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THE OTHERS regia di Alejandro Amenabar

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kafka62     7½ / 10  26/04/2018 13:43:10Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
In uno scenario tra i più classici del cinema horror (vecchia villa isolata e priva di luce elettrica, lapidi sparpagliate nel giardino, lugubri silhouette di alberi morti, nebbia fitta e onnipresente), si svolge una normale storia di fantasmi, con i tradizionali rumori in soffitta, le porte che si chiudono inspiegabilmente, i pianoforti che suonano da soli, ecc. Tutto secondo le più abusate convenzioni del genere, compresi un paio di shock emotivi a tradimento che fanno letteralmente sobbalzare lo spettatore sulla poltrona.
Invece, proprio quando uno si chiede dove il film andrà a parare, e soprattutto come farà a quadrare con un minimo di verosimiglianza narrativa i tanti conti in sospeso che con troppa leggerezza si sono andati via via accumulando, Amenabar orchestra con geniale maestria un clamoroso colpo di scena, che illumina di una luce completamente nuova quanto visto fino ad allora.

Nascondi/Visualizza lo SPOILER SPOILER Amenabar sfrutta abilmente quella fondamentale regola secondo la quale ciò che vedono e sentono i protagonisti è indiscutibilmente la verità, nella quale lo spettatore non può non identificarsi. Smentendo a posteriori l'attendibilità di questo punto di vista apparentemente obiettivo, il regista (come già aveva fatto in passato Hitchcock, e più recentemente Tornatore con "Una pura formalità" e Singer con "I soliti sospetti") è in grado di attribuire un senso inatteso agli avvenimenti, pur rispettando rigorosamente le regole della verosimiglianza narrativa (anzi, fornendo una giustificazione a posteriori a scene, come quelle della breve ricomparsa del marito disperso in guerra, che sembravano inutili, se non addirittura imbarazzanti, digressioni).
Se si prescinde dalla morale consolatoria di stampo dichiaratamente hollywoodiano, non si può negare che "The others" costituisca una affascinante ricognizione cinematografica negli impervi territori del trascendente e dei rapporti tra vivi e morti, che supera di gran lunga le pur apprezzabili invenzioni di film come "Il paradiso può attendere" o "Ghost". Oltre a essere autore di una sceneggiatura ineccepibile, Amenabar dimostra di avere delle grandi doti tecniche, che gli consentono di mescolare senza mai cadere nel pasticcio suggestioni letterarie (il "Giro di vite" di Henry James), citazioni cinefiliche (da "Shining" a "La notte dei morti viventi") e personali virtuosismi registici in grado di mantenere sempre alta la suspense e la tensione del racconto (come, tra le tante, nella scena in cui il viso che sullo sfondo buio osserva malignamente la protagonista si rivela, una volta aperte le tende e fatta entrare la luce nella stanza, per quello che realmente è: un vecchio dipinto appoggiato sulla parete).