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LE LUCI DELLA SERA regia di Aki Kaurismaki

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kafka62     6½ / 10  28/02/2018 09:37:38Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Amo Aki Kaurismaki anche se in fondo, lo devo ammettere, il regista finlandese gira sempre lo stesso film: storie di uomini e donne che a nessun altro regista verrebbe in mente di prendere in considerazione, tanto sono privi di ogni attrattiva e di ogni grandezza tragica, umiliati e offesi che la vita calpesta, facendo loro perdere il lavoro, la libertà e a volte ("L'uomo senza passato") anche l'identità, continuamente ingannati, derubati, truffati, picchiati e, nel migliore dei casi, ignorati dalla sorte, che si aggirano come cani bastonati in un mondo freddo, ostile e pieno di tristezza e di solitudine, in una spettrale Helsinki che li emargina senza alcuna pietà. Eppure i personaggi di Kaurismaki, pur non ribellandosi mai al loro destino, non si arrendono mai, incassano bene, senza vittimismi di sorta, i colpi bassi della vita e alla fine non viene a loro mai negato del tutto dalla compassionevole mano del regista uno spiraglio di speranza, magari sotto forma della solidarietà cameratesca di altri poveracci della stessa risma. "Le luci della sera" è tutto questo, come già i precedenti "Nuvole in viaggio" e "L'uomo senza passato", né più né meno: le variazioni della storia, nonostante lo spunto vagamente thriller (la truffa ordita da una femme fatale e dai suoi loschi amici senza scrupoli ai danni di Koistinen, che verrà ingiustamente accusato di furto e condannato a un anno di prigione), sono talmente minime, e raffreddate per giunta da dialoghi ridotti al minimo e da uno sguardo algido e distaccato (ma – attenzione – mai indifferente, giacché l'umanesimo di Kaurismaki è fuori discussione), che può essere giudicato intercambiabile con una qualsiasi delle pellicole che lo hanno preceduto. Qualcuno, nella immancabile ricerca di parentele cinematografiche, ha citato – è vero – Chaplin (forse per l'assonanza del titolo con "Luci della città"), qualcun altro Keaton (forse per l'impassibilità del volto del protagonista); già che ci siamo si potrebbe persino chiamare in causa Buñuel (per la trasmissione che alla radio parla di scorpioni, come ne "L'age d'or"). La verità è che, pur nella sua estrema semplicità formale, Kaurismaki è assolutamente unico e non apparentabile ad alcun altro genere cinematografico, presente, passato e – presumibilmente – futuro (così come Iosseliani, Sorrentino e pochi altri registi in attività), e tutto ciò che egli tocca, fosse pure il tango di "Volver" già ascoltato nel film di Almodovar, diventa un qualcosa di inconfondibilmente suo, del tutto permeato della sua stralunata, bizzarra e originalissima poetica.