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I MISTERI DEL GIARDINO DI COMPTON HOUSE regia di Peter Greenaway

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ULTRAVIOLENCE78     7½ / 10  07/04/2009 15:33:33Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Krzysztof Kieślowski decise di abbandonare la forma documentaristica allorquando, a seguito delle riprese del cortometraggio “La Stazione”, portate avanti incessantemente per tutta una giornata, venne a sapere che in quel luogo, nello stesso giorno, era deceduta una persona. Di tale evento neanche una traccia nella sua pellicola. Da allora, constata la limitatezza che la “visuale realistica/reale” del documentario gli offriva, passò alla finzione filmica che, paradossalmente, gli consentiva, attraverso l’artificio, di indagare meglio e più approfonditamente la realtà.
Per certi aspetti analoga all’esperienza personale del Kieslowski documentarista è la testimonianza lasciata –precedentemente- da Michelangelo Antonioni in “Blow-up”, dove il protagonista, impersonato da David Hemmings, si ritrova a dover fare i conti con un caso di omicidio, per aver inconsapevolmente immortalato con la sua macchina fotografica il corpo di un cadavere. Ancora un fallimento, un altro smacco per l’artista: il fotografo che riesce a vedere oltre la superficie delle cose, che trascende i limiti dell’apparenza ma, comunque, senza risolvere alcunché.
Questo senso di disfatta, di fallimento sembra acuirsi ancora di più ne “Il mistero dei giardini di Compton House”: secondo lungometraggio della lunga e variegata carriera artistica di Peter Greenaway, nel quale si assiste a una netta cesura tra la percezione visiva della realtà e quella rielaborata con l’intelletto e la logica.
Un pittore (Mr. Neville) viene assoldato da una nobildonna (Mrs. Herbert) col compito di eseguire dodici disegni, volti a ritrarre i giardini e le diverse facciate della sua tenuta. A tale scopo egli chiede che venga rispettato un rigoroso ordine nei luoghi destinati ad essere riprodotti, ma i suoi desiderata sono in parte –e in alcuni casi quasi impercettibilmente- disattesi: durante l’esecuzione delle opere vengono disseminati gli indizi di un omicidio, che l’artista ripropone pedissequamente nei suoi disegni senza –ovviamente- sospettare il loro collegamento col misfatto (“ritrae ciò che vede e non ciò che sa"). Soltanto allorchè la figlia di Mrs. Herbert (che nel frattempo ha abusato di lui al fine di garantirsi una progenie che le assicuri la proprietà di Compton House) lo illumina circa la valenza indiziante di quegli oggetti solo apparentemente insignificanti, Mr. Neville capisce di essere invischiato in uno scabroso caso di omicidio e così comincia a perdere il controllo della situazione: ciò che presumeva di padroneggiare attraverso l’arte, dalle cose (la disposizione degli oggetti nel campo della sua visuale “pittorica”, inscritta nella precisa geometria del reticolo del foglio da disegno, ove si muove con ingannevole sicurezza la sua mano) alle persone (Mrs. Herbert, di cui si serve al livello carnale come contropartita per le sue prestazioni artistiche), gli scivola lentamente di mano fino a che egli stesso non rimarrà del tutto soggiogato dagli eventi. La realtà sfonda l’arte, e ciò che l’artista credeva di essere, cioè a suo modo un “manipolatore”, è invero un mero strumento alla mercè dei suoi committenti e delle loro infime finalità. La morte di Neville sancisce la sconfitta stessa dell’arte, piegata e svilita dalla mercificazione e da laide ragioni che esulano da quella purezza che dovrebbe, invece, costituirne il motore propulsore. E di essa cosa rimane? Forse un emulo giullaresco, i cui lazzi sembrano l’unica reazione possibile ad uno stato delle cose che è tutt’altro che ilare, e che pare richiamarsi idealmente a quella mimesi del reale con cui si chiude la succitata pellicola di Antonioni.
Un’opera grottesca, venata da una vetriolica satira sociale, che si nutre allo stesso tempo di trivialità e di bellezza estetica, coniugando i bassi istinti che muovono i vari personaggi della “mise-en-scene” alla stupefacente forma pittorica delle inquadrature fisse (secondo un’operazione assimilabile a quella precedente del Kubrick “lyndoniano”) in un connubio di toni alti e prosaici. Alcuni, probabilmente percepiranno il lavoro di Greenaway come ostentatamente pomposo e intellettualoide –e forse in alcuni momenti anche lo è; ma non si può certo negare che l’opera in questione difetti di classe, raffinatezza, ingegnosità, estro e molto moltissimo senso estetico (che dire di quella sublime inquadratura del giardino e della tenuta, illuminati gradatamente dai raggi del sole in virtù dello spostamento di un nembo).
ULTRAVIOLENCE78  07/04/2009 20:10:21Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
ERRATA CORRIGE
"ma non si può certo negare...". Da intendere:" ma non si può certo affermare..."
ULTRAVIOLENCE78  07/04/2009 15:34:31Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Krzysztof Kieślowski. Parlo di Kieslowski ovviamente...