il poliziotto alcolista abbandonato dalla moglie, la giovane giocatrice di poker che si ostina a non voler credere agli altri, come se la stessa notizia che il padre sta morendo in ospedale fosse il bluff di uno dei suoi avversari al tavolo da gioco) fatti nel suo peregrinare per l'America (Memphis, Nevada), riesce – dicevo – a ritrovare se stessa e a ritornare fiduciosa al punto di partenza, dove l'aspetta il gentile e malinconico proprietario di un piccolo ristorante, anche lui reduce da una vicenda sentimentale finita male. Il finale posticcio e prevedibile, seppur figurativamente suggestivo, non riesce però a occultare il vero e proprio leit motiv del film che, grazie anche a oggetti (le chiavi, la torta di mirtilli) o canzoni simbolo ("The greatest" di Cat Power, "Try a little tenderness" di Otis Redding o la younghiana "Harvest moon" cantata da Cassandra Wilson), è quello di voler fermare il tempo (anche se la blueberry pie di Kar Wai non è certo la madeleine di Proust!), vale a dire di riuscire a fissare quegli attimi fuggevoli che, pur nella loro inconsistenza e fugacità, sono capaci di cambiare per sempre un'esistenza e ai quali il raffinato magistero cinematografico del regista di Hong Kong riesce a conferire, come in una sorta di vocazione mistica, una sorprendente e originale supremazia intellettuale.