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IL DIAVOLO VESTE PRADA regia di David Frankel

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Invia una mail all'autore del commento kowalsky     7 / 10  20/10/2006 01:11:04Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
"Beh, se il film di Frankler (co-autore di "Sex and the city" e si vede) avesse mantenuto lo stesso ritmo e la stessa efficacissima requisitoria sul mondo dorato ma opprimente delle working women, avremmo avuto probabilmente la piu' audace e divertente commedia degli ultimi anni.
Eppure già così, il film è assolutamente magnifico, specialmente se coglie negli umori di un mondo superficiale come quello dell'alta moda il bisogno, per realizzare, di interiorizzare atteggiamenti spregiudicati e cinici (v. Miranda) degni di un uomo in carriera.
Non a caso la Streep ha raccontato questo del suo personaggio: nel femminismo imperante e (apparentemente) facile del mondo globale contemporaneo, una donna come Miranda deve imparare a farsi strada comunque, imponendo un decisionismo e una freddezza ehm virile.
Lo script non è nè sciocco nè particolarmente innovativo, e inizialmente l'affannoso abisso tra Andy (nome maschile non a caso?) e il mondo degli atelier e delle riviste patinate fa pensare per l'ennesima volta a "Pygmalion" e a tutto quello che rievoca, narrativamente, quella storia.
E in effetti il film è intelligente anche perchè riesce a imprimere nello spettatore la sensazione che quel mondo, di cui disconosciamo volutamente ogni sfumatura, è qualcosa di imperturbabile, di resistente, e di avvilente al tempo stesso.
Ma è anche un mondo che possiamo riconoscere vagamente noi stessi, se abbiamo a che fare con un lavoro dipendente, e le cui pur vaghe scorie del nostro quotidiano vengono direttamente anche da lì, dall'implacabile legge che rievoca nel prestigio anche la brutale sconfessione affettiva e umana.
Nella società contemporanea, non è piu' tempo di manifesti abbacinanti (Cukor aveva visto giusto, nel 1954, con "La ragazza del secolo") e la nuova Judy Halliday è un'ingenua il cui candore si presta potenzialmente alla metamorfosi opportunista imposta o suggerita dalla strana società in cui chiede di far parte.
Essa è ora vittima, ora dipendente delle sue stesse scelte, ed è in questo modo che la globalizzazione funziona: ammiccando a uno stile di vita durissimo ma invitante ("tutti vogliono essere NOI" cfr. Meryl Streep - Miranda) e al tempo stesso raccomandando biecamente di starne alla larga.
E' per questa ragione che il film merita sperticati elogi, poichè riesce a descrivere senza ipocrisie questa sorta di "amore e fuga impossibile" dalle responsabilità che uno/a si è scelto (a Andy viene continuamente ricordato il senso della sua ambizione, e di conseguenza è una ferita nell'orgoglio piu' intollerabile di tutti i sacrifici atti a valorizzarsi).
Altro spunto particolarmente intrigante, il ruolo del subalterno rispetto alla dipendente: in molti casi, avviene come nel film.
Esiste forse una valorizzazione interiore prima che un gesto o un'azione compiuti per l'approvazione del Capo? Molto spesso entrambi le cose sono complementari, e non sempre (anzi quasi mai) l'umiltà e l'obbedienza alle ferree regole del lavoro portano a stimare i propri superiori.
Ovviamente l'interpretazione della Streep è superlativa: quando cede a un'improvviso sorriso empatico, nel finale, cattura quasi un bisogno idealista di vivere una vita diversa, e la consapevolezza del suo ennesimo fallimento privato cede pero' presto il passo all'implacabile durezza che deve sostenere, sempre e comunque.
Ma è proprio questo segno di insindacabile freddezza a sancire il passaggio impossibile tra il "nuovo mondo" e l'altro, che Andy (la fresca e spontanea Anne Hathaway) si illude di poter ugualmente preservare.
I dialoghi sono a dir poco entusiasmanti ("in fondo questa mostra multimiliardaria gira intorno a questo, la bellezza interiore"), lo stilista gay Tucci praticamente perfetto anche quando ammicca ai consueti stereotipi, e la fotografia è una meraviglia, eppure c'è qualcosa che non riesce comunque a esaurirsi - come avrei voluto - nel capolavoro.
Passi una Parigi scintillante che ormai nel cinema abbiamo visto mille volte (già che ci siamo anche nell'ultima puntata di "sex and the city"), o il Kitsch del servizio "giungla urbana" al Central Park, ma tal belloccio vezzato a parties e cherry (Christian Thompson) è realmente un personaggio scialbo e inutile.
E la parte finale, vero, scade nella caricatura e nella prevedibilità (a parte quell'illuminante sequenza che immortala il volto della Streep), come del resto la non eccelsa colonna sonora tremendamente (troppo) cool.
Pero' vale proprio la pena abbandonare le reticenze (io che ne ho tante, riguardo a script del genere) e lasciarsi andare a un paio di domande forse irrilevanti e imprudenti:
A) Quanto si è disposti a sacrificare della propria dignitè per vendere se stessi?
B) E' vero amore quello di un uomo che lascia la donna che ama per sfavorire il suo (rispettabile) traguardo?
gerardo  20/10/2006 22:35:10Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
A me è arrivato semplicemente come una banalissima ILLUSTRAZIONE da rotocalco pseudomoralista del beato mondo della moda e dei suoi meccanismi atroci e vacui, un colorato pamphlet dell'effimero di cui, però, si nutre anche chi ha realizzato questo film: la colonna sonora (che tu definisci "cool") ne è la prova. E tutto ciò mi sembra oltremodo ipocrita: "denunciare" (sia pur in termini leggeri e di commedia) le bassezze e il vuoto morale del mondo della moda e, in fondo, parlarne la stessa lingua.

Invia una mail all'autore del commento kowalsky  02/11/2006 13:43:15Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
E il punto è questo: volerlo vedere soltanto come un film sulla moda. E non come una gustosa satira del mondo capitalista e dei ritmi sfrenati della metropoli... dei vizi e delle virtu' di un mondo di servi e padroni, per dirla con parole spicciole, e di quanto sia anche imbarazzante e triste un mondo come quello della moda (ma potrebbe essere anche qualsiasi altra realtà) visto nell'ottica integralista dell'"apparenza" e del conto in banca. In pratica le stesse ragioni che hai detto tu, ma che non mi sembrano proprio parlare la stessa lingua: leggero ma molto molto eloquente
maremare  20/10/2006 10:05:12Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
vabbè, ma questa è una recensione!
fattela spostare.

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Invia una mail all'autore del commento kowalsky  20/10/2006 11:20:35Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi


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maremare  02/11/2006 00:00:12Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
nono è una recensione, anche troppo colta, per sto filmetto

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Pasionaria  20/10/2006 19:56:43Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Accidenti, io non ci ho trovato tutto questo. Il regista è lo stesso di Sex and the city? Beh, ora tutto torna, lo stile è il medesimo, in effetti. A me è parso un'insulsa passerella, tanto fumo.....e il finale, a parte la Streep s'intende, mi ha deluso, tanto tanto.
Invia una mail all'autore del commento kowalsky  20/10/2006 21:33:18Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
A me è piaciuto, che ti devo dire...