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BLADE RUNNER regia di Ridley Scott

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MexicoCityBluEs     9 / 10  12/03/2009 15:23:57Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Blade Runner nasce dal difficile compito di trasporre con il mezzo cinematografico uno dei migliori romanzi di Philip K. Dick, ovvero "Ma gli androidi sognano pecore elettriche?".
Non ritengo che il lavoro di Ridley Scott raggiunga la complessità concettuale del libro al quale si ispira; premesso questo, va dato merito al regista di aver completato l'immaginario filosofico-futurista dell'opera letteraria con integrazioni che non ne snaturano il contenuto. Anzi, forse sarebbe più corretto asserire che il maggior pregio del film è proprio quello di aver rivestito di una nuova luce alcune delle intuizioni fondamentali dello scrittore, magari con qualche "concessione hollywoodiana" di troppo (a seconda delle versioni prese in esame), ma alla fine dei conti guadagnando qualcosa in termini di puro intrattenimento. Certo, molto è andato perso, ma i tempi che il cinema impone non avrebbero potuto consentire un diverso approccio alla trasposizione.

Mi sento di muovere comunque qualche critica alla sceneggiatura. Pur bellissimi, alcuni dialoghi - molti dei quali assenti nel libro - mi sono sembrati affrettati e inorganici. Il rapporto tra Deckard e Rachel limita il disagio esistenziale del primo elogiandone la virilità, ed è un peccato se si considera che l'apparato filosofico dell'opera ruota proprio intorno domande esistenziali inerenti il conflitto tra uomo e macchina.
La versione Director's Cut lascia però intendere che Deckard sia a sua volta un replicante, e questo aspetto, pur non mutandone le riflessioni intrinseche, modifica la matrice psicologica della narrazione.
Se Deckard è una macchina, il punto di vista emotivo si sposta dalla fisiologia naturale a quella indotta artificialmente. L'asse del conflitto, in questo modo, attenua l'aspetto umano - prepotente in Dick - evidenziandone solo il carattere dispotico che governa le masse e le specializza. Questi temi sono già tutti presenti nell'opera letteraria, affiancati però al sentimento di un'umanità violentemente alla ricerca del proprio senso di identità. Non dico che nel film tale aspetto non venga trattato - implicitamente, l'insieme delle immagini e dei dialoghi fornisce allo spettatore anche le essenziali linee guida metaforiche della vicenda - ma preferisco il grado di "passione umana" - appunto - ricca di contraddizioni che Dick delinea magistralmente.

Rimane ovvia e voluta la confusione tra le parti - "penso dunque sono" afferma Pris, rivendicando il proprio diritto di essere vivente - e la genialità del film sta proprio nel farci provare le sensazioni di un androide - magari anche solo presunto - celandone la vera natura fino alla fine.
Le nostre estensioni dei sensi, i nostri media, sono ormai inscindibili dalle nostre percezioni, e questo ci rende "animali meccanici", più freddi delle nostre ipotetiche creazioni (vedasi a tal proposito le "indagini precognitive" de "La sposa meccanica" di Marshall McLuhan).

Da un punto di vista tecnico è impossibile non elogiare le scenografie: debordanti, oscure e cariche di un fascino apocalittico, sono entrate nell'immaginario collettivo definendo un buon punto di partenza per il cinema fantascientifico - e non solo - a venire; si pensi ad esempio agli scenari gotici dei film di Alex Projas (anche "Il Corvo" secondo me paga un piccolo tributo a questa pellicola, per non parlare di "Dark City"), o agli ambienti più "scuri" della blasonatissima trilogia di "Matrix".

Se non fossi un fanatico di Dick, e se non avessi inevitabilmente ricercato l'insieme delle sfumature che egli ha dipinto nella sua opera, avrei dato un voto addirittura superiore.