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IL GRANDE CAPO regia di Lars von Trier

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amterme63     7 / 10  28/01/2007 22:58:44Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ci sono dei film che si sforzano di apparire tali e quali la realtà, che acchiappano lo spettatore e lo fanno identificare nei personaggi. Altri invece non fanno mistero di essere semplicemente frutto della fantasia di un autore e che quindi devono essere guardati con distacco, coscienti della natura artificiale dello spettacolo a cui si assiste. E’ bene andare con quest’ultimo spirito a vedere questo film e guardarlo con la testa e le orecchie, più che con gli occhi e con il cuore.
Del resto si gioca subito a carte scoperte. L’”autore” interviene fin dall’inizio presentando l’opera come una semplice commedia rappresentata tramite una particolare tecnica cinematografica (purtroppo non ricordo più le parole precise delle prime battute). La tecnica in questione è una specie di zampettare del punto di vista della scena, ma un po’ come tutte le sperimentazioni di von Trier, all’inizio spiazza ma poi ci si fa l’abitudine. Contribuisce comunque all’atteggiamento di estraniamento dalla storia.
Il film gioca soprattutto sul contrasto fra personalità e ruolo nella società, fra quello che si è e ciò che si “recita” quotidianamente, fra verità e arte. A pensarci bene è qualcosa che ci coinvolge tutti. Spesso siamo costretti a vivere e a comportarci come doppi anche con le stesse persone: avere rapporti di subalternità e allo stesso tempo rapporti di conoscenza personale (che implicano parità). Cosa succede se qualcuno non trova il coraggio o il modo di essere entrambi? Il ruolo sociale è quello imposto, quello recitato e allora perché non utilizzare un attore? La cosa è spiazzante per chi non sa cosa deve recitare, ma l’assurdità dei rapporti interpersonali, l’equivocità del linguaggio possono rendere plausibile anche una recitazione improvvisata. Una volta entrati nel ruolo questo può prendere il sopravvento e annullare la persona che lo interpreta, mentre chi aveva delegato il proprio ruolo se ne trova spossessato e beffato. Il comico (o il tragico?) sta tutto qui: nell’assurda divisione sociale in ruoli, in parti da recitare a dispetto dei propri sentimenti, nell’arbitrio e nel potere che i ruoli danno. Nel film è il ruolo che vince sulla persona.
Il significato si gioca tutto nelle frasi dette dai personaggi; molte non hanno diretta attinenza con la storia ma sono riflessioni del regista ad alta voce sulla propria arte. Sinceramente occorrerebbe una seconda visione attenta a quello che viene detto per capire e cogliere tutti i significati del film. Purtroppo il cinema non permette come la letteratura di fermarsi un attimo a rileggere una frase e a meditarci sopra. Per questo secondo me von Trier abusa un po’ del cinema, tanto più che la parte visuale non contribuisce più di tanto alla storia. Kubrick, Tarkowski e Bunuel sapevano fare ben altro!