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LA TERRA (1930) regia di Aleksandr P. Dovzenko

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Invia una mail all'autore del commento NotoriousNiki     8½ / 10  01/02/2014 16:29:39Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Dovzenko contempla la poesia della natura, e per farlo taglia col montaggio frenetico dei precedenti 2, optà per uno lento e dilatato, in certe sequenze rallenta anche il ritmo, vedere come scandisce i passi della camminata di Vasily prima della tragedia. È un Dovzenko nuovo nella forma ma vecchio nei contenuti, molto simbolista, la morte del vecchio è anche la recisione dalle tradizioni, il retaggio della fattoria per mano dei giovani è un aprire il mondo alle nuove collettivazioni portate dalla rivoluzione, il cavallo meccanizzato, il trattore, accolto con grande clamore è il simbolo di un popolo che finalmente può guardare al futuro. Cavallo dal quale non è scevro neanche qui, presente in tutte le sue opere allegandolo anche al celebre antropomorfo di Tolstoj nel precedente 'Arsenal'. Come in 'Zvenigora' tratteggia 2 figure distinte, antitetiche nei modi di pensare, rispunta il contro-rivoluzionario, simbolo di un Paese che ancora non vuol progredire, l'accentò è posto sul fine naturalistico, benché la propaganda del comunismo sia sempre avvertibile, ma è un Dovzenko profondamente ottimista verso un futuro giovane e fresco, e il focus rivolto alla natura è lì a testimoniarlo. Controllate le zoomate, meno i primi piani seppur siano di pregevolissima fattura.
In questi 15 anni, forse anche meno di libertà artistica, il cinema russo ci ha regalato un movimento d'avanguardia che ha saputo trovare nuove forme di linguaggio, puntando spesso il focus sul montaggio, e volgendo il proprio sguardo sul futuro attingendo non a caso dagli espedienti del futurismo italiano, Dovzenko l'occhio lo ha posto spesso al passato della sua Ucraina, ha sempre voluto vedere un filo conduttore, una crescita del paese, prima di ogni progredimento, insegna, ci sta sempre una rivoluzione, a partire dall'invasione dei vichinghi in 'Zvenigora'. Con l'imminente realismo socialista che represse tante sfere di coltura, anche Dovzenko non fu scevro dal decalogo di un cinema conforme ai limiti imposti dal regime stalinista.