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IL DIAVOLO PROBABILMENTE regia di Robert Bresson

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Ciumi     9 / 10  18/10/2010 11:16:22Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
L'inaridimento della vita non può essere rappresentato se non con l'inaridimento dell'arte. Nell'ultimo Bresson, il contegno diviene apatia, forse pigrizia. Non merita azione la vita come non la merita la morte. Neppure il proprio talento, la propria intelligenza, quelli del regista. Resta come ultimo appiglio un pudore ostinato, una rigidezza dignitosa, l'assoluta coerenza.
Rifiuto di Dìo, le sedie della chiesa come ossa accatastate. Rifiuto della passione amorosa. Rifiuto di tutte le politiche, di tutti i sondaggi, d'ogni forma di aggregazione.

Le immagini di un proiettore mostrano un mondo corrotto, avvelenato. E' ciò che il film nega anche di denunciare. Ce lo rende così, in un documentario. Ciò che Charles avverte ma non può e non vuole cambiare. I corpi vanno, inanimi, diritti, senza testa, marionette grigie prive di gioia. Cosa li muove? Il diavolo, probabilmente. Gli attori fuggono le inquadrature, le lasciano agli oggetti. Non recitano. Non sono vivi. Cosa ti interessa? Nulla. La stessa cosa che a tutti interessa.

Il patto tra i due amici è stipulato dal momento in cui Charles aiuta il compagno a drogarsi, e lo avvia verso la morte. Lui dovrà ricambiare. La fedeltà di questo accordo, la garantisce il denaro: già l'argent si affaccia in 'Le diable probablement', da protagonista.

Charles, Bresson, passa davanti a un'abitazione, là una musica che sembra provenire da un suo vecchio film, esce da una finestra semichiusa, s'intravede un istante di quella grazia nella cui luce il suo cinema un tempo terminava. Pensiamo per un momento che gli occhi gli si riaccenderanno. Pensiamo al ladro, all'asinello, a Mouchette. Charles scavalca il muro come lo scavalcava il condannato verso la libertà. Di là un cimitero. Nulla, ci viene negato anche l'ultimo pensiero, seppure non fosse niente di sublime. Il corpo cade, l'altro scappa. Noi non lo sapremo mai.
amterme63  20/10/2010 09:17:13Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ecco, questo è un film completo, ricchissimo di spunti a volte anche contrastanti e non un film monotematico come "L'argent".
Charles non è l'unico personaggio del film, c'è Michel, c'è Alberte, c'è un'alternativa. Se VUOLE Charles potrebbe salvarsi. Ma no, troppo orgoglioso, troppo idealista, anzi troppo prigioniero delle sue idee. Ed è proprio questa la condanna: fare la fine delle proprie stesse idee. La morte di Michel non è altro che la morte della filosofia etico-idealista novecentesca, che credeva di riuscire a cambiare il mondo, di creare un nuovo essere umano e invece finisce miseramente, vedendo fallita anche l'illusione della propria superiorità (pensava di morire in maniera nobile - idealizzando anche la morte - povero "cretino" quel Charles).
Bresson in questo film quindi riesce a farci vedere tutto controluce, in maniera critica, lasciando allo spettatore un margine di giudizio etico/critico. Non così in L'argent dove tutto è già fissato e predisposto dall'inizio alla fine e lo spettatore non ha che d'assistere impassibile e passivo a qualcosa di già preannunciato.
Insomma ce ne sarebbe da discutere per una giornata intera.
Il tuo commento è bellissimo, Maurizio. Ciao.
Ciumi  20/10/2010 17:58:08Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Con il tuo discorso mi trovo d’accordo, Luca, ma solo a patto di isolare questo film dal percorso artistico di Bresson. Se invece se ne tiene conto, non riesco a non accostare a ciò che dici la concezione metafisica dell’arte, e dunque della vita, di B.
Il suo ragionare è sempre solitario; un tempo, egli s’illudeva che l’astensione ai ‘peccati’ del mondo, o la sola umiltà, in quella sorta di laico ascetismo, potessero infine illuminarsi della grazia, forse finanche divina. Ma è come se col tempo si fosse accorto che quel riscatto non era possibile se non soltanto nello specchio dell’arte, mai nella propria vita; era un riflesso, qualcosa di non vero. Ovvio che Bresson non è mai stato un illusionista: per lui il cinema è catarsi, la propria dimensione esistenziale. Ora, se Bresson, che non ha mai avuto fede nell’uomo, ha perso anche fede in Dìo e in genere nella vita, perché nei suoi film dovrebbe fingere il contrario? Perché offrire un’opzione finta (per lui) ai suoi nuovi protagonisti, che poi non sono altri che altri ‘se stesso’? In ‘Il diavolo’ io credo che il protagonista possa salvarsi solo dalla morte, ma il rinunciare al suicidio non lo salverebbe dalla vita, ormai priva di ogni significato, e di una qualunque scelta che valga la pena affrontare. In ‘L’argent’, è vero, il concetto di male si disumanizza ulteriormente, diviene il denaro, si fa più ancora pessimismo cosmico.
Nella mia recensione al ‘Condannato’ avevo citato la lirica ‘A se stesso’ di Leopardi. Quando penso all’opera di B, mi tornano in mente spesso le parole di quel componimento, il loro rifiuto estremo di tutto, la loro resa alla vanità infinita. Quel rifiuto, amarissimo, è però dignitoso, vivo sopra ogni cosa, una potente e polemica affermazione dell’essere.. L’identica riflessione mi viene da farla per gli ultimi protagonisti bressoniani, loro non rinunciano al pudore, all’orgoglio, il male preferiscono subirlo da ‘cretini’ piuttosto che aderirvi veramente. Ne verranno assorbiti, il male vincerà su tutto, ma è ciò che in ultimo Bresson sente e ce lo racconta in maniera franca.

Comunque capisco benissimo il tuo punto di vista e il fatto che una tale visione non la si voglia accettare.

Grazie per il complimento, però, dopo il pippottone che ti ho scritto, volevo anche confessarti che l’argent non lo ricordo benissimo, o almeno non abbastanza per risponderti come si deve in merito al confronto tra le due opere.

amterme63  20/10/2010 19:25:08Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Sì, sì. Capisco. Hai anche ragione. In effetti nell'arte uno sfoga tutta la propria amarezza, il proprio pessimismo ma poi alla fine nella realtà ci si fa forza e si affronta tutto a viso aperto. Penso a Leopardi che nonostante la sua filosofia amarissima ha dignitosamente e a testa alta percorso il cammino della propria vita. La vita di Bresson non la conosco ma sinceramente ha fatto ogni cosa in maniera coraggiosissima e coerente. Un grande artista, Bresson, non ci sono dubbi.
Troppi film, Maurizio :-) stai perdendo la memoria!
Ce ne sono 103 di distanza fra me e te. Non ti raggiungerò mai, 'azz!
Ciao e a risentirci.