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IL GRANDE CAPO regia di Lars von Trier

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Invia una mail all'autore del commento kowalsky     6 / 10  14/02/2007 00:32:01Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Certo, Von Trier fa di tutto per essere (o sembrare) il piu' antipatico cineasta dell'universo: è un complimento o un'insulto? Non saprei.
Ma davanti a una frase come "la vita è come un film Dogma: a volte è difficile ascoltare ma questo non spiega che cio' che viene detto non sia importante" l'impressione, fortissima, che l'autore sia divorato dal suo narcisismo è forte.

Una commedia, dunque, "e la morale è innoqua" suggerisce lo stesso regista danese agli spettatori: uno script che pero' essendo di Von Trier non puo' essere paragonato ai classici del genere, vista la predisposizione tecnica autoriale del dogma (appunto) e la caratteristica formalità minimale che riscontro anche in altri film nordici contemporanei.

Una "commedia dell'assurdo", ben detto, pensando a Beckett (per i dialoghi) ma soprattutto a Brecht (per il messaggio) dove fondamentale c'è da osservare che "lo spasso" generato dalla "recita" e dalle peripezie del buffo protagonista (quasi un W. Allen europeo) viene strumentalizzato da una serie di dialoghi intellettuali e uno smacco snobistico francamente irritante.
Il tema stesso - la predisposizione sociale a regredire l'individuo e il ruolo che ricopre anche falsamente, le colpe che ricadono sulla statura del (finto) Capo, la Recita del denaro e del malaffare contrastata ai sentimenti (o alla sudditanza del potere?) viene dirottato in quest'astrusa cerchia snobistica dove è facile ravvisare in Von Trier il disprezzo per Ibsen e l'amore per la crudeltà a lui affine di Strimberg.

Direi "fagocitato", con la sensazione (forte) che lo spettatore sia spesso messo nelle condizioni di "impiegato" rispetto al suo potere di cineasta.

Ok, Gambini (regista misconosciuto di una piece recitata dall'attore fallito) è una parodia di Ibsen, l'industriale islandese è irriverente e metaforico, pero' qualche problema si pone: per Von Trier la "paura di non essere amati" è fonte di eterna e opinabile ambiguità: anche alla fine, non sappiamo realmente se il VERO CAPO stia conducendo un gioco meschino blandamente affettivo con i suoi dipendenti.

E' strano, pero': Oskar Werner leggeva i versi di ibsen su "fahrenheit 451" e li trovava sublimi... e Truffaut non era esattamente uno che amava i salotti letterari di un certo tipo

Mi è difficile emettere un giudizio: chi ha sempre odiato V.T. troverà altre ragioni per farlo, i fans lo ameranno sempre piu'.

Perplessità che ormai non sono di natura tecnica (l'incubo del dogma è quasi superato) nè ideologica (lo sfotto' alla Danimarca di oggi) ma stilistica e culturale: fino a che punto possiamo enfatizzare come "importanti" concetti e paradossi che in fondo, con buona pace di Brecht, sono davvero prevedibili?