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PORCILE regia di Pier Paolo Pasolini

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amterme63     7 / 10  12/01/2012 18:58:51Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Si tratta del film più "difficile" di Pasolini visto fino ad ora. Qui veramente occorre molta riflessione e intuizione per ricavare il messaggio o decifrare le innumerevoli metafore etico-spirituali espresse. Il tutto accompagnato da un ritmo molto riflessivo e contemplativo, in altre parole molto lento. Insomma un film decisamente pesante e verso il quale occorre approcciarsi con mente aperta e ben disposta.
Il film è salvato soprattutto dalla grande suggestione visiva delle immagini. Dove non arriva l'intelletto arriva il senso estico, nell'infondere nello spettatore sensazioni rilevanti e che lasciano il segno.
Riflettendoci bene, cercando di azzardare interpretazioni, si scoprono temi di fondamentale importanza e soprattutto il solito acume e la solita preveggenza di Pasolini nel rappresentare il cammino umano moderno (nonché il proprio destino).
La storia si basa su di un montaggio alternato fra una vicenda che si svolge in un passato indeterminato e mitico (forse la Sicilia del '600) e una che si svolge nel presente. Le due vicende sembrano marciare in parallelo ma i punti di contatto fra loro sono molto aleatori e difficili a cogliersi. Ci si domanda il perché quindi di questo rimpallo fra due vicende apparentemente estranee fra di loro.
La vicenda del passato ci riporta nel mondo ritratto al termine di Teorema: una distesa primordiale di un fascino visivo sublime. Il tema espresso è quello del contrasto fra istinto, natura, libertà da una parte e civiltà, religione e norma dall'altra. Pasolini come al solito non parteggia, non prende posizione (o almeno sembra non farlo) ed espone in maniera simbolica ed espressiva l'essenza di ogni parte. Certo l'accento è posto sulla parte naturale (la protagonista della vicenda), contemplata e descritta minuziosamente. Non si nascondono però le sue contraddizioni e i lati scomodi (l'uccisione del padre, il cannibalismo, l'etica della tribù, il culto degli aspetti orridi della natura). E' un aspetto destinato a soccombere in ogni caso di fronte alla civilizzazione, la quale certo non è certo più virtuosa della sua controparte (vedi il supplizio finale riservato ai "ribelli"), semplicemente più ipocrita.
L'ipocrisia e il vero volto della borghesia è invece il motivo della seconda parte, quella che si svolgerebbe in una mitica Germania moderna. Il fine è quello di dimostrare che dietro la supremazia economica di tale classe e di tale nazione ci sono gli stessi ideali, le stesse mire traslate che avevano animato il tentativo di supremazia hitleriano (c'è da dire che era una sensazione molto diffusa all'epoca, anche nella stessa Germania). Comunque la Germania non è altro che la metafora della società capitalista borghese moderna, la quale cambia continuamente faccia e modi ma che sotto sotto rimane meschina, prevaricatrice, falsa e materialista (grandi interpretazioni di Lionello e Tognazzi).
Pasolini inserisce nella vicenda anche la sua visione scettica dei movimenti democratici giovanili assai attivi all'epoca. Non sono altro che un'appendice annoiata e velleitaria della borghesia stessa, tutto sommato destinata a rientrare nei ranghi. Si tratta quindi secondo Pasolini di una ribellione di facciata.
Più complesso e difficile da interpretare è il personaggio di Julian. Lui è il vero ribelle, perché è un ribelle spirituale. I suoi atti non hanno forme e fini omologabili. E' soprattutto un poeta, uno che vede gli oggetti in maniera estetica e spirituale e nonostante appartenga alla borghesia è al di sopra dei suoi istituti. In Julian Pasolini ha voluto forse ritrarre se stesso e/o il ruolo che ha l'artista o il poeta nel mondo moderno. Suo malgrado è attirato dalla parte più sporca, lercia e prosaica della società e il suo destino (il destino dell'arte nel mondo moderno) è quello di essere letteralmente divorato, stritolato, consumato senza pietà o ritegno. E' stato poi anche il destino di Pasolini stesso, attirato dal mondo basso e infimo e che finirà per farsi divorare da esso.