amterme63 9½ / 10 08/04/2008 23:15:14 » Rispondi Il Padrino II sostanzialmente ricalca il primo episodio nella sua struttura stilistica e narrativa. Anche in questo episodio abbiamo un unico protagonista trattato come “eroe”, anche qui viene “sfidato” e, con fasi alterne che causano passione e identificazione nello spettatore, riesce alla fine a “trionfare”. Stavolta però il trionfo materiale costa caro e vede lo sgretolarsi della basi “etiche” su cui è stato costruito. Questo schema viene inoltre arricchito da varianti (ad esempio, alcune imprese falliscono), la psicologia del protagonista è molto più approfondita, i suoi valori cardini vengono messi maggiormente in discussione, il suo agire è inserito in un ben preciso contesto politico. La seconda parte, oltre alla perfezione stilistica, offre molti più spunti di riflessione e una maggiore verità sociale e umana, ed è quindi secondo me migliore rispetto alla prima. Stavolta il carattere di Michael giganteggia solitario, non ha più la presenza ingombrante del padre. Al Pacino riesce così a dare maggiore forza e coerenza al personaggio, conferendogli un’espressione/maschera caratteristica, che esprime durezza, sangue freddo, risolutezza. Gli affari più cinici e spregiudicati si susseguono inframezzati da cerimonie borghesi, funzioni religiose e riunioni politiche. La denuncia dell’ipocrisia che nella prima parte era concentrata nella scena del battesimo, qui diventa quasi un filo conduttore di tutte le scene e funge da smascheramento etico di una classe sociale (la ricca borghesia) ritenuta fin ad allora la spina dorsale della nazione americana. In questo contesto si inserisce un esplicito coinvolgimento delle istituzioni politiche nella figura di un senatore, il quale pensa di servirsi del potere mafioso per i suoi fini, ma che invece finisce per diventare anche lui un burattino manovrato dall’alto. Addirittura la commissione governativa e l’FBI non riescono ad incriminare il boss mafioso da quanto è forte e intimidatorio il suo potere. E’ una palese ammissione di debolezza e di complicità delle istituzioni. Questo “coraggio” nella rappresentazione della collusione lo si può spiegare con il fatto che quello era il periodo dello scandalo Watergate e che quindi le istituzioni erano già nella realtà sul banco degli imputati. Questo episodio sortisce pure uno strano effetto di “soddisfazione” nello spettatore, nel vedere che l’”eroe” ha scampato pure il “pericolo” della legge. Danno la sensazione che il malaffare sia l’unico mezzo di affermazione sociale anche tutti gli intermezzi storici sull’infanzia di Vito Andolini/Corleone. Servono più che altro come parallelo e giustificativo del percorso bontà-cattiveria intrapreso da Michael. Anche suo padre ha fatto lo stesso. Era un ragazzo buono, sostanzialmente pacifico ma il dominare assoluto del sopruso e della violenza gli hanno posto davanti l’alternativa se cedere o prendere il posto dell’oppressore. Il giovane Vito viene trattato fin troppo bene nel film. La sua ribellione violenta viene vista come un atto di “giustizia” e la sua “amministrazione” come saggia e giusta. Si nasconde che in realtà ha semplicemente preso il posto del suo estorsore e ne ha perpretato i metodi, magari in maniera più ipocrita. Inoltre con questi splendidi episodi storici si crea la sensazione di saga familiare e di come il valore della “famiglia” sia la base di ogni comportamento e il suo giustificativo etico. Insieme alla sua rappresentazione storica, nella II parte si assiste però anche al dissolversi materiale del valore della famiglia, il quale diventa qualcosa di fine a se stesso, un guscio vuoto. Questo grazie all’episodio di Fredo e al “risveglio” della moglie di Michael.
Il personaggio di Fredo è forse il punto debole del film. Il suo carattere non è ben approfondito ed è un po’ contraddittorio. Intanto sulla sua testa aleggia lo spettro dell’omosessualità e poi il suo atteggiamento debole e dubbioso contrasta con la tremenda decisione di “tradire” suo fratello, che non si comprende bene quanto sia “inconsapevole”. Intanto non si riesce a capire se sia stato lui a preparare l’agguato a Michael in casa propria (e in questo caso rivelerebbe molto sangue freddo e decisione) e poi si comporta in maniera molto goffa e infantile quando dice di non conoscere Holland e poi racconta di essere stato in giro per locali con lui. Comunque riesce lo stesso a svolgere il proprio compito di disvelamento di come l’etica della famiglia sia solo una copertura e che quello che conta è avere il potere. Per questo si può arrivare ad ammazzare anche un fratello e questo peserà assai sulla coscienza etica di Michael o su quello che ne resta. All’indurimento dell’animo contribuisce pure il distacco dalla moglie, la quale “finalmente” apre gli occhi sulla vera natura del marito (meglio tardi che mai). La scena in cui si rivela l’aborto è la più intensa e sconvolgente del film (bravissimo Al Pacino in quella scena). E’ il crollo di tutti gli infingimenti e la scoperta che a Michael interessa solo prolungare la stirpe e il potere per il potere.
Il finale ripropone quindi la dicotomia della prima parte fra il Michael buono e quello spietato. Quello che nella prima parte era una debolezza, ora diventa una risorsa. Adesso viene finalmente a galla l’animo di Michael, adesso si fanno una buona volta i conti fra quello che si desiderava diventare e quello che ci si ritrova ad essere. Ecco allora che il Padrino al culmine del potere si accorge di essere solo e senza più una giustificazione etica a quello che fa. Con questo terribile sentimento tragico si chiude un capolavoro filmico che mi ha colpito anche per la grande cura e l’estremo realismo delle scene.