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LE LUCI DELLA SERA regia di Aki Kaurismaki

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ULTRAVIOLENCE78     8 / 10  03/10/2008 11:28:36Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Film come questo ti fanno capire fino in fondo in che razza di mondo di m.erd.a viviamo. Aki Kaurismaki ritrae ancora una volta la realtà degli umili, degli sconfitti, dei reietti della società. Koistinen fa la guardia notturna, un lavoro che peraltro si attaglia alla sua indole, alla sua inclinazione alla fedeltà. Egli è come quel cane che vorrebbe "salvare": sempre fedele, ma sempre solo e maltrattato. Koistinen ha anche un sogno: quello di riscattarsi dal lavoro dipendente per mettersi in proprio, creando un'azienda tutta sua. Questa meta gli consente, in spregio a tutte le umiliazioni e le frustrazioni che subisce quotidianamente, di mantenere vive la speranza e la fiducia nel futuro. E tutto sembra volgere al meglio quando incontra Mirja, una donna che finalmente sembra mostrare interesse per lui. Ma la realtà è, come sempre, più dura di come ce la immaginiamo: Koistinen si troverà a fare i conti con il sistema losco degli affari illeciti, che schiaccia tutti indiscriminatamente pur di raggiungere i suoi fini. Egli si scoprirà, così, essere oggetto di una truffa, un mero strumento finalizzato al perseguimento di un (illegale) profitto. Nel raggiro è coinvolta Mirja ma Koistinen, pur essendo consapevole di ciò, non la denuncia e la protegge fedelmente perché capisce che anche lei è un'altra vittima del sistema corrotto che governa la società. A tal riguardo, sono molto significativi due momenti del film: quello in cui Mirja si chiede perché sta facendo ciò, e l'organizzatore della truffa le risponde che altrimenti sarebbe costretta a lavorare; e quello in cui, dopo il furto nella gioielleria, viene inquadrato l'interno di un lussuoso appartamento, in cui si trovano i malviventi che giocano a carte e dietro di loro la stessa Mirja occupata a pulire il pavimento.
Kaurismaki, dunque, racconta una storia fatta di brutalità e violenza (anche se non vi sono scene esplicitamente violente), in cui dominano le prevaricazioni dei più forti sui più deboli, i quali sembrano non avere la possibilità di emanciparsi dalla loro condizione di miseria e di emarginazione. Ma la brutalità e la violenza non attengono soltanto alla realtà della criminalità, ma riguardano tutta la società: Koistinen è circondato da gente "civile" fredda, insensibile, sospettosa, indifferente; ed è proprio questa gente a rendere la vita del protagonista, a prescindere dal raggiro in cui è stato coinvolto, insostenibilmente miserevole. Dai colleghi di lavoro che lo deridono, agli smargiassi che lo picchiano, al funzionario di banca che gli nega il prestito (quel prestito che gli consentirebbe di realizzare il suo sogno), fino alla cassiera di un supermercato ed alla direttrice di un ristorante che gli fanno pesare (con lo sguardo l'una, con l‘atto del licenziamento l'altra) l'onta di un misfatto che non ha mai commesso, Koistinen viene sopraffatto dalla crudeltà di una società ipocrita, incapace di solidarizzare, ma soprattutto di vedere nelle presunte colpe dell'altro le proprie colpe. Questo clima di ostlità e indifferenza si riflette sulla superba fotografia, nella quale Helsinki è colta preponderantemente nei suoi colori freddi. Il pessimismo che attraversa tutta la pellicola non è tuttavia totalizzante: nel finale, infatti, proprio quando si compie la definitiva sconfitta del protagonista, si riaccende un lumicino di speranza grazie alla imperitura e sincera amicizia con Aila ("non morire", "non morirò"), immortalata simbolicamente nell'immagine conclusiva.
Sono d'accordo con chi afferma che si tratta di un film molto "chapliniano" (fatte le debite distanze, ovviamente): dal titolo (che evoca quel capolavoro che è "Luci della città") alla sostanza del film, Kaurismaki si accosta a quell'indimenticabile "cinema dei perdenti", in cui in ogni momento si fondono sublimamente dramma e ironia.
Quella di Aki Kaurismaki rimane, comunque, un produzione di nicchia che può (comprensibilmente) risultare indigesta a chi è abituato ad un modo di fare cinema più "canonico": come ho scritto nei commenti relativi agli altri due film che compongono la trilogia, lo stile registico eccessivamente asciutto e la recitazione "catatonica" ai limiti del surreale rendono le opere del regista finlandese accessibili a pochi; ma al di là degli stilemi che contraddistinguono le sue pellicole, non si può non riconoscere che c'è in esse della poesia.