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LE VITE DEGLI ALTRI regia di Florian Henckel von Donnersmarck

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kafka62     7½ / 10  06/04/2018 14:48:29Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
"Le vite degli altri" è la esemplificazione filmica di come si possa rimanere esseri umani, o ancora meglio riscattarsi da passate vigliaccherie e infamie, anche in uno stato dispotico e tirannico come la DDR, dominata da un servizio segreto (la STASI) così potente e pervasivo da permettersi di sorvegliare e tenere sotto controllo centinaia di migliaia di cittadini al solo scopo di scoprire e punire qualsiasi posizione, in campo politico, artistico o sociale, giudicata non ortodossa e pericolosa dal regime comunista al potere. L'"eroe" del film è Gerd Wiesler, efficiente capitano della STASI, al quale viene affidato la delicata missione di spiare Georg Dreyman, autore teatrale di successo, e l'attrice sua compagna, Christa-Maria Sieland, di cui si è invaghito il potente Ministro della Cultura, il quale spera che dall'indagine emerga qualche irregolarità per potere in tal modo rendere ricattabile la donna. E qualche cosa effettivamente dalle intercettazioni viene fuori, perché Dreyman, scosso dal suicidio di un amico regista, perseguitato da anni dal regime, decide di far apparire su una rivista della Germania Ovest un suo articolo sulla reale situazione politica del suo paese. Wiesler, che registra fedelmente ogni conversazione che avviene nell'appartamento e viene pertanto a conoscenza del comportamento sovversivo dello scrittore, prende gradualmente coscienza, vuoi perché per la prima volta vede negli individui di cui è costretto a spiare l'intimità non più semplicemente dei potenziali nemici dello Stato ma delle persone, o vuoi perché si è inconsciamente innamorato della bella attrice (ma questo il regista non ce lo svelerà mai, aiutato dall'impenetrabilità del volto e delle azioni del protagonista, improntati a una burocratica freddezza da automa), prende coscienza – dicevo – del ruolo morale del suo lavoro e decide così dapprima di omettere le registrazioni compromettenti e poi di aiutare direttamente l'uomo, mettendo addirittura a repentaglio la carriera e la sicurezza personale. Il finale post-caduta del muro è ottimistico, ma la pellicola è angosciante perché mostra a quali livelli di degradazione e di annientamento della persona può portare l'esercizio coercitivo del potere, ad esempio quando Christa-Maria viene messa di fronte alla tragica alternativa di rinunciare per sempre all'amato teatro oppure denunciare il suo uomo, diventando in tal modo una confidente della STASI. In questa riuscitissima ricostruzione di un periodo storico poco conosciuto (almeno in Occidente), il regista esordiente Florian Henckel von Donnersmarck si avvale di una sceneggiatura di ferro (che non rinuncia, pur nell'impianto da film di denuncia politica, ad efficaci effetti di suspense), di uno stile classicamente essenziale, che sa essere grigio e poco appariscente per rendere alla perfezione lo squallore e la tristezza della Berlino comunista, e soprattutto di attori perfettamente in parte, come l'anonimo funzionario impersonato da Ulrich Muhe, che dissimula sotto una maschera di asettico ed indecifrabile efficientismo desideri ed emozioni di bruciante intensità.