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IMAGES regia di Robert Altman

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amterme63     7 / 10  29/06/2009 20:12:21Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Images è un tentativo molto suggestivo di far entrare lo spettatore quasi direttamente nella mente di un “disturbato mentale”. L’approccio è totalmente in soggettiva. La cinepresa riprende la protagonista (Chris – una bravissima Susannah York) ma soprattutto esattamente ciò che vede e ciò che sente, o almeno ciò che crede di sentire e ciò che crede di vedere.
Una convenzione base del cinema classico è l’oggettività dell’occhio della cinepresa. In genere tutto quello che essa riprende viene ritenuto dallo spettatore qualcosa di reale ed oggettivo, a meno che non si tratti di rappresentare sogni o visioni fantastiche, i quali vengono comunque distinti da ciò che è “la realtà”. Diciamo che alla fine le cose in ogni caso “tornano” (vedi ad esempio “La signora scompare” di Hitchcock). Questo fino a Blow Up di Antonioni.
In Images Altman gioca deliberatamente su questo assunto, su questa “abitudine” dello spettatore, proprio per disorientarlo e angosciarlo, facendogli provare lo stesso stato d’animo smarrito e sconcertato della protagonista.
Si comincia con lo strano comportamento del telefono, in cui all’improvviso parla la stessa voce della protagonista suggerendo il tradimento del marito. Guarda caso altri fatti “reali” sembrano suffragare questa ipotesi. Per calmarsi e abbattere la tensione, la coppia decide di passare un po’ di tempo in una casa isolata in campagna (situazione tipica delle opere esistenzialiste/psicologiche post-moderne, ripresa da Kubrick in Shining e da Lars Von Trier in Antichrist).
La situazione non migliora, anzi precipita. Chris non fa altro che vedere se stessa sdoppiata, il suo amante morto che sembra vivo, ha amplessi (veri?) con un altro amico che la vorrebbe possedere sessualmente, mentre il marito la tratta quasi con indifferenza. Il bello è che queste “visioni” sono (o sembrano) assolutamente reali. I “fantasmi” parlano, toccano, baciano, fanno all’amore, vengono feriti, sanguinano, sporcano la moquette e “muoiono”. Sembra tutto vero eppure nell’inquadratura successiva si evince che forse è falso, che forse era una visione. La cosa si complica perché una persona lo è in una inquadratura, nella successiva ne diventa un’altra.
Chris e noi con lei non sappiamo più come raccapezzarci. Non si riesce più a distinguere il reale dal non reale. Le conseguenze saranno disastrose per Chris e non molto piacevoli per lo spettatore senza tante pretese, che rimane certamente interdetto e estraneo, se non riesce a porsi al di là di quello che viene mostrato.
Altman dà una mano a creare un’atmosfera angosciante. Per la colonna sonora attinge all’avanguardia musicale (miniera inesauribile di angoscie), mentre utilizza una via di mezzo fra bianco e nero e colore, ricoprendo tutto con una colorazione ocra spenta autunnale (tipo Blade Runner). Primi piani di oggetti come perline che tintinnano o occhi di macchina fotografica creano ancora più straniamento e inquietudine.
Si tratta quindi di un’opera interessante e originale. Anche qui domina il tema caro ad Altman dell’isolamento e dell’incapacità di comunicare di cui soffre il singolo individuo. Anche qui il solito difetto della statisticà e della monotonia. Non c’è quasi trama, non c’è crescendo o movimento ma un lento e inesorabile dipanarsi. Capisco che possa annoiare o non dire niente.
Comunque si tratta di un opera cinematografica di pregio, secondo me.