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LA CAGNA regia di Marco Ferreri

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amterme63     6½ / 10  03/07/2010 19:15:25Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Altra opera di Ferreri che cerca di rappresentare in maniera distaccata e impietosa la coscienza problematica della borghesia della fine degli anni '60. Oltre a questo è presente l'eterno tema dei film di Ferreri, la natura inafferrabile, misteriosa, affascinante, profonda e pericolosa del sesso femminile. Il limite di questo film (ma in genere dei primi film di Ferreri) è quello di rimanere troppo attaccato alle discussioni e ai dibattiti ideali dell'epoca. Oggi questo film ha più che altro valore di documento spirituale di un periodo del nostro passato e se non si è addentro a come funzionava la vita alla fine degli anni '60, si rischia di perdere molto del fascino e del messaggio.
Lo stile utilizzato in questo film è una via di mezzo fra "Dillinger è morto" e i film precedenti. C'è una trama e una narrazione, anche se molto sottile ed evanescente, i fatti però vengono trattati come qualcosa di simbolico che rimanda a significati generali esterni (come in Dillinger è morto). I personaggi hanno una certa caratterizzazione ma prevale il loro uso strumentale in funzione della teoria da rappresentare. Ciò che conta tra l'altro non sono i fatti narrati, né la logica temporale con cui si svolgono (il film è pieno di ellissi e scene insignificanti), ma il loro valore di significato simbolico ed emotivo.
Il tema è la profonda crisi di identità che scosse la borghesia alla fine degli anni '60. Si sentiva molto il peso, la prigionia e l'inutilità della vita regolata e codificata e si sognava la fuga e la regressione. Ferreri come al solito tratta tutto in maniera estraniante e parodistica, tanto da mettere in evidenza i limiti e le assurdità di tale atteggiamento.
Il protagonista dei suoi film è come sempre un maschio borghese in crisi (stavolta interpretato da Marcello Mastroiànni), nello specifico un artista-intellettuale (molto di moda all'epoca). La sua vita borghese "normale" è fallimentare (estraneità di rapporti con i figli e con la moglie che lo ricatta spiritualmente con il suicidio). Decide di fuggire da tutto e da tutti per vivere in completa solitudine in un'isola deserta. Tutte le sue pulsioni affettive le sublima sul proprio cane Melampo.
In questa esperienza apparentemente retta e virtuosa irrompe l'irrazionalità e la perversione, sotto le vesti tentatrici di Catherine Deneuve. La donna porta quindi un'altra variante della regressione, quella della perversione e del rapporto sessualmente ambiguo di padrone-servo. Nella scena più forte e cattiva del film, la donna fa fuori il cane e si mette al suo posto. La fuga e la regressione hanno però le loro leggi severe e alla fine chiederanno il conto, mettendo implacabilmente fine a questa esperienza un po' paradossale.
Il tutto si svolge in maniera fin troppo semplice e schematica, quasi automatica. La noia e la distrazione tra l'altro sono sempre lì in agguato durante tutto il film.
Ci sono però un paio di cose che salvano il film. Prima di tutto le suggestive immagini delle isolette di Cavallo e Lavezzi, a largo di Bonifacio, in Corsica. Un luogo di mare magico e meraviglioso, un paradiso, e il film ci rende benissimo tutto l'incanto del luogo.

Nascondi/Visualizza lo SPOILER SPOILER Altra perla del film è l'interpretazione di Mastroiànni: i primi piani su di lui sono le scene più belle del film. Solo lui riesce a dare umanità e consistenza emotiva anche ad un manichino. Lui non recita, dà vita ai personaggi. Non così si può dire di Catherine Deneuve. Il suo è un personaggio irrisolto, inspiegato, molto contraddittorio e misterioso. Lei si limita a dare volto e corpo e a recitare la parte, non riesce a dare vita e verità come fa Mastroiànni.