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JULIEN DONKEY-BOY regia di Harmony Korine

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KOMMANDOARDITI     7 / 10  18/07/2010 13:27:34Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Difficilmente nella Storia del Cinema un autore è stato in grado di esternare in modo tangibile e farci vivere visivamente i tormenti, gli stati d'animo ed i tumulti interiori dei personaggi di un suo film, trasfigurando in stile e linguaggio formale dinamiche emozionali e mentali prettamente intime e perciò nascoste all'occhio. Ci era riuscito, a suo tempo, il geniale e promettente Gerard Kargl (da allora purtroppo datosi alla macchia...) col suo ANGST, nevrotico e disturbante pedinamento cronachistico di un pazzo assassino e dei suoi pensieri fatti parola ; caso ancora più sbalorditivo era stato quello di Aleksandr Sokurov e del suo plastico capolavoro MADRE E FIGLIO, estatico quadro in lento movimento, pastoso e tramortente, in cui amore, dolore e natura divenivano un tutt'uno elegiaco ed inscindibile.
Mai fino ad ora però un film era sceso così a fondo nei meandri abissali di una mente affetta da schizofrenia, ribaltando in esteriorità grafica i malsani percorsi sinaptici ed i labirinti psichici senza sbocco di una malattia tanto oscura ed insondabile. Eppure Korine, con il suo JULIEN DONKEY BOY, l'ha fatto.
In GUMMO, sua opera prima, il giovanissimo regista aveva scribacchiato con un tratto crudo e respingente, la descrizione caotica di una intera cittadinanza del nord-est degli Stati Uniti (Xenia, in Ohio) infognata in un paesaggio post-apocalittico a metà strada tra Ciprì&Maresco e Jackass. La chiara metafora era quella del nichilismo paludoso delle nuove generazioni americane, venute su mostruosamente, senza punti di riferimento affettivi e morali.
In JULIEN DONKEY BOY il discorso, intrapreso col film precedente, prosegue ma si fa meno dispersivo ; qui il cerchio si restringe ad un piccolo nucleo famigliare e l'abbozzo di trama rende il racconto molto più appetibile e coerente.
Julien (Ewen Bremner) è un ragazzo affetto da una serissima forma di schizofrenia, che lo porta a ripetere ossessivamente sempre gli stessi rituali, a discutere ad alta voce con se stesso, a biascicare instancabilmente frasi sconnesse ed illogiche, ad intraprendere dibattiti astrusi a sfondo mistico-religioso. Questa però è solo la parte alienata della sua quotidianità perchè, nell'istituto per non vedenti presso cui lavora come assistente, la sua condotta è irreprensibile, il suo impegno sociale a sostegno dei disabili e la passione che nutre per la sua attività sono di una esemplarità ammirevole e da incorniciare. Il suo disagio psichiatrico lo vive unicamente lontano dal suo adorato impiego, cioè nelle lunghe ore che trascorre in compagnia della sua aberrante famiglia. Una nonna rimbambita che parla col barboncino di casa ; una sorella pattinatrice su ghiaccio, incinta non si sa di chi (...) ; un fratello mingherlino fissato con la cultura fisica ed aspirante wrestler ; un padre mentecatto ed autoritario (un assurdo ma grandioso Werner Herzog) ; una madre assente, morta anni addietro di cancro al seno (ma vivissima nei ricordi infantili di Julien).
Se per contenuto e storia il film si evidenzia come un compatto passo in avanti rispetto a GUMMO, sul piano formale invece si spinge molto oltre, in territori sperimentali di netta avanguardia, con una narrazione sminuzzata e disomogenea. La pellicola difatti è costituita da un collage digitale di riprese sfocate e desaturate, fluttuanti freeze-frame, flash nebulosi, immagini parlate, video amatoriali sgranatissimi (con audio in presa diretta), successioni di immagini scattose, psicotici strascichi visivi e decontestualizzate sovrapposizioni visuali.
Ecco come percepisce la sua realtà Julien, un Ewen Bremner (già visto in TRAINSPOTTING) straordinario, superlativo, eccezionale nella sua convinta discesa in un mondo interiore squassato da deliri, allucinazioni, fusioni di presente e passato, ferali raptus di violenza. La sua interpretazione ora commovente, ora angosciante, ora maniacale, ora terrorizzante è una delle migliori che si siano mai viste dai tempi del Jack Nicholson di SHINING. Una prestazione attoriale di cui restare ammirati ed esterrefatti !
Non gli è da meno Werner Herzog, nella parte del padre, un personaggio esorbitante, pazzo come un cavallo, grottescamente divertente nel suo ostentato accento teutonico. Ributtante quando si sbrodola addosso, mentre cerca di scolarsi un intero flacone di sciroppo versandolo all'interno di una delle sue pantofole (!) ; ineffabile quando annaffia con acqua gelata il figlio ginnasta affinchè acquisti peso ; comico e paradossale quando cita episodi storici fuori contesto o allorchè ripete motti senza senso e si corica sul letto indossando una maschera antigas (!!)
Oltre a passaggi di divertita demenza, nel film si agitano di continuo momenti di caos, scene altamente drammatiche ma anche sequenze struggenti e toccanti, come ad esempio la telefonata tra Julien e la sorella che si finge sua madre (a forte rischio lacrime) o come il piacevole e tenerissimo rapporto di fraterna complicità instaurato dal protagonista con la bambina semi-cieca.
A mente fredda e visione conclusa, l'opera di Korine non sfugge di certo al sospetto di un esercizio di stile (e la riproposizione di albini e freaks , che già pullulavano nella sua pellicola da esordiente, penalizza abbastanza in questo senso) ma va dato atto all'autore di averla raccontata una storia e di averlo fatto nella maniera più eclatante e dimostrativa possibile : rivoltando come un calzino un'intimità multiforme e sofferente affinchè corrompesse per osmosi strutture e paesaggi/forma del suo film.
Una storia, questa volta, con un suo inzio ed una sua fine, scanditi dal leit-motiv della registrazione in vhs della pattinatrice, accompagnata dalla straziante melodia del pucciniano "O mio babbino caro", liricamente ossessiva e luttuosamente predittiva.
JULIEN è il nostro sguardo di sfuggita alla realtà con gli occhi di uno schizofrenico ; JULIEN è, come lo stesso protagonista si proclama, la nostra personale INTERFERENZA VANEGGIANTE.

P.S. : JULIEN DONKEY BOY è stato il primo film extra-europeo a potersi fregiare della denominazione "Dogma 95", in quanto volutamente realizzato in osservanza dei rigidi dettami estetici imposti dal movimento dei danesi Von Triers e Vinterberg.....Sai che soddisfazione! :-D
Gabo Viola  17/11/2011 23:56:48Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Scrivi molto bene...non pensavo eheheheh
KOMMANDOARDITI  20/11/2011 15:14:29Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Malfidato :D