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TOLGO IL DISTURBO regia di Dino Risi

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dobel     7½ / 10  05/10/2009 20:54:53Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Forse come film non è un granché. Si parla di un povero derelitto uscito da un manicomio (un tempo era direttore di banca), che non riesce ad integrarsi con i propri familiari ad eccezione della nipotina. Una riflessione sulla purezza dell'infanzia e su quanto il linguaggio degli adulti sia distante dalla verità. Il vecchio nonno mezzo matto, invece, sa recuperare quel disincanto che lo avvicina alla bimba facendosi capire e riuscendo a farsi apprezzare.
Il discorso su Gassman, per quanto mi riguarda, è il solito: siamo di fronte al più grande attore italiano del novecento (per lo meno il più completo). E' di vecchia scuola e quindi si vede che recita, ma recita così bene che tutti gli altri possono andare a spasso. Il limite che separa l'immedesimazione totale (tipo attori americani che vengono dal metodo Stanislavski mediato dagli Strasberg), e la scuola che definirei diderotiana di Gassman è molto visibile. Spesso il grande Vittorio si compiace dell'artificio tecnico quasi volesse svelarcelo: la costruzione tecnica di Gassman diviene valore espressivo. Chi ha avuto la fortuna di vederlo in teatro (io lo vidi recitare Dante a Sabbioneta), può testimoniare di una scuola impressionante. Ci si trovava di fronte ad un uomo che recitava: non faceva finta di non recitare! Recitava eccome! Non aveva le intonazioni del vicino di casa per essere 'naturale'; cantava come un tenore d'opera con le intonazioni del grande teatro classico. Nella sua declamazione si sentiva Euripide ed Eschilo, Manzoni e Alfieri. Aveva capito (uno degli ultimi con Carmelo Bene) che il teatro italiano è teatro d'opera per una mancata unità linguistica. Lo spettatore dell'Oreste di Alfieri non capiva un fico secco di quello che stava ascoltando. L'attore sapiente riusciva a farglielo intuire adottando intonazioni esasperate e mutuate dal teatro lirico. Quando nell'ottocento l'Italia era frazionata in staterelli ognuno con un proprio idioma linguistico incapace di sviluppare una comunicazione che permettesse al cittadino piemontese di capirsi con quello siciliano, l'opera lirica venne a colmare quel divario culturale infiammando gli animi di tutti con lo stesso fuoco. La musica veniva capita da tutti in quanto la musica non è un linguaggio. L'attore di prosa italiano (attore storicamente dialettale) riusciva a farsi capire solamente esasperando musicalmente e liricamente le proprie intonazioni. Questo tipo di scuola e impostazione è rimasta in auge sino all'avvento della televisione come strumento di unificazione linguistica di massa. Gassman faceva parte dell'ultima generazione di attori provenienti dal teatro classico inteso come teatro d'opera. Lui stesso diceva che l'impostazione vocale all'Accademia Silvio d'Amico veniva insegnata da ex cantanti lirici. Questo si sente sempre nella sua recitazione anche cinematografica, e questo, personalmente mi emoziona sempre tanto. La sua capacità di essere vero pur nella sublimazione artistica della verità me lo rende il più grande esempio di quello che dovrebbe essere un attore! Gassman cantava, non parlava; e questo dovrebbero fare, per sviluppo storico e scuola tradizionale gli attori italiani. Oggi si chiacchiera in teatro come al cinema. Un tempo si cantava.
Dino Campana scrisse "Il popolo d'Italia non canta più! E non vi sembra questa la più grande sciagura nazionale?"
E' vero. Abbiamo perso in gran parte il senso del bello sacrificandolo sull'altare del vero. Ma non abbiamo capito che il vero e il bello devono coincidere: che dietro la bellezza si cela sempre la verità (come diceva Schiller), ma se vogliamo che la verità arrivi e non sembri sciatteria, in arte, dobbiamo fare in modo che il filtro della poesia e della bellezza la passi sempre al setaccio.
Gassman questo lo aveva capito e lo applicava in ogni circostanza. La sublimazione di una recitazione poetica rende vera e emozionante qualsiasi circostanza.