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MIO COGNATO regia di Alessandro Piva

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gerardo     6 / 10  26/11/2003 17:49:01Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
La carica eversiva linguistica ed estetica de Lacapagira sfuma quasi del tutto in questo Mio cognato, film che scivola nel conformismo solito di certo cinema medio(cre) italiano contemporaneo. Di quel sapiente uso linguistico del precedente film di Piva, in Mio cognato restano solo brevi passaggi antropologici che registrano alcuni aspetti "tipici" (anche nel senso lukacsiano del termine, come base realistica) di certi ambienti sottoproletari o delinquenziali di Bari: l'affermazione dell'identità (etnica) barese rispetto all'estraneo, riconoscibile proprio attraverso la lingua: nel momento in cui non vi è il riconoscimento del simile (il compaesano) scatta la domanda <<Ma tu non si Bar?>>, seguita immancabilmente dallo sfottò che rileva questo mancato riconoscimento e lo stigmatizza con l’irrisione dell’estraneo e dell’estraneità. Orgoglio barese; o meglio, orgoglio della bassa baresità sottoproletaria, simpatica proprio per questo. La chicca del film è l’autocitazione: geniale è infatti il passaggio transfilmico da Mio cognato a Lacapagira attraverso l’apertura di una porta che da un film c’introduce nell'altro. Per il resto, Rubini recita eccessivamente sopra le righe e dopo cinque minuti è già insostenibile; la trama è prevedibile (dopotutto una cosa simile l’avevamo già vista col Sorpasso di Risi e con risultati decisamente diversi); l’uso della lingua, un misto tra il barese stretto e l’italiano stentato e accentato barese/pugliese, è ormai abusato nel cinema meridionaleggiante ed evidentemente strizza l’occhio alle produzioni di tendenza “esotica” con scenari pugliesi, oggi in voga come non mai nel cinema italiano. Forse anche per accontantare la produzione RAI. Mah!…