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STORIE regia di Michael Haneke

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Invia una mail all'autore del commento kowalsky     6½ / 10  19/05/2007 21:09:59Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Prima di parlare di film schematico e incompiuto, avrei dovuto leggermi il titolo originale. In ogni caso, questo film di Haneke non mi ha mai commosso, eppure per certi versi è emblematico e significativo per comprendere l'approccio stilistico non tradizionale dell'autore. Che non è poco, in questi anni.
Un cinema "estremo" nel senso puramente tecnico del termine: che altro si puo' dire di un film che lascia i destini incrociati bruscamente interrotti (c'è bisogno di usare lo spoiler per un film così?) e che, come fanno i più deliranti spot pubblicitari televisivi, ... interrompe i dialoghi?
Un po' Dogma di Von Trier e un pò Cassavetes, le "Storie" - dopo la "doccia scozzese" del magnifico e insostenibile "Funny Games" mettono in moto la dissonanza dell'antiretorica, l'odio alle regole preconfezionate, qualche compiacimento stilistico e la pretesa di raccontare cinema senza vero cinema, la vita senza una vera vita.
Sono belle e si perdono nelle vie del destino (come il finale di "niente da nascondere" per certi versi).
Tempi lunghi o troppo brevi, lunghi piani-sequenza, pochi dialoghi alternati a brevissimi e spiazzanti monologhi: nè lo spettatore comune nè quello tipo "so-già-cosa-mi-aspetta" possono addattarsi.
Stupenda la Binoche tra fantasmi in celluloide e ansie quotidiane e la dimensione mostruosa, deviante, minimalista della vita (che non c'è) come quell'atto dei soldi buttati con disprezzo nelle mani della mendicante ("l'osso bucato con affettuoso disprezzo gettato" cfr. De Andrè) o lo sputo in faccia alla Binoche da parte di un teppistello di origine araba.
Haneke unisce e separa: il linguaggio dei sordomuti e l'alfabeto Morse come censoria forma di sollievo verso l'Handicap, ovvero tutti i territori della comunicazione (anche non verbali si intende).
Alla fine questa giostra di incognite mentali, di Europa stoltamente e paradossalmente sempre più lontana da se stessa, mette l'amaro in bocca: usciamo dal cinema con la sensazione che l'autore abbia voluto farsi beffe di noi, creando a modo suo dei "frammenti", delle derive, senza riuscire a persuaderci completamente della loro presuntuosa affidabilità