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L'AMICO DI FAMIGLIA regia di Paolo Sorrentino

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Invia una mail all'autore del commento kowalsky     6 / 10  30/11/2006 22:30:08Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Non sono del tutto convinto che questo film riuscirà a risolvere il "dilemma" sul cinema italiano, dopo una prova ottima ma forse un po' "di nicchia" come "le conseguenze dell'amore".
A conforto della massa, il disgusto che ho provato per il personaggio è tale che mi ha fatto perdere l'appetito: davvero, il Geremia di Rizzo è un essere ripugnante e Sorrentino riesce nella non facile impresa di indurmi a respirare persino (metaforicamente per fortuna) il suo sudore, o l'aria chiusa malsana e maleodorante degli interni (credo che entrerà nei miei incubi quella putrida bacinella...). Beh e allora?

Allora ho la sensazione che il tentativo di raccontare un paese moralmente allo sbando funzioni soprattutto come deterrente alle nostre illusioni di spettatori e cittadini comuni: usciamo dal cinema con la sollecita sensazione di essere "dei sopravvissuti".

La fotografia superba di Luca Bigazzi restituisce al miraggio metafisico una concretezza che vige sullo squallore urbano del rigore post-moderno (come del resto post-moderna è la colonna sonora: Antony, i Notwist, L. Garnier, lcd soundsystem)

Un "gioco" implosivo che Sorrentino, uno dei piu' dotati registi italiani in circolazione, sorregge abilmente (soprattutto nella prima parte) ma che finisce per girare su se stesso, in un'esercizio stilistico un po' compiaciuto ed estetizzante, spesso fine a se stesso.

Mi chiedo se quei 6 min. rimossi in fase di montaggio rispetto alla versione di Cannes non fossero infatti qualcosa di piu'...

C'è, vero, una reale intromissione nella parabola amorale di questo "santo mostro", ma le sfumature che portano la realtà a non privarsi della coscienza (l'illusione di un "amore vero" per es.) cedono alla pressante richiesta dell'autore di forzare la negatività del personaggio.

Piu' che al bel film di Garrone, "L'imbalsamatore", il film ha qualche punto di contatto con certi personaggi del cinema americano, come il Dustin Hoffman di "un uomo da marciapiede", tuttavia è una sorta di effetto mancato, privando così l'uomo, nella sua bruttezza fisica e (fors'anche) interiore la sconvolgente dimensione del melodramma, della "creatura" che suscita squallore o pietà, come un moderno Rigoletto

Nè necessariamente aiuta scoprire in questo territorio di anime sfruttate un'universo variegato dove il dolore e la dignità perduta sopravvivono soltanto attraverso il contatto con la richiesta di denaro, nè l'invadenza populista e/o chic di Geremia, quando afferma "io vi presto il mondo quando lo perdete", o il suo fatidico "il mio pensiero sarà per voi".

Nelle frequenti cadute verso la dimensione grottesca, evidentemente care a un'esperto "simbolista" come Ferreri, Sorrentino perde la cognizione della realtà, già ampiamente vanificata da un'enfasi romanzesca assai sopra le righe.

Troppi orpelli, troppi simboli, e soprattutto troppe immagini incompiute che fingono di essere "alternative" o sperimentali, ma sono soprattutto (come nel finale) didascaliche.

A questo punto mi si chiede un voto e preferirei astenermi, ma sono costretto ad operare una ehm scelta.

Comincio a dubitare che il cinema italiano abbia la necessità di tanto accademismo per potere una volta ancora andarne fieri.

Sorrentino si riconferma uno dei talenti piu' visionari del nostro cinema, e infatti prima o poi è lecito attendersi da lui un capolavoro.

L'importante è convincerlo alle tentazioni di superarsi, o forse solo a non espiare la condanna dei suoi personaggi: ho l'impressione che con questo film egli abbia odiato - meccanicamente, ogni volta di piu' - Geremia fino a costringerlo a espiare la condanna (unica) dell'esistenza