caratteri piccoli caratteri medi caratteri grandi Chiudi finestra

IL PROCESSO regia di Orson Welles

Nascondi tutte le risposte
Visualizza tutte le risposte
BlackNight90     10 / 10  03/05/2010 01:39:24Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Il fantasma tormentato di Kafka si impossessò di Welles, forse perché a quel tempo era l'unico in grado di riuscire in un'impresa impossibile: trasporre su pellicola l'alienazione e l'angoscia di un romanzo opprimente e fastidioso, tra i più destabilizzanti e difficili, ma illuminanti, di tutta la letteratura del '900.
Grazie alla geniale regia di Welles, visionaria e barocca, che si fonde con scenografie espressioniste, intricate e meccaniche che contribuiscono a esprimere ancora di più il senso di allucinazione, invenzioni visive ricchissime di particolari che fanno da contrasto al vuoto interiore degli uomini che girano attorno al Joseph K.: automi più che uomini, la cui desolazione, già evidente in Kafka, viene portata da Welles nell'era della catena di montaggio, dell'uomo-massa e del regno della macchine, ad evidenziare ancora di più quella perdita d'identità che si conclude nell'impotenza più totale ed assoluta, non solo di fronte alla legge, ma di fronte a tutto il sistema di istituzioni e potere, di cui la legge è solo una delle molte facce. In questa protesta si può forse inserire quella dello stesso Welles, costretto ad un budget limitato, ma con più libertà, dall'industria cinematografica, ma si sa che il genio non va mai d'accordo con quest'ultima.
Il processo è l'angoscia di non sapere quale spada di Damocle pende sulla tua testa, ma di sentirsi lo stesso colpevole; è l'impossibilità di fuggire dai tentacoli della legge, che ha i suoi luoghi di potere dappertutto, e tutti collegati tra di loro.
Il processo è un incubo, non della stessa intensità del romanzo, per gli ovvi motivi dei diversi codici comunicativi, ma gli si avvicina tantissimo, claustrofobico e kafkiano, termini che oggi sono usati spesso impropriamente per dare un tono di grandezza alle cose che ci colpiscono, quando in realtà possono essere adatti solo a descrivere quei rari urli di disperazione e angoscia che spuntano qualche volta ogni secolo, sia nella letteratura che nel cinema, e che non smettono mai di fare male alle orecchie e all'intelletto.
Il finale è diverso dall'opera letteraria, un po' meno potente ma forse perché Welles voleva dire qualcos'altro: quell'esplosione che riporta alla mente un fungo atomico (siamo in piena guerra fredda) vuol forse dirci che il nostro destino è segnato dal fuoco e dalle fiamme? Oppure c'è la speranza, che Kafka negava a sé stesso, che ci sia una vera Giustizia che faccia piazza pulita di tutti, per poi ricominciare tutto da capo?