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BOBBY regia di Emilio Estevez

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Invia una mail all'autore del commento mimmot     9 / 10  17/02/2007 19:22:32Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Era la sera del 4 giugno del 1968 quando un colpo di pistola, sparato nelle cucine dell'Hotel Ambassador di Los Angeles, uccise Robert Kennedy e un'idea di America che morì con lui.
Era stata una lunga giornata, quel 14 giugno per Robert Kennedy:
Reduce dalla vittoria alle primarie di California, che lo aveva consacrato sicuro candidato alla prossime elezioni presidenziali, dopo il rituale discorso di ringraziamento, mentre attraversava le cucine di un grande albergo di Los Angeles, una pallottola alla testa pose fine al "sogno americano", a quell'altra America che la faccia di Bob sembrava promettere e che dopo non c'è stata più.
Il film di Emilio Estevez, bellissimo, parla proprio di questo e di tutto ciò che avrebbe potuto succedere con lui e che non è successo.
Bobby (è questo il titolo del film ) racconta le ultime ore di Robert Kennedy trascorse nell'Hotel Ambassador sul Wilshire Boulevard di Los Angeles, a preparare il discorso di ringraziamento, in attesa di quella pallottola in testa che chiuderà un'epoca che non si è mai aperta.
E' un discorso pacato, sereno, speranzoso; Bob parla già da Presidente, sa che da lì a poco sarà alla Casa Bianca; dice che non c'è una sola America, ma tante Americhe, con tanti, troppi problemi (diritti civili violati, ingiustize sociali, violenza, una sporca guerra da combattere), un'America disincantata a cui Robert chiedeva di stare uniti perchè "uniti possiamo farcela".
E' bellissimo il film di Emilio Estevez, che non nasconde di provare rimpianto per Bob e per quello che con lui sarebbe potuto essere; così come non nasconde di rimpiangere Kennedy tutto il cast, straordianario, che al film ha partecipato.
Eppure, salvo che per pochissimi istanti e per pochissime sequenze di filmati d'epoca, Bob non si vede, se ne intuisce la presenza attraverso altre vite, altre storie, altre facce, altra gente.
Gente che lavora, beve, si fa, si sposa per non andare in Vietnam, spera, gioisce per Don Drysdale dei Dodgers che proprio quella sera stabilì il suo record.
E si intuisce che ciò che si vede sullo schermo è il momento che ha cambiato il mondo e la storia, non solo dell'America ma di tutti noi.
Era un mondo che aveva già annusato che stava succedendo qualcosa: c'erano le canzoni di Bob Dylan, di Jim Hendrix, quelle di protesta di Joan Baez, era imminente lo sbarco sulla luna, a Parigi si occupava l'Università, a Praga c'era la primavera.
Un mondo che ribolliva come un vulcano, che cercava nuove frontiere che la faccia di Robert Kennedy sembrava promettere.
Poi, dopo le pistolettate della notte del 4 giugno non sarà più così.
L'America finirà in mano a Nixon, impantanata nell'inferno di Saigon, violentata e offesa dagli scandali, delusa per le occasioni perdute; e poi ancora altre sporche guerre, amareggiata da altre, troppe ingiustizie, ferita da quel tragico terrorismo che essa stessa aveva alimentato.
Basterà un solo film a far rinascere quella speranza?
Non credo. Troppo tempo è passato, troppe cose sono rimaste uguali ad allora.
Eppure è proprio così che si esce dalla visione del film, con la speranza che tutto possa ancora cambiare e con il rimpianto e la nostalgia per un mondo che avrebbe potuto andare, sarebbe dovuto andare, in una direzione diversa, per un'America che sarebbe stata diversa con la faccia di Bob.
Si esce con la sensazione come se, anche a noi che stiamo dall'altra parte dell'Oceano, ci fosse stato rubato qualcosa che ci avrebbe fatti migliori e, soprattutto, più innocenti.

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frangipani79  20/02/2007 12:20:46Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
un commento esemplare ! complimenti.
Invia una mail all'autore del commento mimmot  20/02/2007 19:30:17Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Thank