caratteri piccoli caratteri medi caratteri grandi Chiudi finestra

L'ORO DI NAPOLI regia di Vittorio De Sica

Nascondi tutte le risposte
Visualizza tutte le risposte
elio91     8½ / 10  03/01/2012 12:32:13Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Pellicola ad episodi ispirata al celebre romanzo di Marotta, L'Oro di Napoli non ne segue fedelmente le storie passo per passo, a volte De Sica amplia utilizzando una sorta di fusione tra varie vicende narrate nel romanzo, ma ne mantiene appieno lo spirito. Anzi si può dire che il film sia complementare al romanzo, una stupenda trasposizione.
Come ha fatto Marotta che queste persone le ha conosciute, De Sica riesce ad afferrare la napoletanità di un popolo che amava, e la traspone sul grande schermo eludendo tutti i buonismi con la classe registica che lo ha sempre contraddistinto.
Sono vari tasselli, un film che non mi piace chiamare ad episodi per quanto ognuno di questi tasselli sia indipendente l'uno dall'altro ma insieme formano un quadro pulsante di vita, delusioni e speranze.
E allora chi lo guarda oggi come ieri può ben dire di aver capito qualcosa in più su Napoli e sul loro tesoro nascosto che non è ovviamente denaro, né chiuso in un caveau di banca, ma il loro stoicismo sempre fedele a rialzarsi dopo una tremenda caduta, il non arrendersi mai.
Filosofie di vita, ecco. E De Sica in questo suo ennesimo grande film fa torreggiare lo spettro della morte, onnipresente nelle sue varie forme: strillona, esibizionista o discreta. E fa male pensare che un episodio tra i più belli del cinema italiano come il Funeralino molte versioni lo abbiano tagliato via perché troppo pessimista: qui De Sica tocca l'apice insieme all'apertura e alla chiusura (con tutto il rispetto per la Loren e la Mangano e lo stesso De Sica attore/giocatore che ironizza su sé stesso). La macchina da presa segue con quasi discrezione, e non con freddezza documentaristica come potrebbe apparire, il funerale di un bambino e il dolore di una madre piena di dignità.
E se l'apertura è affidata ad un Totò vittima di abusi e violenze di un guappo sbruffone in una storiella dal sapore tragicomico (Totò che finalmente viene sfruttato al meglio delle sue possibilità senza essere la solita parodia) la chiusura è affidata ad un altro maestro della napoletanità, un De Filippo che chiude con lo sberleffo e il pernacchio. Anche davanti alla morte, anche dopo la morte. è l'esorcismo di massa di un popolo che non è mai arreso, e se l'è cavata quando molti altri non si sarebbero più rialzati.