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LA LUPA regia di Gabriele Lavia

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frine     4½ / 10  09/11/2006 03:38:15Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
"La lupa" è una novella di quattro pagine, in cui Giovanni Verga tenta di rappresentare le passioni popolari della plebe rurale sicula. Un mondo che di fatto gli è estraneo, e cui lo scrittore si avvicina in nome di una programmatica scelta letteraria.
Ma Verga non possiede la vocazione sociologica ( per non dire la precisione quasi scientifica) di uno Zola, e così i suoi contadini e mietitori, che dovrebbero rappresentare il magma primordiale di pulsioni e riti ancestrali, finiscono per essere proiezioni della 'cattiva coscienza' della società borghese del tempo. Vi immaginate una bracciante ninfomane che pronuncia una frase come "Te voglio. Te che sei bello come il sole e dolce come il miele. Voglio te!".
Tuttavia i lettori di Verga apprezzarono la novella, che consentiva loro di tenere i propri scheletri chiusi nell'armadio, trasferendoli nei più semplici e dimessi armadi dei contadini. Così lo scrittore venne convinto a trasporre in un dramma le vicende della sciagurata "Gnà Pina".
Ma Verga non era un drammaturgo, e la pièce non ha mai avuto molta fortuna, anche se nel 1965 Zeffirelli realizzò un'apprezzata mise en scène con Anna Magnani nel ruolo della 'lupa'.
Prima di allora, Alberto Lattuada aveva diretto un film (1952) neorealisticamente ambientato nel mondo del lavoro femminile del dopoguerra, con due attrici troppo belle e sofisticate come Kerima (la lupa) e May Britt ( la figlia Maricchia). Le operaie insorgevano contro la protagonista, divenuta amante del capo, e tutto finiva con un rogo (auto)distruttivo e sostanzialmente immotivato.
Dopo alterne vicende, Lavia ottiene la palma per la peggiore "Lupa" possibile. Si salvano alcune scene di interni, ispirati a dipinti ottocenteschi (Toma?), ma nel complesso il film risulta irritante per tutta la sua durata e molto spesso perfino ridicolo, con una Guerritore costantemente a gambe aperte (e calze nere, beninteso), un Raul Bova dalla faccia da deficiente ed un Giannini/prete inserito per rendere il tutto ancora più morboso (anche se, a dire la verità, non si capisce non solo il significato, ma nemmeno la collocazione cronologica della sua presenza). Le scene 'corali' (mietitura, processioni, canti delle lavandaie) sono prive di epos, di ispirazione, di emozione. Il meno peggio è forse l'istrionico "Malerba" (Placido), volgare ed eccessivo ma almeno (quasi) credibile.
L'evidente impegno produttivo risparmia al film un voto più bssso...però, per favore, spendiamo meglio i nostri soldi.

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