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DARATT - LA STAGIONE DEL PERDONO regia di Mahamat-Saleh Haroun

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oh dae-soo     6½ / 10  06/05/2011 10:18:43Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Quello africano è certamente il cinema che fa più fatica a venir fuori. Oltre all'ovvia minor produzione (certo non hanno Hollywood nè tanto meno Bollywood...) è più che altro la mancanza di distribuzione al di fuori dei propri confini a far sì che alla fine rimanga un cinema da festival, da rassegne. Non è un caso che anche questo buon prodotto, Daratt, abbia avuto visibilità (pochina in effetti...) soltanto grazie alla Biennale di Venezia. Certo, anche il cinema asiatico e quello indiano fino a poco tempo fa non esportavano quasi niente ma avevano alla base la produzione di una quantità di film enorme (superiore a quella Usa probabilmente) ed alla fine, e meno male, gli argini si son rotti.
Atim ha perso il padre prima ancora di nascere nella guerra civile del Ciad. Scopre alla radio che lo Stato ha concesso l'amnistia a tutti i criminali di guerra. Per Atim è allora giunto il momento di partire e andare a vendicare personalmente l'assassinio del padre. Scopre che il colpevole ha una panetteria. Si fa assumere.
Film che basa tutto (o quasi) sulle dinamiche emotive sia dello spettatore che degli stessi protagonisti. Atim si ritrova a lavorare per l'assassino di suo padre ma in realtà il suo unico scopo è trovare il coraggio e l'occasione per ucciderlo. D'altro canto però Nassara, l'ex criminale, inizia a voler profondamente bene al ragazzo tanto da considerarlo dopo un pò di tempo alla stregua di un figlio. E' qui la forza del film a mio parere. Nassara non ha figli, anzi nel corso del film la sua compagna ne abortirà uno. C'è quindi l'unione impossibile (dato il fatto di sangue su cui cementa le proprie basi) tra un ragazzo che avrebbe voluto un padre e un uomo che vorrebbe un figlio. Atim corre il rischio di iniziare a intravedere una figura paterna proprio nell'uomo che gliel'ha tolta. Si arriva al finale.
Il difetto principale di Daratt è l'assoluta incapacità di cambio di ritmo, sia nel plot che nel coinvolgimento emotivo. Il film si prende i suoi tempi per raccontare ma tranne che nel bel finale (ma prevedibile), non alza mai il livello di attenzione dello spettatore. Sembrano poi assolutamente forzate e un pò banalotte alcune sequenze come l'attesa del nonno nel deserto, l'aggressione al poliziotto e quasi inconcepibile la scelta di far parlare Nassara attraverso un apparecchio che poggia alla gola, il tutto a causa di un tentativo di sgozzamento che aveva subito in passato (simile al povero Mario Frigerio del caso Olindo e Rosa Bazzi per intenderci). Tale scelta dona ancor più lentezza al film e se inizialmente può esser suggestiva, andando avanti stanca molto. Probabilmente vuole testimoniare che anche i carnefici hanno avuto i loro morti e i loro feriti ma c'erano mille modi per farlo venir fuori. In conclusione un bel film consigliato a tutti quelli che amano il cinema delle storie (e della Storia) ma niente che rimanga impresso per sempre.