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ALLE SOGLIE DELLA VITA regia di Ingmar Bergman

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amterme63     8 / 10  24/10/2010 11:47:05Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Nessuno come Bergman (forse solo Almodovar) è riuscito a penetrare nel mondo femminile e a riportarne fedelmente e approfonditamente tutti i suoi tormentati effetti.
Qui addirittura si cimenta con un aspetto che più femminile non si può: il parto e l'atteggiamento verso la generazione di una nuova vita, con tutte le circostanze in cui questo atto avviene (mariti, dottori, infermieri, incertezza per il futuro, ecc.)
In questi 80 minuti c'è in pratica tutto. Si comincia con Ingrid Thulin che perde vistosamente sangue. La situazione è decisamente seria e lei è molto preoccupata, nonostante ciò deve avere la forza di affrontare la fredda e impersonale burocrazia ospedaliera (l'immagine d'apertura è eloquente a proposito: un vetro smerigliato dietro cui si muovono ombre: in un ospedale le vite diventano routine e lavoro, in qualche maniera escono dal loro contesto umanitario). Infermieri, dottori si comportano in maniera decisamente fredda e la mdp di Bergman mette bene in evidenza il contrasto fra il dolore e la disperazione della Thulin e il distacco del personale.
L'esperienza dolorosa e straziante si consuma ed è un avvenimento che mette a nudo un'anima in pena, una donna insicura, sfortunata, scoraggiata, alle prese con un matrimonio che ormai non ha più ragione di essere, con il distacco e l'apaticità del marito. E' la solita situazione problematica bergmaniana; eppure ogni volta, anche se filma la stessa situazione, Bergman riesce sempre a infonderle un dolore nuovo, diverso. Sono situazioni così vere e sentite che non lasciano mai indifferenti. Bravissima poi la Thulin.
C'è poi il personaggio interpretato da Eva Dahlbeck: allegro, vivace, positivo, altruista, gentile. Lei ha la fortuna di avere un marito che la ama (un bellissimo e affascinante Max von Sydow) e che la ricopre di attenzioni. Aspetta con ansia e gioia l'arrivo del bambino e ha già progettato tutto. Il destino le gioca però un brutto scherzo ed ecco che tutto crolla, della bontà e dell'altruismo non rimane niente, solo un grande dolore che nemmeno il regista è capace di esprimere (la mdp la segue a distanza e fa "immaginare" allo spettatore più che mostrare).
La sua esperienza vuole dimostrare che non esiste il tutto positivo, che le traversie sono sempre lì in agguato a mettere alla prova la nostra forza di reazione alla vita.
La terza protagonista è Bibi Andersson, la quale ha avuto uno gravidanza indesiderata, con il suo partner non ne vuole sapere di riconoscere il bambino. Anche lei ha le sue traversie: le frecciate delle colleghe, il terrore del giudizio di sua madre, l'incertezza finanziaria. Addirittura ha tentato di abortire volontariamente. Lo stato svedese offre un sacco di facilitazioni alle mamme, ma solo se sono sposate.
Insomma anche per lei avere bambini non è quel dono divino prezioso, quella missione etica fondamentale che tutti vorrebbe dipingere. I suoi giudizi sui neonati sono trancianti, eppure spesso guarda con tenerezza quelle piccole creature tenere e indifese. La ragione dice una cosa, il sentimento un'altra. E' quest'ultimo che alla fine vince e grazie alla comprensione di sua madre può pensare a un futuro.
In ogni caso tutte queste storie finiscono con un punto interrogativo, c'è speranza ma non certezza.
C'è un quarto personaggio un po' idealizzato, quello della caposala, che rappresenta il positivo - singolo, isolato ma pur sempre esistente. Come in "Sussurri e grida", qualcuno che si prenda la briga di consolare, lenire senza chiedere niente in cambio per fortuna esiste.
"Alle soglie della vita" è un altro film sfida per Bergman. Si svolge al 100% all'interno delle asettiche e nude stanze di un ospedale, quasi in tempo reale e in pratica non ha azione. Tra l'altro è completamente privo di colonna sonora! L'accusa di teatralità è a dir poco scontata.
Eppure le immagini hanno una loro vita, una corrente sentimentale che penetra e non lascia indifferenti. C'è tanta verità, tanto dolore o gioia umani. La mdp svaria, si muove, assume punti di vista a volte insoliti, fruga nelle pieghe sentimentali dei personaggi, non è mai statica come in un ideale teatro.
Questo secondo me è cinema allo stato puro e Bergman anche in questi film "minori" sfoggia la sua immensa bravura.
Da notare la censura nostrana bacchettona degli inizi degli anni '60 che ha tagliato tutte le scene crude e materiali, tutti gli accenni all'aborto clandestino e tutti i discorsi negativi verso la maternità
A proposito: questo film è sconsigliato alle partorienti.