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DIO PERDONA... IO NO! regia di Giuseppe Colizzi

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dobel     7½ / 10  25/02/2010 15:23:26Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Atmosfere cupe, decadenti, volutamente squallide, descritte da luci soffuse e recitazione contenuta. Un vago senso di nostalgica rivisitazione che pervade tutto il film. Non siamo ai livelli di Leone, ma nemmeno siamo di fronte ad un'opera che deve più di tanto al genio romano. Ho sempre sostenuto che i cinque western di Leone non possano essere paragonati ai capolavori coevi di Peckinpah (infatti non scambierei uno dei film di Peckinpah per tutti i Leone del mondo), in quanto uno rivive in chiave grottesca e ironica ciò che l'altro vive in modo drammatico e veramente elegiaco. Leone, tuttavia, ha dato il la ad un filone inventando un genere autonomo che del western ha solo i costumi e le ambientazioni. Merito grande, se si considera che il western è il genere cinematografico (a mio modestissimo parere) per eccellenza, e che stava (negli anni sessanta e settanta) vivendo la propria ultima gloriosa stagione. Il ricreare, sulle sue ceneri, un filone capace di catturare l'immaginazione del pubblico è stato sicuramente un servizio artistico non indifferente. Ma dobbiamo considerare che il genere nato dalla fiammella accesa da 'Per un pugno di dollari', si affranca presto dal proprio modello: gli 'spaghetti western' (che termine orribile!!!!!!) sono spesso pellicole molto poco ironiche proprio perché molto tragiche. La tempesta degli anni sessanta si riversa pienamente in pellicole che parlano di massacri, rivoluzioni, disperati che tentano di sopravvivere in un mondo primitivo e ostile. La violenza è tutto tranne che grottesca, la sofferenza viene descritta spesso in modo crudo e compiaciuto. Registi che hanno vissuto la guerra di liberazione hanno riversato nelle proprie pellicole molta dell'esperienza accumulata in montagna. Il western si riconferma il genere per eccellenza: quello nel quale immettere tutta la temperie di una generazione. Il western è come un contenitore (la terra dei sogni) che, a seconda delle epoche, degli stili, e dei gusti, gli autori riempiono di ciò che hanno in testa e nel cuore. Nel west tutto è possibile, tutto può accadere e tutto è sempre accaduto. Il west è il mondo nel quale i poeti diventano assassini e i ladri di galline diventano eroi. Il west è la terra nella quale i poveracci possono in un attimo diventare milionari e i milionari poveracci. Il west è il mondo con tutto quello che vogliamo metterci dentro: i nostri sogni, le nostre angosce, le avventure che mai vivremo, la violenza che ci spaventa o che ci conquista...
In questo bel film non mancano gli ingredienti per un puro intrattenimento, ma soprattutto non manca una poetica riconoscibile, a cominciare alle musiche particolarissime: l'eco di cori barbarici in stile Carl Orff è sempre presente. E' di una terra barbara nella quale la legge è affidata al più furbo, più che al più forte, che si parla. Una terra nella quale non conta più tanto l'abilità con la pistola o i pugni, quanto la capacità di destreggiarsi nelle più differenti situazioni pena la morte violenta. Non c'è Peckinpah perché manca l'iperbole romantica, non c'è Leone perché manca l'ironia grottesca, ma c'è comunque altro: pur senza essere un capolavoro siamo di fronte ad un'opera che parla una lingua autonoma. Come dicevo all'inizio, la cupezza, l'amarezza, la solitudine sono i temi sui quali si reggono non solo questo film, ma molti 'spaghetti western'. Sono temi sempiterni: travestiti da cowboy e da pistoleri, spesso li ascoltiamo parlare più volentieri.