caratteri piccoli caratteri medi caratteri grandi Chiudi finestra

INLAND EMPIRE regia di David Lynch

Nascondi tutte le risposte
Visualizza tutte le risposte
Brundle-fly     5 / 10  11/12/2008 20:27:57Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
“INLAND EMPIRE”: DISCRIMINAZIONE SESSUALE AL CONTRARIO?

Ogni generazione ha il proprio drappello di cineasti visionari, onirici e allucinati, e la nostra ha avuto soprattutto Herzog (1942), Cronenberg (1943) e Lynch (1946). Herzog è partito dall’ostentazione panica della natura, secondo i dettami del romanticismo ottocentesco, per giungere di recente a un’adesione incondizionata all’ortodossia buddhista. Cronenberg si è disteso, da “Videodrome” (1983) a “Spider” (2002), lungo una traiettoria dedicata al delirio psicotico in quanto malfunzionamento del principio di realtà, dopodiché è tornato a una forma narrativa persino didascalicamente pedante quale quella di “A History of Violence” (2005). E Lynch?
Ce lo possiamo immaginare angosciato dal problema felliniano per antonomasia: in che modo abbandonare il (neo)realismo così d'approdare a una rappresentazione sospesa fra sogno e incubo, i cui indizi però appartengano al simbolismo universale, archetipico, e non a un ermetismo eccentrico e astruso? Fra “Eraserhead” (1978) e “The Elephant Man” (1980), egli ha poi scelto la terza via d’una strutturazione tramite il più immediato dei canovacci disponibili nell’inconscio, il complesso edipico da lui esplorato in “Velluto blu” (1986). Negli anni successivi ha sondato gli ulteriori bassifondi della nostra psiche: si è impratichito come Cronenberg dei meandri preedipicamente psicotici ed è entrato come Herzog nell’orbita della meditazione trascendentale. Da questo mix gli è scaturita la tesi in base alla quale la follia non sarebbe altro che il pensiero femminile nella “prospettiva” e nell’”inquadratura” maschili, distorcenti quanto il grandangolo de “L’infernale Quinlan” (1958) e letali quanto “L’occhio che uccide” (“Peeping Tom”, 1960), dunque brutalmente violenti nei confronti dello yin e dell’Anima sia umani che cosmici. “Mulholland Drive” (2001) era già configurato come un’elegia dell’amore saffico e dell’annesso psichismo liberatoriamente destrutturato. “INLAND EMPIRE” è ancora più estremo, teorico e metafilmico.
La ferocia critica di Lynch sfocia nella parodia autoreferenziale. I vincoli demiurgici imposti dal regista (maschio) in qualità di colui che pretende di mettere in scena e in ordine enti ed eventi; il cast degli attori costretti a frammentarsi in una moltitudine coatta di ruoli e di parti; il fruitore obbligato a sorbirsi una tessitura di identificazioni alienanti: tutto questo finisce con l'essere abiurato, respinto, ripudiato. L’intreccio drammaturgico si accartoccia su di sé cortocircuitandosi (la protagonista è un’attrice che interpreta il personaggio d’una prostituta drogata e moribonda, o viceversa, o chissà cos’altro); Laura Dern smette di recitare e indossa una sorta di maschera neutra (l’espressione facciale con la bocca dischiusa per circa metà della durata del film), tanto da potervi leggere a piacimento, grazie a un effetto Kuleŝov parossistico, qualsiasi tipo di emozione; infine una spettatrice solitaria riesce a far prevalere decostruttivamente le proprie identificazioni proiettive sulle dispotiche intenzioni autoriali. Mediante l'apporto di queste novità, l’emancipazione femminile viene raggiunta e sui titoli di coda le donne festeggiano il catartico affrancamento delle storie e della Storia dalle oppressioni-ossessioni-imposizioni logiche addebitabili ai soggetti umani di classe genetica xy.
Lynch si spinge fino all’autoparodia anche sul versante stilistico. Per tre ore in "I.E." sembra accadere troppo e invece i vuoti sono frequenti al punto da dover essere colmati col più trito armamentario d’antologia: musiche da “film de paura”, citazionismi fuori tempo massimo delle avanguardie storiche, surrealismi buñueliani del periodo con Dalì, espressionismi tedeschi, luoghi comuni shininghiani, illuminazione dei volti con torce elettriche dal basso come un qualunque “The Blair Witch Project” (1998), cavie da laboratorio tratte dal suo “Rabbits” (2002) ma ancor prima dal “Mon oncle d’Amérique” (1980) di Resnais, quello stesso Resnais di cui vengono riciclati il collasso spaziotemporale e la con-fusione identitaria de “L’anno scorso a Marienbad” (1961), vertice cinematografico del Nouveau roman antesignano del decostruzionismo. E le porte di connessione assonica (”axxonn”-ica) non sono che rottami cyberpunk come le neurosi dell’Abel Ferrara di (appunto) “New Rose Hotel” (1998).
Insomma, un tripudio rivolto al pensiero liberato da un tirannico “Impero della mente” d’origine soltanto maschile, una celebrazione delle icone protofemministe che hanno sdoganato dalla psicopatologia il Disturbo Dissociativo dell’Identità elevandolo a virtù: il flusso di (in)coscienza della Woolf, il monologo interiore, anzi il soliloquio senza soluzione di continuità dispiegato dalla Molly Bloom del 18° e ultimo capitolo dell’”Ulisse” di Joyce, le associazioni libere tramite la terapia delle parole (“talking cure”) suggerite da “Anna O.”, cioè Bertha Pappenheim, al Breuer e al Freud degli “Studi sull’isteria” (1892-95).
Eppure: perché mai questa tesi lynchiana, così monoliticamente e fideisticamente unilaterale, dovrebbe essere additata a capolavoro (Ghezzi/RaiTre e Infascelli/Mtv-“brand:new” über alles), mentre la tesi opposta, quella d’un logos maschilmente antiginecocratico, si trova enunciata in un film di LaBute, “Il prescelto” (2006), che è stato candidato al “Razzie Awards” come peggiore pellicola dell’anno? Discriminazione sessuale al contrario?

PS: che pacchia scrivere dove non ti si può imporre la puerilità del voto. Così vi potete risparmiare di dovermi bannare e/o censurare e/o controbilanciare con delle valutazioni date dai vostri fake. Questo commento è stato scritto dopo aver letto le recensioni di (in rigoroso ordine alfabetico:) cash, Harpo, Jellybelly, paul, Quilty e tutti gli altri “diecinari” di “I.E.”
2°PS: ho modificato la mia firma digitale, così chi è interessato all'audio oltre che al video sa come e dove informarsi su di me.

Discussione proseguita su:
http://www.filmscoop.it/forum/forum_posts.asp?TID=7871&KW=Mauro+Lanari

Mauro Lanari