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IL DIAVOLO VESTE PRADA regia di David Frankel

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Invia una mail all'autore del commento Tempesta     7½ / 10  13/10/2006 18:22:17Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Miranda: Andrea!
Andrea: Si?
(Lo sguardo spietato di Miranda Prestley si posa sulla povera ragazza in piedi di fronte a lei, attraversandola dalla testa ai piedi come una gelida lama. Si sofferma sulle scarpe fuori moda della ragazza per alcuni secondi)
Miranda: è tutto!

La forza ammaliante de "Il diavolo veste Prada" risiede in gran parte
nella figura di Miranda Prestley (Annie Windsor nella realtà, la direttrice di Vogue America), pertanto mi sembra doveroso iniziare questa recensione con un elogio a Meril Streep, che si appropria del personaggio con una tale maestria che va al di là di qualsiasi giudizio critico sulla qualità della sceneggiatura. Se volessimo scavare nel corposo curriculum cinematografico della Streep alla ricerca di un'ispirazione che ha dato vita al personaggio di Miranda, sicuramente non può non saltarci alla mente la Madeleine di "La
morte ti fa bella". Seppure questo secondo film rimane senza dubbio una delle più grandi performance attoriali di Meril Streep, non mi sembra azzardato affermare che la diabolica Miranda, con una manciata di battute a dir poco pungenti, riesce ad imporsi in maniera assolutamente convincente al pubblico non meno di Madeleine. Un solo sguardo nella macchina da presa, e Miranda ci svela tutte le sue incredibili capacità manageriali; un arricciamento delle labbra, e tutto sappiamo sui suoi gusti in fatto di moda; un beffardo sorriso, e ci sentiamo schiacciati dal suo potere; un pianto strozzato, e sbirciamo per un attimo nella sua intimità; una falcata decisa nel corridoio del suo ufficio, e si svela tutta la sua classe.
Qualunque sia il vostro giudizio sul film, quella di Meril Streep credo si possa definire all'unanimità una delle sue performance più
irresistibili. Ma veniamo al film. E' indubbio che questa commedia sia un giocattolo da intrattenimento ben confezionato dalle grandi griffe della moda, che molto ha da spartire con il linguaggio pubblicitario e i videoclip musicali.
D'altronde questa contaminazione di linguaggi si sposa benissimo con
lo "stile" di un film che vuole affascinare il pubblico con lo sfavillante mondo dell'alta moda. La storia infatti è una minestrina riscaldata che già preannuncia il proprio destino prima ancora che avvenga il disastro: una Cenerentola dei tempi moderni che si lascia talmente affascinare dal vestito cucitole per lei dalla fatina al punto da dimenticare i valori importanti della vita, trasformandosi così in una superficiale donnetta alla moda...finchè un giorno... Nonostante questo, ritengo che la sceneggiatura di per sè piuttosto sempliciotta (per non dire minimalista) sia in questo caso compensata dall'alone irresistibilmente "fashion" del film, che irretisce anche lo spettatore più anti-conformista in fatto di moda. D'altronde il film non ha la pretesa di montare chissà quale polemica nei
confronti dell'industria estetica, nè dall'altro lato ho notato
un'eccessiva presa di posizione a favore di questa. Nell'esasperare i comportamenti e le reazioni dei personaggi (come è proprio della commedia) mi sembra in linea di massima che il film con molta semplicità riassuma tutti i punti di vista, i risvolti e le contraddizioni che sorgono quando ci si trova a "dover avere a che fare" con la scelta di curare il proprio corpo a scapito della
propria anima. Sottolineo "dovere" perchè sarebbe a dir poco ingenuo credere che nel 2006 qualcuno nel mondo occidentale possa esimersi del tutto da curare l'aspetto estetico, dal momento che l'attenzione per l'estetica costituisce uno dei principi cardine dell'attuale società post-industriale (illuminante in tal senso il monologo di Miranda sul maglioncino ceruleo di Andrea), così come sarebbe ipocrita negare il piacere di vedere il lusso più sfrenato in fatto di abbigliamento scorrere davanti ai nostri occhi per un'ora e
mezza (un pò come fa il fidanzato di Andrea, ipocritamente convinto di essere esente dal fascino esercitato dal lusso e nello stesso tempo attratto dalla nuova Andy). Dall'altra parte il film non si limita a mostrare il "lato oscuro" del "fashion system": il suo carattere "artificioso" capace di mascherare il vuoto dell'anima dietro un abito (vedi la figura del biondino tutto muscoli camuffato da fascinoso "metrosensuale"), la "dipendenza" che è in grado di provocare al pari di uno stupefacente (la segretaria Emily che
"Cristo Santo ha un vestito di Valentino. Non può ammalarsi!),
l'arroganza con cui il gusto si impone sugli altri secondo principi dettati dal denaro più che dall'arte (ambigua in questo senso una frase pronunciata da Miranda alla fine del film nei confronti di uno degli stilisti da lei amati, o più esattamente una sottile vena di cinismo e di disprezzo verso le parole "marchio globale"). In questo minestrone di glamour e di cinismo, non sorprende quindi che siano rappresentati tutti i clichè che in qualche modo rimandano alla parola "moda": l'omosessualità prima di tutto (che sia per fattori sociali o per innata attitudine alla dimensione estetica, anche
in questo caso sarebbe ipocrita negare che gli omosessuali siano in un modo o nell'altro più vicini e attenti al mondo della moda e dell'edonismo, dal momento che i fatti ci smentirebbero), la "Parigi romantica" (d'altronde a questa immagine di Parigi la moda ha contribuito non poco), la "manager capricciosa e spietata" (chi non ha mai avuto un capo che sfogasse le proprie frustrazioni su di lui alzi la mano!), il "ragazzo profondo e trasandato" (quanti ce ne sono, me compreso, che non potendosi permettere un vestito di D&G si convincono che sia talmente superfluo da essere addirittura più brutto dei nostri camicioni grigio-topo). Non sorprende dunque neanche che in questo caos di bellezza e di dolore la protagonista
funga un pò da capro espiatorio che oscilla continuamente tra le
diverse posizioni, prendendo parti, venendo meno ai propri valori e
contraddicendo continuamente se stessa. Anche il finale, se apparentemente lascia intendere lo scioglimento del "patto col diavolo" (reso manifesto in maniera assolutamente logica da Miranda nella scena finale nell'automobile, quando Andrea si rende conto di aver pestato i piedi ad Emily in seguito ad un proprio desiderio di affermazione più o meno latente) e la fuoriuscita di Andrea dall'infernale mondo del fashion con conseguente re-inserimento
nel mondo dell'amore eterno (al prezzo di un Valentino per una sciatto maglioncino da mercatino), un ultimo fotogramma è sufficiente a ristabilire l'equilibrio (o meglio la confusione) morale della protagonista. Mi riferisco ad un piccolo movimento del capo che Andrea fa prima di incamminarsi per le strade di New York, appena prima dei titoli di coda. Uno spostamento dei capelli, con la classe di una modella. Ad indicare che il diavolo ha lasciato comunque la sua indelebile impronta sulla semplice ragazza "fior di campo"....e che questa impronta la rende anche molto sexy!