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NUOVOMONDO regia di Emanuele Crialese

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Invia una mail all'autore del commento pompiere     8 / 10  19/05/2011 16:39:53Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
L'emigrazione italiana dei primi del ‘900 sta all'America come l'immigrazione di oggi sta all'Italia. Un'equazione che non ha fondamenti matematici, ne' propositi politici. Solo un'inevitabile riflessione che sorge durante la visione dell'ultimo film (un altro, "Terraferma", è in produzione) del bravo Emanuele Crialese.

Dai piedi corrosi da un'arrampicata sulle rocce di ieri, al terreno fertile e pieno di speranza che per tanta gente è l'Italia odierna. Le scarpe, forse quelle sono le stesse. Quelle che, quando ci sono, si indossano sulle strade più belle, dove ci possono vedere anche gli altri; le pietre in bocca a sanguinare, in un sacrificio appassionato estremo, sognando piogge di monete e verdure giganti. L'uomo completato nella/dalla Natura, scialuppa di salvataggio che sfama perfino l'amore.
In "Nuovomondo" non si vedono mai le rive odierne del nostro paese: tuttavia le immagini non possono far altro che evocarle, in una specie di impietoso confronto tra i bisogni urgenti della gente antica di allora e la riottosità dell'italiano moderno. Perché tutto è grande in America/Italia. Tutto è bello. Senza miseria, fame, ingiustizie. E allora si sogna. Si sogna di partire per quel paese fiammeggiante, elegante. Anche se nessuno l'ha mai visto.

Crialese inscena una traversata dell'Oceano movimentata nell'animo: nella puzza di chiuso delle cambuse, grovigli umani di speranze, affetti, dolori e pianti, si rintanano come spettri nel comune e angosciato intento di approdare alla felicità. C'è tempo anche per una parentesi romantica quasi accidentale: se non si può avere l'amore vero, bisogna prenderne almeno una ciocca di capelli.

I tempi filmici sono quelli giusti. Ci si ferma su cose, volti, persone e personaggi, in modo da far assorbire le emozioni, farle penetrare sottopelle. Straordinaria la direzione degli attori, tra i quali spicca la notevole intensità di Vincenzo Amato e l'eterea presenza di Charlotte Gainsbourg. Con i piani sequenza della prima parte, e i ralenti tra i boccaporti della fase centrale, il regista italiano da' il meglio di se. Fino a dar sfogo, qua e là, al suo talento astratto.
Da manuale le scene dell'imbarco sulla nave e la prospettiva che separa definitivamente dalla terra natia i protagonisti, conquistati da sguardi smarriti, completamente circondati dalla vastità delle acque, senza case e alberi. Senza più radici. E' comprensibile come la giuria della Mostra del Cinema di Venezia del 2006 ne sia rimasta conquistata, e abbia riconosciuto al film un Leone d'Argento per meriti artistici quale consenso creato ad hoc.

Nell'ultima parte la pellicola si fa un po' troppo didascalica e, quasi documentaristica, si attacca a monotoni particolari sui metodi di accoglienza a Ellis Island. L'attenzione è distolta e si ritarda la crescita emotiva della chiusura. Che arriva, splendida, nella sua balenante irrealtà, a dirci che la nuova via è un mare latteo, dove nuotare verso una terra promessa sconosciuta e (si confida) liberatoria, dalla quale si affaccia il miraggio di case di cento piani.