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IL SELVAGGIO regia di László Benedek

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amterme63     7½ / 10  19/01/2008 15:53:09Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Una banda di giovani motociclisti capeggiata da Marlon Brando scorazza per le strade degli Stati Uniti, sbeffeggiando qualsiasi tipo di regola o divieto. Arrivati in un villaggio, scatenano all’inizio la curiosità degli abitanti e l’opportunismo dei commercianti. Ben presto però diventano padroni del luogo, dandosi a bere, a schiamazzare, a disturbare e a distruggere. Il poliziotto che dovrebbe mantenere l’ordine è un pauroso e un debole, mentre sono alcuni cittadini senza scupoli che si prendono la briga di fare “ordine” a modo loro. L’arrivo in forze della Polizia riporterà alla fine l’ordine legittimo.
Questo è uno dei primi film americani in cui appare il problema della microcriminalità, che proprio nei primi anni 50 fece la sua comparsa nella opulenta e annoiata civiltà occidentale. Anche stavolta però il cinema di Hollywood non fa niente per capire e analizzare socialmente il fenomeno, anzi ne resta affascinato e quasi si mette a esaltarlo. Fin dall’inizio vediamo il branco all’opera, ma non sappiamo niente dei suoi componenti: da dove vengono, da quale strato sociale, che storie hanno alle spalle. In compenso la mdp li osserva scrupolosamente e ne mette in risalto le caratteristiche (i vestiti di pelle, il modo di parlare, il loro comportamento pseudo-anticonformista, le loro luccicanti moto, il loro “codice etico”) creando un’aura di “fascino perverso” intorno a loro.
Se si deve indicare una colpa allora il film la individua nel mancato uso dell’autorità. Il tutore dell’ordine dovrebbe usare forza e imperio, non parole e cedimenti alla paura. E’ la soluzione più “facile” insomma: basta essere più restrittivi e severi e questi fenomeni non succederebbero. E’ colpa del lassismo se c’è disordine e nell’ottica superficiale del film può essere anche giusto.
Guarda caso però il film fallisce nel mettere in cattiva luce la banda di motociclisti. Saranno sì dei fanulloni e degli smidollati, ma intanto riescono a fare quello che vogliono e condurre una vita tutto sommato “libera” e “selvaggia”, fuori dagli opprimenti standard perbenisti. Il capo della banda viene addirittura nobilitato grazie alla storia con la candida e gigliesca figlia del poliziotto. Nonostante l’apparenza da duro e la ruvida scorza, il finale dimostra che dentro di lui batte un cuore, dove sopravvivono ancora i valori della gratitudine e del sentimento amoroso. Il solito prologo “moraleggiante” ci fa capire che l’incontro è stato decisivo per portare lo scapestrato di nuovo sulla retta via.
Si tratta però di un aspetto secondario. Il nucleo del film è nell’esaltazione della vita libera dei motociclisti. Infatti il film produsse un’ondata di imitazioni e il “selvaggio” tutto pelle e maleducazione divenne il modello dei giovani. Sembra strano ma il potere delle immagini cinematografiche va al di là o svela proprio le vere intenzioni di chi le usa.