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GUIDA PER RICONOSCERE I TUOI SANTI regia di Dito Montiel

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kafka62     7½ / 10  25/02/2018 18:50:05Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Fa un certo effetto guardare un film tratto da un libro autobiografico, il cui regista è lo stesso scrittore: è un po' come se "Le ceneri di Angela" fosse stato diretto, anziché da Alan Parker, dallo stesso Frank McCourth. In questo modo lo schermo, la pagina e la vita si confondono, si mescolano, si intrecciano indissolubilmente, con un effetto realtà che si potenzia e si moltiplica a dismisura. Si vede che a Montiel questo effetto sta molto a cuore, al punto che nel film vi sono diversi espedienti (si direbbe nouvelle-vaguisti se non fosse per il diverso contesto in cui sono realizzati) per metterlo ulteriormente in risalto: personaggi che si presentano guardando direttamente in macchina, dialoghi che sono pronunciati mentre vengono contemporaneamente sovraimpressi, il vero padre di Dito che appare documentaristicamente nei titoli di coda. Insomma, in questo film, anche se sembra retorico dirlo, si respira la vita vera, anche se poi – tasso di realismo a parte – la "Guida" di Montiel non è apparentemente molto diversa da tutte quelle opere di formazione adolescenziale in cui il protagonista deve fuggire via dal posto dove è nato per potersi lasciare alle spalle miseria e disperazione e potersi affermare e avere successo nella vita. Ho detto apparentemente, perché qui il legame non è reciso del tutto, il cordone ombelicale che lega Dito alla famiglia e agli amici si riavvolge per consentirgli di affermare, con amarezza anche se non con pentimento, "Ho lasciato tutto e tutti, ma loro non hanno mai lasciato me". "Guida per riconoscere i tuoi santi" diventa così l'occasione per una riflessione profonda sulla propria esistenza, mai nostalgica o mitizzata (non siamo dalle parti di "C'era una volta l'America") ma neppure mai demonizzata, giacché la rievocazione di episodi cruenti e dolorosi come la morte di Giuseppe e di Michael, l'arresto di Antonio o le furibonde liti col padre si alternano ai teneri e ingenui amori con la fidanzatina, alle conversazioni notturne con l'amico del cuore davanti a una piscina o ai saltuari lavoretti con uno strambo e strafatto dog-sitter gay. Sullo sfondo un quartiere (il Queens) di cui si possono quasi percepire gli odori, e un gruppo di attori (su tutti l'Antonio di Shia LaBeouf e la Flori di Dianne Wiest) tutti molto bravi nel reggere concitate sequenze dal taglio scorsesiano. E già che ci siamo, oltre al logico e scontato riferimento a Scorsese e al suo "Mean streets", l'opera prima di Montiel richiama anche alla mente, per il senso di claustrofobica mancanza di prospettive che aleggia sui personaggi e sul quartiere in cui vivono, "L'ultimo spettacolo" di Bogdanovich e, per il complesso rapporto con l'anziano genitore, un film ingiustamente dimenticato come "Little Odessa" di James Gray.