Ciumi 9 / 10 16/06/2010 09:27:21 » Rispondi Quando il cinema era ancora arte... pardon: anti-arte, l'arte contro l'arte, un'allegra e contraddittoria belligeranza. Le libere associazioni d'immagini mai ferme, musicali, ondivaghe, fluenti talvolta s'astraggono, spesso divengono linee vivaci, semplici comiche forme. Le stesse sovrapposizioni e alterazioni, sembrando prendersi beffa dell'immagine comune, della figura statica e vecchia da cui nuove nascono: e intorno vi compiono i loro balletti irriverenti. La stessa danza, l'arte delicata e gentile, è salutata in quella gonna della ballerina, simile a un giglio sommerso in un'acqua buia, che diviene l'aleggiare di una barchetta di carta sopra i palazzi. E in sottofondo la metropoli, messa in gioco in una scacchiera, e l'uomo moderno, antiquato e ridicolo, che entra in scena con balzi al rallentatore. Ma innanzitutto c'è diffusa ovunque un grande ironia paradossale: la sequenza del corteo funebre, comicamente straordinaria, che diviene un'assurda corsa a non si sa cosa, pare prendersi gioco non solo dell'arte classica e del pensare convenzionale (dentro la bara dovrebbero starci essi), ma assieme anche dell'altro movimento d'avanguardia del periodo, il futurismo, e della sua esaltazione alla velocità, alle macchine e alla forza bruta. Ma ecco il paradosso: dalla bara esce un illusionista vivo e pimpante, che fa sparire il vecchio come il nuovo, tutti gli altri e se stesso.
Questa era la guerra dada: non bombardare le pietre degli edifici e dei monumenti, ma la loro essenza; del resto, il cannone all'inizio del corto, eretto come un pene, è già un'esplicita critica alla Grande Guerra appena conclusasi, e assieme la dichiarazione della Sua guerra, del Suo terrorismo: a suon di sarcasmo, d'illogicità, di libertà espressiva, di meno serietà, d'invenzioni divertite - seppure con punte amarissime - e di un'arte scagliatasi contro se medesima; per svincolarsi del tutto dalla storia che, quella sì, è un archivio di mutilazioni, di crolli e di battaglie.
strange_river 16/06/2010 17:29:20 » Rispondi Io non so addentrarmi in discorsi eccessivamente complessi, perciò mi scuso per la banalità con cui ti esporrò la mia domanda, non riferita solo a questo film. Ma secondo te, Ciumi, se l'arte parla alla ricchezza che sta dentro di noi, nel momento in cui non la capiamo, o meglio, non la cogliamo, è perchè ci siamo impoveriti senza accorgercene? Però si può dire nel contempo che la sua immortalità sta nel parlare esattamente a tutti, non solo alle persone colte, perciò che questa ricchezza (o povertà) è da considerarsi nel senso di umanità intesa nel senso più vasto e non solo di conoscenza? E, facendone un'iperbole, se diamo un brutto voto ad un film/opera d'arte, in realtà lo stiamo dando a noi stessi? Immagino la complessità sia molto maggiore di quanto abbia sollevato io, ma ho deciso di osare scomodarti lo stesso ;D
Ps. brutto voto è la sintesi, ovviamente.
Ciumi 16/06/2010 20:39:49 » Rispondi E chiamala banalità! La tua è invece una domanda molto complessa, e a tal punto che ti risponderò pressappoco a come probabilmente ti risponderesti tu, cioè senza sciogliere i punti interrogativi.
Innanzitutto per me nell'arte esiste un valore che è oggettivo, e nel riconoscerlo non basta la conoscenza (che aiuta), ma serve per prima cosa un certo tipo di sensibilità, di umanità, che vanno educate anch'esse ma che nascono spontaneamente: non penso che tutti siano ricettivi nei confronti dell'arte allo stesso modo. Ma nonostante questo è sempre la nostra soggettività che prevale e ci distingue. Credo che non esista maniera più felice d'espressione che non attraverso i propri gusti: in essi si riflette ciò che le parole spesso non osano dire, o per timidezza, o per inadeguatezza, o per timore: l'intimità più profonda; le nostre riflessioni; il nostro carattere; il periodo interiore che stiamo vivendo: l'opera che ci piace, ci piace perché a questi nostri aspetti in qualcosa somiglia. Se diamo un brutto voto ad un'opera d'arte, pur riconoscendone il valore oggettivo, non stiamo dando un brutto voto a noi stessi, ma in questo modo diamo forma alla nostra intimità, in essa ci conosciamo e ci facciamo conoscere: lì siamo poveri, ma perché da un'altra parte una ricchezza compensa questa nostra mancanza.
'La sua immortalità sta nel parlare esattamente a tutti': sì, ma non a tutti allo stesso modo, e non a tutti 'l'argomento' può toccare le corde più sonore, altrimenti sarebbe equivalente a un problema aritmetico (beh anche nell'arte c'è della matematica, ma giusto un pochino).
Comunque credo che il domandarsi, come hai fatto tu, valga molto di più che il rispondere.
Sì sì però intanto ti sei già scordata il mio nome. Adesso cercherò in tutti i modi di scoprire il tuo.. ma solo per poi dimenticarmelo.
strange_river 17/06/2010 20:35:28 » Rispondi La tua è una risposta molto positiva, nel senso che mi pare sia data da una visione felice delle cose: fa piacere leggerla. Son d'accordo quando dici che gli interrogativi rimangono, in effetti più che una risposta mi interessava un parere o meglio, un tuo pensiero. Quando parlo di immortalità penso ad esempio anche a quelle statuine d'arte primitiva, così semplici nelle loro forme eppure così belle...mi son sempre meravigliata di quanto espressive fossero e di come avessero oltrepassato secoli parlando a noi con la stessa forza originaria. Mi ha fatto sempre pensare che non siamo poi tanto diversi nella sostanza, nel nocciolo intimo insomma.
Ma no Giovanni, come puoi pensare che mi sia dimenticata del tuo nome! Il fatto è, caro Francesco, che nell'area commenti mi piace usare il nick che uno si è scelto, raro io usi il nome proprio. Non saprei dirti il motivo di questa preferenza, ma stai certo che è impossibile dimenticarsi che ti chiami Osvaldo.
Ciumi 18/06/2010 09:02:26 » Rispondi E’ vero, e mentre i concetti e le tecnologie invecchiano e si rinnovano, e anche noi fuori mutiamo, l’arte continua a comunicare con la stessa forza di linguaggio, forse proprio perché mira a quel nocciolo intimo di cui parli, che invece non è mai cambiato.
Ma gentile Filomena, ora che ho scoperto che ti chiami Genoveffa, stai certa che nemmeno io dimenticherò il tuo nome. E poi, Ermenegigia, come potrei mai scordare un nome così bello come Asdrubela?