caratteri piccoli caratteri medi caratteri grandi Chiudi finestra

LA SOTTILE LINEA ROSSA regia di Terrence Malick

Nascondi tutte le risposte
Visualizza tutte le risposte
kafka62     9 / 10  18/02/2018 17:22:19Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
C'è, a un certo punto del film, un'immagine inquietante, quella di un piccolo uccello che si dibatte a terra agonizzante. Più tardi, un personaggio fa, più o meno, questa riflessione: "vedendo un uccello ferito uno può vedere solo tutto il dolore di questo mondo, oppure, al contrario, trovare un motivo di gioia eterna". E' un segnale: "La sottile linea rossa" è sicuramente un film di guerra (non fosse altro che per la parte preponderante che occupano le scene di combattimento), ma è soprattutto un film che oserei definire metafisico. Tutti i personaggi si interrogano nei loro pensieri sul senso della vita e della morte, sull'origine del dolore, sull'amore e su tante altre cose ancora, ognuno cercando non solo, o non tanto, una ragione per sopravvivere fisicamente alla guerra, quanto un motivo per preservare la propria anima dalla disperante condizione del "non essere" (è questa, forse, la "sottile linea rossa" del titolo, quella che separa il bene dal male, il giusto dall'ingiusto, la visione trascendente della vita da quella immanente). E questa ricerca è una ricerca indiscutibilmente "religiosa", in cui uccidere un uomo non è più un gesto insignificante, svalutato dalla logica implacabile della guerra, ma alla base, come qualsiasi altro gesto, di una scelta etica individuale. Anche chi non prende mai una precisa posizione morale, come il sergente Welsh (un immenso Sean Penn), appare come tutti gli altri in ricerca ("anche se non ti troverò, fa che almeno senta la tua mancanza"), in quest'opera stupendamente polifonica in cui nessun personaggio, neppure il soldato Witt, riassume da solo una ideologia dominante.
A oltre vent'anni di distanza dal suo film precedente, Malick si conferma un grande regista, capace di andare oltre gli stereotipi del film bellico (anche quelli di "Salvate il soldato Ryan" di Spielberg, che sorprendeva più per il suo realismo esasperato che per la sua originalità) grazie anche alla visione potentemente conradiana di una natura che sovrasta i soldati in ogni inquadratura e simboleggia forse il destino, così meraviglioso, indifferente e crudele, e ancora a quelle immagini incantate di un ricordo, di un amore o di un sogno che contrappuntano di quando in quando, come fossero un impellente bisogno dell'inconscio, il cieco orrore della guerra.