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KANSAS CITY regia di Robert Altman

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amterme63     6½ / 10  13/11/2009 23:32:56Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Non tutte le ciambelle riescono con il buco. Purtroppo questo film non convince in quanto è stilisticamente indefinito, a metà strada fra il comico e il serio, con una storia piuttosto sconnessa e strana. Non c’è un succedersi dei fatti o delle emozioni o delle riflessioni che coinvolga e colpisca lo spettatore. Addirittura ogni tanto scappa lo sbadiglio. Peccato, perché gli argomenti e gli spunti di riflessione sono tanti, solo che non sono adeguatamente comunicati e vengono danneggiati da una storia che non riesce ad appassionare.
La storia è ambientata a Kansas City negli anni ’30 alla vigilia di elezioni politiche (unico parallelo con Nashville). Bisogna dire che Altman ha fatto un grande lavoro di ricostruzione storica, un esercizio che frutterà poi nelle splendide ambientazioni di Gosford Park e nell’atmosfera nostalgica di Radio America. Una grande presenza che segna profondamente il film è la musica jazz, la colonna sonora dell’epoca. Si suona in pratica per tutto il film, accompagnando quasi ogni scena. Altman si affida al montaggio alternato fra le scene con i musicisti jazz e la gente che balla, e le altre scene del film. Solo che i due aspetti scorrono paralleli quasi ignorandosi e non si capisce il rapporto fra musica e storia rappresentata. Anche questo contribuisce all’incertezza stilistica del film, che potrebbe essere un film musicale ma non lo è. La solita tecnica a intreccio di Altman stavolta fa un po’ cilecca, perché non sempre le vicende sembrano ben temporizzate o emotivamente legate.
La storia racconta di un ladruncolo bianco che rapina un ricco nero, nella zona controllata dalla mafia dei neri. E’ così sbadato e approssimativo che si fa subito beccare. Il capo della cosca, interpretato da Harry Belafonte (senz’altro l’attore più bravo del film, l’unico che dà spessore e naturalezza al personaggio) gliela farà pagare cara. A tratti sembra di rivivere l’atmosfera di “C’era una volta in America”.
La protagonista del film è però la fidanzata del ladruncolo, la quale cerca di liberare in tutti i modi il suo uomo. Sceglie una strana strategia: sequestra la moglie di un importante politico locale per spingerlo ad intervenire. Il film si dilunga su questi due personaggi in scene in cui non avviene niente. Il loro carattere non è che venga chiarito o approfondito, sono poi così strane e sopra le righe che sfiorano quasi il ridicolo. Sono personaggi poco credibili e abbastanza mal recitati.
L’occasione però permette a Altman di fornire un quadro politico e sociale degli Stati Uniti dell’epoca a dir poco disastroso. La corruzione e il malaffare regnano sovrani (dopo gli italiani e gli ebrei di Leone ora anche i neri di Altman), le elezioni sono platealmente truccate e si uccide per pochissimo nell’indifferenza e nell’impunità generali. Va a finire che la sgangherata moglie del ladrucolo diventa la persona più sana e più umana del film.
Ne viene comunque fuori un quadro così desolante che fa effetto vedere i jazzisti che suonano, fanno arte fregandosene di quello che avviene intorno. Certo l’arte è l’unica attività che nobilita e lega in amicizia e in comunità le persone ma appare come chiusa in se stessa nella propria torre di avorio, ininfluente sulla vita e sulla realtà. Non ci vuole molto a fare un parallelo con il presente. Non è che anche noi siamo lì che ci divertiamo, ci distraiamo mentre tutto intorno si uccide, si ruba, tutto cade a rotoli?