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IL PARTIGIANO JOHNNY regia di Guido Chiesa

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kafka62     7 / 10  18/02/2018 17:57:53Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Guido Chiesa rende un ottimo servizio al romanzo di Beppe Fenoglio, traducendolo in uno stile visivo che sta ai film italiani sulla resistenza più o meno come quello letterario de "Il partigiano Johnny" (pubblicato, come si ricorderà, nel 1968) stava ai romanzi sulla guerra partigiana del dopoguerra: ovverossia, un'opera unica e sorprendente, anche se tanti film americani sul Vietnam visti nell'ultimo quarto del secolo scorso non ce lo facciano più apparire come una assoluta novità. In ogni caso, le ellissi spiazzanti, il montaggio franto, il ritmo incalzante e la fotografia sporca non fanno rimpiangere quello che è stato per molte generazioni un vero e proprio romanzo di formazione. Certo, alcuni spettatori probabilmente si lamenteranno dell'eccessiva velocità del film, la quale (nonostante le oltre due ore di durata) non permette di soffermarsi troppo a lungo sui singoli avvenimenti e di affezionarsi ai tanti suoi personaggi. Ma è proprio questa caratteristica che, a ben vedere, lo rende così inconfondibile e prezioso, in quanto l'avvicendarsi incessante di episodi su episodi, senza alcuna gerarchia, senza un ordine diegetico percepibile, rende benissimo il disorientamento di Johnny e dei suoi compagni, sballottati da una fuga all'altra, costretti a nascondersi, a mendicare cibo, a lottare per la mera sopravvivenza, senza che mai riescano a cogliere un senso superiore, un disegno che li trascenda.
Il film si sviluppa così in senso orizzontale, spogliato di pathos, immerso nel fango e nella neve in cui sguazzano, scivolano e arrancano i personaggi. Ci coglie pertanto di sorpresa la scena in cui la macchina da presa, fino ad allora incollata al protagonista, ondeggiante e sobbalzante anch'essa nei frenetici e incoerenti movimenti nei boschi e nelle colline delle Langhe, si alza per un minuto nel cielo azzurro, mentre Judy Garland canta Over the rainbow. Sembra il preludio della vittoria finale, ma è un falso segnale. Johnny muore, come sappiamo, due mesi prima della fine del conflitto, anche se il fermo immagine conclusivo, che lo ritrae vitale e quasi sorridente un istante prima che la pallottola lo raggiunga, toglie ogni drammaticità alla scena.
Fedele ai suoi intenti, Chiesa non cede al sentimento, né tantomeno al didascalismo e alla retorica, dandoci un'immagine della resistenza scrupolosa ed obiettiva, debitamente chiaroscurata e mai manichea, cruda e disadorna, antieroica nel suo caparbio mostrarci uomini normali che hanno solo avuto il merito di schierarsi dalla parte giusta.