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NODO ALLA GOLA regia di Alfred Hitchcock

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amterme63     8 / 10  12/12/2008 21:13:23Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Non mi meraviglia che Truffault e in generale i teorici del cinema nella Francia del dopoguerra ammirassero così tanto Hitchcock. Solo lui riusciva a costruire opere che accontentassero i gusti dello spettatore medio e allo stesso tempo fossero dei piccoli gioielli tecnici, con invenzioni e esperimenti. La caratteristica dei suoi film è il fatto che indirizza l’attenzione degli spettatori non sull’avvenimento in sé, ma sulle cause, i risvolti psicologici e le conseguenze di questi avvenimenti. Il lato “didascalico” spesso s’impone e si identifica con il lato “spettacolare” e questo è uno dei film più didascalici e più interessanti che abbia mai visto.
Lo si vede subito fin dalle prime scene; il delitto rimane quasi sullo sfondo, inesplicato e misterioso (accende così la curiosità e la voglia di sapere dello spettatore, lo rende perciò parte attiva). Hitchcock comincia fin da subito a costruire psicologicamente i due personaggi protagonisti, Brandon e Philip, facendoli parlare e agire in maniera misurata e esatta, quel tanto che occorre per dimostrare in maniera diretta di che pasta sono fatti. L’agitazione è molto ben rappresentata, come pure il fatto che “godano” ancora del loro atto, anche se cominciano anche a essere in qualche maniera atterriti per le conseguenze. Seguono poi le autogiustificazioni teoriche e da qui si dipana il filo che tiene insieme tutto il film: una riflessione sulle cause che possono giustificare l’uccisione di una persona.
I due ragazzi danno voce a una corrente ideologica che ha avuto fortuna anche negli Stati Uniti, quella che teorizzava una società che si basasse su “persone forti” a cui tutto era permesso, le uniche in grado di arrivare all’eccellenza da trasmettere poi a tutta la società.
Nel film entra in scena guarda caso proprio il maestro (James Stewart – una delle sue migliori interpretazioni) che ha insegnato loro questi principi. Un personaggio che risulterà alla fine molto ambiguo, in quanto enuncia certe teorie (non si sa bene se sul serio o se per scherzo) molto nette a favore della completa libertà morale di questi superuomini, per poi giungere quasi all’improvviso a una delle più belle e appassionate confutazioni di queste teorie. Il succo della confutazione è “che qualità hai tu per arrogarti il titolo di superuomo? Come ti permetti di togliere dalla faccia della terra chi ama e opera per il bene collettivo infinitamente più di te?”. Ma qui forse più che la coerenza interiore di un personaggio, interessa a Hitchcock presentare certe teorie e confutarle e bisogna dargli atto di averlo fatto in maniera molto chiara e pulita, anche se l’incoerenza e la prevedibilità dei comportamenti dei personaggi pesa come un macigno sul valore del film (molto didascalico ma allo stesso tempo molto stimolante a livello di riflessione etica).
C’è poi la sottile ambiguità del fatto che a volte si parteggia per i due assassini e si desidera che la facciano franca, per questo spesso ci si arrabbia quasi quando “si tradiscono” o svelano involontariamente, in maniera a volte ingenua, quello che si agita dentro. In questo film si continua a ritenere che la “coscienza” di certi atti negativi estremi turbi profondamente l’animo umano, cioè che l’assassinio è pur sempre qualcosa di “innaturale” che sconvolge il normale comportamento di una persona (tutti temi poi ripresi e aggiornati da Woody Allen). A voler controbilanciare questa adesione emotiva alle ragioni dei protagonisti cattivi, s’introducono i personaggi della ragazza e del padre della vittima e soprattutto della madre, la quale agisce nella nostra immaginazione. In maniera naturale e semplice viene fuori il quadro di una vittima buona, semplice, amata e che ama e ciò rende i protagonisti un po’ odiosi e proprio spocchiosi nella loro senso di superiorità e nel loro cinismo. C’è da dire comunque che questi personaggi “positivi” sono anche un po’ scialbi e duramente colpiti dalla classica ironia del maestro. Insomma le ambiguità e i contrasti sono tantissimi in questo film ed è proprio questo il suo difetto e la sua ricchezza allo stesso tempo.
A me non ha dato assolutamente alcun fastidio il fatto che si svolga tutto all’interno di una stanza, anzi ho ammirato tantissimo la capacità del regista di suggerire il passare del tempo (lo sfondo di New York con le varie luci della sera), come pure l’esperimento intrigante di considerare la storia come un presente in presa diretta (i piani-sequenza). Altra novità è il fatto che spesso l’occhio della mdp inquadra il corridoio o le poltrone vuote mentre gli altri parlano, suggerendo una priorità emotiva e riflessiva al modo di vedere la storia, cioè l’inquadratura non ha lo scopo di mostrare qualcosa di materiale (il corridoio o la poltona in se) ma di suggerire uno stato d’animo, un pensiero o un’emozione. Questo modo di concepire l’immagine sarà poi molto usato dai registi della Nouvelle Vague.